Il convegno, come è noto, è stato introdotto dal videomessaggio inviato da S.E. Mons. Vincenzo Paglia. All’alto  richiamo a preservare la Vita in ogni stadio della nostra esistenza, fatto dal Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha fatto eco l’interessante ed articolata relazione dell’on. dott.ssa Fabiola Bologna, Segretario XII della Commissione Affari Sociali e Sanità, della Camera dei Deputati.

Nella sua relazione su “L’importanza delle cure palliative e un nuovo umanesimo per rendere credibile la politica” ha significativamente fatto questa premessa: “Occorre una visione della società che metta al primo posto l’umanesimo nella consapevolezza che la vita e la salute sono diritti primari e che il bene del singolo è responsabilità della comunità, negando una visione di società fatta da egoismi dove le parole autodeterminazione e libertà vengono distorte per giustificare le mancanze di assistenza. Occorre guardare al futuro, alla scienza e alle nuove tecnologie come strumenti per incrementare il benessere e la qualità di vita anche in condizioni di estrema fragilità. Sostenere il valore della vita è necessario per proteggere chi, versando in una condizione di debolezza fisica, psicologica, sociale, economica, potrebbe convincersi o essere convinto da terzi che la sua vita possa perdere valore”.

Ha di poi chiarito che: ”Le Cure Palliative sono cure attive e complete -interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali- rivolte a tutte le persone affette da patologie croniche evolutive con l’obiettivo prioritario di preservare fino alla fine la migliore qualità di vita possibile, senza accelerare o differire la morte, rispettando la dignità del malato, nonché supportandone il nucleo familiare nel percorso clinico, assistenziale ed esistenziale.”.

Nel suo articolato discorso, l’illustre Relatrice non ha mancato di sottolineare l’importanza dell’intesa sul concetto di cura in una società evoluta, che appunto: “.. consiste proprio nella capacità di rispondere alla vulnerabilità, alla dipendenza che caratterizza una delle possibili condizioni umane e nella promozione della dignità della persona e nel rispetto della vita, a partire dalle differenti condizioni di salute in cui si trova, in modo da evitare che una particolare condizione di salute del paziente e il carico sulla famiglia possa costituire un ostacolo insormontabile”. Per questo appare doveroso: “..implementare la rete dei percorsi che vanno dalla Riabilitazione ove possibile, alla Terapia del Dolore alle Cure Palliative, accompagnando il paziente e la famiglia”.

Così concludendo:”La politica ha una grande responsabilità nell’evoluzione della società: dobbiamo guardare ad una società del futuro che sia rispettosa della vita e dei diritti a partire dai cittadini più fragili, che abbia fiducia nella scienza, nella medicina e nella ricerca, che riscopra il senso della comunità, un nuovo umanesimo nel rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione.”

Di notevole interesse la relazione del Presidente dell’Osservatorio parlamentare Veralex, Avv. Domenico Menorello. Egli ha in particolare sottolineato come sia facile cogliere, nella proposta di legge Bazoli n.2553, l’idea sottesa di una “Cultura dello scarto, ove dominano i tratti di una concezione dell’Uomo (incoerenti con la Sentenza n.242/19 della Corte Costituzionale) il cui valore sta solo nell’essere autodeterminati, così disabilità e cronicità, non autonomia, portano alla procurata morte da parte del SSN. Gli art. 1 e 3 comma 2, di quella proposta, vanno ben oltre la sentenza Corte cost 242/19, ove si prevede la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita. Basta una disabilità o a una non-autosufficienza correlata a patologie croniche (con cui di per sé si può convivere) o semplicemente all’età: tale espressione richiama la stessa categoria degli unfit,«inadatti», in quanto tali da espellere dal corpo sociale, secondo il crinale conosciuto in epoche di “pulizia eugenetica” o in Paesi che hanno iniziato esattamente con brecce quali quelle ora proposte dalla Bazoli (Cfr. Alfredo Mantovano e altri, Eutanasia: le ragioni del no – Il referendum, la legge, le sentenze, Cap. 12, cit.)”.

Sono seguiti poi tutti gli altri interventi sul comune denominatore di una piena salvaguardia della vita in ogni momento e condizione di esistenza di ogni persona e sulla precipua necessità di agire subito, con le interessanti relazioni del Gen. F. Lombardi che ha messo egregiamente in evidenza il sempre più labile equilibrio della deterrenza nucleare e dell’Ing. M. Sapielli.

Giungendo alla medesima conclusione, seppur da punti di analisi diversificate, che non è più rinviabile l'avvio di un condiviso disarmo nucleare globale che liberi l’umanità dalla immanente minaccia di un ecatombe del genere umano, e consenta la conversione di quelle energie in campo civile, industriale e medico.

Nel suo intervento l’Ing. Sapielli ha descritto minuziosamente le fasi del processo di conversione delle testate atomiche ad un uso civile e industriale.v Ecco il testo nella sua integralità:

“Il Comitato per una Civiltà dell’amore propone un programma di conversione delle armi nucleari in progetti di sviluppo nei Paesi poveri. Si parte dalla considerazione che la bomba atomica è portatrice di distruzione planetaria e che 13.400 bombe atomiche sono presenti nel mondo. La loro eliminazione è possibile, solo attraverso un processo nucleare, che trasformi (trasmuti) il materiale delle testate atomiche in combustibile per le centrali elettronucleari. Cioè la riconversione. Non c’è processo fisico, chimico, o altro in natura che possa eliminare il materiale nucleare fissile, se non la stessa fissione nucleare, ma fatta avvenire lentamente o dolcemente nei reattori che così pian piano brucino il materiale nucleare producendo elettricità. 

