1A distanza di otto anni dall’invito alla conversione ad un’ecologia integrale, rivolto con la Laudato Si’ da Papa Francesco a tutti gli uomini, lo scorso quattro ottobre è stata pubblicata l’esortazione apostolica Laudate deum, che, nel rappresentare lo stato dell’arte e con esso le persistenti e diffuse resistenze ad accogliere quell’invito, si spinge anche a rilevare una positiva applicazione del principio di sussidiarietà al rapporto globale-locale (n. 37); a segnalare i positivi effetti a medio termine della globalizzazione in quanto a dinamiche virtuose di integrazione tra i popoli in conseguenza della diffusione di scambi culturali spontanei e migliore conoscenza reciproca; infine, ad evidenziare l’esigenza di una maggiore democratizzazione nella sfera globale per occuparsi dei diritti di tutti e non solo di quelli dei più forti (n. 43).

In questa mia breve riflessione intendo proporre alcune osservazioni sul tema dell’ecologia integrale e segnalare la continuità di un’antropologia cristiana, della quale un’ecologia integrale è concreta e coerente espressione, con la cultura e identità europea, anche con riferimento alla vocazione costitutiva di Europa alla pace, formalizzata nei Trattati, e che pure è espressione di quella cura per l’altro e per la dignità umana che sono ad un tempo essenziale correlato di un’ecologia integrale.

Appare manifesta la sempre più radicale difficoltà dell’uomo di fondare il proprio agire su un adeguato criterio di recta ratio: ne è tra l’altro una drammatica espressione l’attuale rinnovarsi della tragica esperienza della guerra alle porte dell’Europa - prima a nord e poi più di recente anche a sud del Vecchio Continente, con il divampare della crisi in Israele e Palestina e in tutto il Medio Oriente. Le emergenze del Tempo che attraversiamo chiamano perciò ogni cristiano, ma anche ogni uomo e cittadino europeo a promuovere un discernimento sulla realtà, esercitando la capacità di cogliere i segni dei tempi mantenendosi sempre vigili secondo l’insegnamento che nella Evangelii Gaudium si fa esortazione (n. 51), a fronte dei segnali di un ritorno all’indietro della storia e della debolezza delle politiche internazionali.

La gravità della attuale condizione della nostra Casa comune è un’evidenza che ci interpella ormai da tempo, sempre più drammaticamente; interroga rispetto al futuro della propria e delle generazioni che verranno, dal momento che tutto è manifestamente in relazione e la cura autentica della nostra vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri (Laudato Si’, n. 70). Tanto che l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme e per converso non saremo in grado di affrontare adeguatamente il degrado ambientale se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale.

2. Non c’è dubbio che la situazione ecologica a livello globale, così come a livello locale e nazionale, sia stata provocata dai prolungati abusi di un agire arbitrario dell’uomo che ha messo sé stesso al centro e ha finito per considerare la natura come “spazio e materia in cui realizzare un’opera… e non importa che cosa ne risulterà” , piuttosto che sentirla come norma valida o come rifugio vivente (Laudato Sii, n. 115, con citazione di Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, pp. 57-58). La radice della crisi è un’umanità, mi sia consentito dire, che ha tratti di Adamo e Prometeo postmoderni, i quali rubano la potenza del “fuoco” della tecnologia e decidono di orientare la propria azione secondo un paradigma esclusivamente tecnocratico, informato ad una logica di dominio sempre più illimitato - che solo in via di presunzione è logica; paradigma che, soprattutto, è sganciato da un autentico principio di responsabilità, nei confronti del mondo e degli altri.

L’enciclica “Laudato Si’” ha definito nel dettaglio i caratteri di questa crisi e ne ha promosso una lettura e interpretazione orientata da un’antropologia cristiana che si apre alle fondamentali convergenze con un’antropologia filosofica tout court. Pertanto, in virtù di fondamentali contiguità delle vie che ad esse conducono, tale lettura e interpretazione si è offerta alla comprensione e all’accoglimento di tutti gli uomini.

