In un consiglio nazionale della DC riunitosi poco tempo dopo la riunificazione della Germania (3 Ottobre 1990), Giulio Andreotti fece un discorso, a noi giovani apparso un po' “disallineato”, di cui, all’uscita a Piazzale Sturzo gli chiedemmo spiegazione. Con il suo consueto garbo e ironia ci disse: “amo tanto la Germania che preferisco avere a che farne con due”.

Il nostro grande leader aveva la vista lunga e, onestamente, dopo il voto in Turingia e in Sassonia, con lo tsunami del voto alla destra Alternativa per la Germania (AfD), ci dovremmo ricordare di quella sua illuminante predizione. Quello di ieri nei due Länder tedeschi è stato un voto destinato a sconvolgere non solo i governi delle due regioni interessate, ma lo stesso equilibrio del governo centrale, considerato che i partiti della coalizione rosso verde, i verdi e i liberali, non hanno nemmeno raggiunto la soglia del 5%, necessaria per avere deputati eletti nei due parlamenti regionali. Un voto che potrebbe determinare la crisi del governo Scholz, con conseguenze sugli stessi  equilibri nell’Unione europea.

Puntale la soddisfazione espressa dalla Lega di Salvini per il voto di AfD (Alternative für Deutschland), che rafforza il carattere bicefalo della politica estera del governo; una dichiarazione che non avrà fatto piacere né alla Presidente Meloni, né al ministro Fitto, indicato al ruolo di commissario dell’Italia nell’esecutivo europeo. Credo che dovrebbe essere necessario un chiarimento in sede parlamentare, per valutare correttamente quale sia l’esatta direzione di marcia della politica estera italiana.

Un chiarimento che da DC e Popolari ci sentiamo di sollecitare, in particolare, agli amici di Forza Italia, che del PPE sono attualmente i principali rappresentanti, interessati come siamo e da tempo andiamo proponendo, a costituire la sezione unitaria italiana dei Popolari, nella quale i DC e i Popolari del nostro Paese hanno il diritto di partecipazione, in quanto eredi dei padri co-fondatori del PPE.

Se il dibattito sullo jus scholae può legittimamente rientrare tra le diverse opzioni che sul diritto di cittadinanza sono presenti trasversalmente nella maggioranza, altra questione è quella dell’unità della politica estera del Paese che, dal 1949 prima, come da tutti i governi che si sono succeduti da De Gasperi ai governi di centro sinistra, della solidarietà nazionale e sino a quelli presieduti da Berlusconi, Prodi, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi, poi, sono sempre stati nettamente filo occidentali e uniti all’UE.

Nessun governo della Prima o della Seconda Repubblica non sarebbe mai sopravvissuto a una situazione in cui tra Presidente del consiglio e uno dei suoi vice, fosse in atto la netta alternativa di orientamento politico sulle alleanze internazionali presente oggi nel governo Meloni.

 Ora a questo governo già vittima di molti casi “minori” difficili al suo interno (Santanché, Sgarbi, Lollobrigida, Valditara, ecc..) sembra che questa divaricazione nella politica estera non significhi nulla, un semplice gioco delle parti della commedia recitata a soggetto senza copione. Presidente Meloni faccia molta attenzione alla confusa squadra di governo che le tocca guidare.

Non basteranno i sorrisi e gli abbracci con Ursula van der Leyen per accreditarsi in Europa o evidenziare il solo ricordo della natura dell’Italia Paese fondatore dell’UE per essere rispettati. Si ricordi della predizione andreottiana citata, consapevole che la maggioranza parlamentare si potrà anche continuare a controllare, ma alla lunga, le italiche giravolte in politica estera, ben note ai nostri partners internazionali, finiscono col dover essere pagate e, se e quando accadrà, il prezzo sarà pesantissimo.

Ettore Bonalberti