Infatti un concetto della fisica nucleare da comprendere è l’arricchimento isotopico dell’uranio. Per i reattori, per il lento e produttivo bruciamento nucleare, basta un 4% di arricchimento (LEU di Uranio 235), mentre per le bombe occorre più del 90% (HEU di Uranio 235). Per l’arricchimento delle bombe atomiche occorro impianti speciali dotati di centrifughe che separano le componenti isotopiche per  forza centripeta. Sono impianti molto complessi supervisionati da IAEA. Se invece di utilizzare combustibile proveniente dalle miniere e dagli impianti di arricchimento prelevassimo materiale nucleare diluito dalle testate atomiche potremmo realizzare ombustibile per gli impianti civili a minimo costo.”.. Prima di utilizzarlo in centrale ovviamente dovremmo diluirlo (processo che in inglese si chiama downblending) e fabbricarlo in forma di ossidi di uranio, uranio metallico e ossidi misti di uranio e plutonio.

Per diluirlo possiamo usare Uranio naturale allo 0,7%, o Uranio depleto allo 0.2% o uranio da riprocessamento all’1.2 %. Un reattore da 1000 MWe solitamente utilizza un nocciolo da 100 tonnellate che dura 5 anni. Come vedremo un reattore da 1000 MWe può distruggere 160 testate. 13.400 teste possono alimentare l’operazione di quasi 100 reattori per 5 anni con produzione di 4.000 TWh elettrici. In Europa sono in funzione 106 reattori che producono circa 1000 GWe. In particolare la Francia, ne opera 58, più della metà, che quindi ben si potrebbero adattare a bruciare il materiale nucleare fissile proveniente dalle 13.400 testate.

La riconversione nucleare è già avvenuta in passato con il programma Megatons to Megawatts. A partire dal Convegno Italiano del 1989 promosso da Edoardo Amaldi, Giuseppe Rotunno e altri ingegneri e scienziati, attraverso il simposio internazionale del 1992 con l’apertura di Giovanni Paolo II, si arrivò nel 1993 all’accordo USA-Russia fra Reagan e Gorbaciov, e poi dai successori Clinton e Eltsin per lo smantellamento e la riconversione di 20000 testate atomiche in 20 anni. Cosa che avvenne effettivamente.

Ora, in questa situazione così difficile di ripresa di guerre internazionali nel cuore dell’Europa, un Programma ancora più ambizioso viene proposto dal Comitato, dai Megaton al Development, destinando il ricavato del risparmio di fabbricazione del combustibile degli esercenti di centrali nucleari ai paesi poveri in via di sviluppo. Il coinvolgimento nel programma di Paesi, Istituzioni, Organizzazioni non governativa, enti e persone, porterebbe automaticamente ai concetti di pace e disarmo. Il dividendo dei ricavati andrebbe ai progetti di pace e sviluppo e di cooperazione internazionale nel terzo mondo.

Questo semplice schema mostra come la riconversione di 160 testate fornirebbe combustibile per il funzionamento di una centrale elettrica per cinque anni, con produzione di 36 TWh carbon free, senza CO2, e con un ricavato di ben oltre 40 milioni di dollari che alimenterebbero educazione e sanità, scuole e ospedali, impianti energetici nei Paesi poveri, contribuendo alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica. Oltre ai compagni di viaggio nazionali, sindacati, industria, enti energetici, siamo accompagnati da numerosi programmi internazionali e trattati, per la non proliferazione, il disarmo, la messa al bando dei test, la riduzione del materiale nucleare, insieme a ONU, IAEA, NEA, EURATOM. Questo ha spinto il Comitato insieme ad altri partners operatori di pace a proporre una petizione già firmata da oltre 2000 scienziati e cittadini, e che può essere firmata ancora sul sito web https://www.change.org/PaceNucleareUnaPropostaEuropeaPerIlDisarmo che chiede all’Europa di farsi parte diligente per la Pace nucleare nel mondo e offrire i suoi reattori nucleari e impianti del combustibile per bruciare i materiali nucleari .

Per questo il convegno a Bruxelles del 31 maggio 2022 per illustrare ai nostri parlamentari Europei il programma e chiedere al Presidente del Parlamento Europeo di farsene portatori in Europa e nel mondo. Civiltà dell’Amore propone che anche i nuovi Impianti possano innanzitutto servire ad eliminare le armi nucleari”.

Nel concludere i lavori Luigi Rapisarda ha ribadito l’impegno della Democrazia Cristiana di Roma a tenere vivo il dibattito su temi così cruciali e ad affermare in ogni latitudine il valore della vita affinché non sia soverchiata dalla cultura dello scarto e della morte.

Il convegno è stato seguito anche via web con collegamento da remoto.

Luigi Rapisarda