IL POPOLO

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Il battesimo il 20 settembre a Bardonecchia con un convegno sul ruolo dei cattolici in politica. L’iniziativa presentata da Giachino, Merlo e Carmagnola. Tra i relatori anche Airaudo, Gay, Zangola, Davico, Leo e Bonsignore. Si confronteranno esperienze diverse, ma tutte con un denominatore comune, quello dell’impegno politico cattolico democratico, cattolico liberale e cristiano sociale.
Salsomaggiore Terme ha visto in questi giorni l’ultimo addio a Stefano Compiani, uno dei fondatori del movimento “SiAmo Salso”. Nella chiesa di San Vitale, per la triste cerimonia, c’erano a dispetto del caldo afoso una gran folla, il sindaco Luca Musile Tanzi con la fascia tricolore, l’anziana madre in sedia a rotelle, Clara Tanzillo col discorso preparato dal movimento e, dulcis in fundo, l’inno dell’Inter, squadra cui Compiani era devoto. Poi ecco, distribuito ai presenti, il “santino” coll’invito del morto a non prendersi troppo sul serio.
Ci sono delle volte – e questa è una – in cui un museo perde un po’ il suo aplomb istituzionale per prendere posizione e, direi quasi, partito. Nell’ambito del progetto “Minore”, iniziativa nazionale dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale attraverso il coinvolgimento delle comunità locali e del terzo settore, ecco infatti, presso il MAG nella Rocca di Riva del Garda, la mostra “La Gardesana occidentale Gargnano-Riva: una strada-parco in pericolo”. L’esposizione, a carattere piuttosto militante, racconta fino al 14 settembre la storia e la trasformazione del tratto occidentale della Gardesana tra Gargnano e Riva, infrastruttura unica nel suo genere realizzata tra fine Ottocento e metà Novecento come straordinaria integrazione tra paesaggio, ingegneria e mobilità lenta.
Nella Regione Veneto si sta vivendo un momento molto delicato, specie nel partito, la Lega che, dal 2010, ha assunto la guida del governo regionale, dopo che, esaurito il terzo mandato del presidente Zaia, si è aperta la trattativa a destra per la sua successione, che non si annuncia indolore. Credo vada fatta una seria riflessione sulla Lega Veneta, considerato che i cinquantacinque anni della vita regionale sono contrassegnati dai venticinque di egemonia della DC (1970-1995), con l’intervallo della giunta Pupillo (1993-94); il quindicennio infausto di Galan (1995-2010) (quello del: “Il Nordest sono io”), e i quindici anni (2010-2025) del presidente Zaia, tuttora in atto.
Alla vigilia delle ultime elezioni europee, grazie all’intervento di un caro amico, il prof. Pino Nisticò, incontrai il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia, l’on. Paolo Barelli, per perorare il progetto di una lista dell’area politica omogena al Partito Popolare Europeo. Netto il rifiuto di Barelli per un accordo con la DC guidata da Cuffaro, fu altrettanto negativa (lui sostenne per questioni di tempo) l’idea di allargare la lista ad alcuni esponenti di area DC e popolare nei collegi elettorali italiani per l’Europa. Si perse, così, una delle occasioni più favorevoli per dar corpo a quell’idea di una sezione italiana del PPE.
Lo zio Francesco Mario si occupava di Giuseppe Mazzini e delle Pasque veronesi. Il babbo Carlo Alberto, magistrato e vera star dei raduni cattolici della tradizione (dove era assai apprezzato relatore), si interessava di Inquisizione vista come “un punto cruciale nella storia della Chiesa”, di framassoneria alla conquista sempre della Chiesa e di educazione sessuale intesa quale “tappa massonica verso l'annientamento dell'uomo”. ... Dal canto suo il figlio di Carlo Alberto, Francesco Agnoli, respirando in famiglia la fede cattolica e il gusto della scrittura, esordì nel 2002 con una riflessione sulla “Filosofia della luce. Dal Big Bang alle cattedrali” per proseguire poi con testi quali “Scienziati, dunque credenti. Come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale”. Nei Quaderni di San Giorgio usciva frattanto “La grande illusione”.
La Scuola Elisabettina di Rovereto, frequentata anche dall’editore Riccardo Maroni, e Fortunato Depero, suo “involontario iniziatore” all’arte nuova. “Questo giovanissimo trentino – ne scrisse il suo omonimo Umberto Boccioni – affronta con assoluta sincerità i problemi più ardui della plastica moderna”. Il riferimento è a Umberto Maganzini, ossia Trilluci, pittore parolibero e intuista di cui scrisse anche Mario Broglio commentando “L’esposizione romana di Depero” nel 1916, e naturalmente alla sua “dolorosa esperienza futurista”, nell’alveo di un movimento che fu a suo avviso rivoluzionario nel campo dell’arte e invece reazionario sul piano politico. “Il mio futurismo – scriverà Maganzini nel 1962 – è stato sconosciuto a tutti”.
È un libro singolare che ha due numi tutelari: Tonino Guerra e Federico Fellini”. Così lo presenta a Rimini Piero Meldini nella sala della cineteca presso la storica biblioteca “Gambalunga”, per l’iniziativa “Libri da queste parti” che così si conclude. “Una tipologia di narrazione arcaica, una forma direttamente derivata dal racconto orale. Una lunga ipnotica affabulazione, con personaggi di fantasia e personaggi reali, ma questi ultimi trasfigurati”.
Leonardo Granata lo presenta come il principe dei cuochi. Martino, il cuoco segreto della corte papale, “il nostro Comasco” come lo definì il Platina, ci ha consegnato il primo ricettario firmato della cucina italiana, anello di congiunzione tra la cucina medievale e quella moderna, in un passaggio davvero epocale. La sua è una cucina di altissimo livello, adeguata ai personaggi di prestigio cui è rivolta, ma non mancano nel ricettario testimonianze della cucina di tutti i giorni (come le zanzarelle). Le polpette le inventa lui, anche se sono un po’ diverse dalle nostre. Sua è la prima ricetta dello zabaione. E poi ci sono le frittelle, i maccheroni e la melagrana, riabilitata dopo un periodo di oscuramento.
Falìva” (scintilla o fiocco di neve). Chissà se qualche gardonese o fasanese ricorda questo libro scritto da Maria Cecilia Merzari, conosciuta soprattutto come Cocchina. Nata a Fasano del Garda, fu insegnante, traduttrice e bibliotecaria, autrice inoltre di testi teatrali, dialettali e per bambini. L’amico Massimilano Colonetti ne ricorda lo stile unico e le radici popolari, nonché la sua viva attenzione alle tradizioni. “Nei racconti – spiega - Cocchina si avvale della metafora del viaggio come mezzo di indagine alla ricerca giovanile di ideali e valori”.