Mi torna alla mente in questo senso quella fondamentale corrente del dibattito sulla postmodernità che rinnova nella forma di un neo-aristotelismo la propria attenzione al mondo greco, intendendo in particolare denunciare, con diversi accenti e sensibilità tra le due sponde dell’Atlantico, l’inadeguatezza di una razionalità meramente tecnico-scientifica e promuovere una “riabilitazione della filosofia pratica” nel tentativo di proporre concreti modelli etico-giuridici, ossia di recuperare il carattere normativo di diritto ed etica rispetto all’agire dell’uomo. 

3. La potenza della tecnologia pone oggi drammaticamente di fronte ad un bivio. La tecnoscienza, quando sia orientata bene, consente di produrre cose preziose: si pensi all’importanza delle ondate di cambiamento prodotte con il sopraggiungere negli ultimi due secoli di nuovi strumenti frutto dell’evoluzione tecnologico-scientifica (“Laudato Si’”, n. 102), dalla macchina a vapore all’informatica, fino più di recente alla rivoluzione digitale, la robotica, l’intelligenza artificiale – significativamente richiamata nell’esortazione Laudate deum (n. 21).

D’altro canto, coloro che detengono conoscenze e potere economico per sfruttarle acquisiscono un dominio impressionante sull’insieme del genere umano - sia presente che futuro - e sul mondo, ma nulla garantisce un uso buono di un tale potere specie quando si giunga a ritenere che la realtà, il bene e la verità discendano dal potere stesso della tecnologia e dell’economia (“Laudato Si”, n. 105). Occorre perciò riconoscere che il paradigma tecnocratico è insufficiente e sostituirlo con altro orientato al perseguimento dell’autentico ben-essere dell’uomo.

C’è bisogno pertanto di educare ad un retto uso della potenza, orientando l’agire secondo un principio di responsabilità che custodisca ogni essere, sia esso uomo o altra forma vivente, consentendogli non soltanto di esistere, ma anche di attuare le proprie intime finalità – ancora in significativa continuità con l’orizzonte finalistico aristotelico, posto a fondamento di un’etica della responsabilità da Hans Jonas. Più specificamente, poi, nell’orizzonte cristiano già specificato dalla Centesimus annus (n. 38), “non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato”.

L’idea che l’essere umano non abbia limiti e le sue capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia invece trasforma il paradigma tecnocratico in ideologia e produce l’ossessione di accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, considerando la realtà non umana quale mera risorsa al suo servizio (Laudate deum, n. 21-22). Proprio questa dinamica interpella allora criticamente l’irrazionale fiducia che abbiamo finito per riporre nel progresso e nelle capacità umane (o meglio in una certa idea dell’uno e delle altre) e insieme la nostra idea di libertà e di dominio rispetto per l’appunto a quanto costituisce la Casa comune e ivi si trova; e insieme interroga sui confini entro cui definire un’etica per una società tecnologica e riaffermare l’esistenza di un principio di responsabilità per l’agire umano.

4. Ѐ necessario in questa direzione ri-costruire un’etica del bene comune di tutte le creature. Per i cristiani sono illuminanti a riguardo le Scritture: siamo chiamati dalla Genesi (2,15) a coltivare e custodire il giardino del mondo; dunque, come precisa Papa Francesco, a “proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future” (Laudato Si’, n. 67). 

Adottare il paradigma concettuale dell’ecologia integrale e prendersi cura della Casa comune significa perciò tradurre l’ispirazione dell’antropologia cristiana e della teologia della creazione nel concreto dell’oggi (secondo quanto pure osserva P. Giacomo Costa SJ, in Discernere con la Laudato Si’, in A. Stocchiero (a cura di), La guida per comunità e parrocchie sull’ecologia integrale, p. 23); e quindi anche promuovere modelli teorici di governo dei popoli e delle Nazioni ed esperienze concrete di amministrazione delle Città improntate alla dignità umana e alla correlata responsabilità di un agire orientato al “dovere di prendersi cura” in nome di un criterio di giustizia: dunque, tra l’altro, alla conservazione dell’ambiente; al contrasto delle povertà; alla pace; alla cura delle relazioni sociali. Realizzare un’autentica conversione degli uomini e delle Istituzioni ad un modello di ecologia integrale “riallinea” così il senso della libertà e del dominio dell’uomo sul Creato alla responsabilità di fronte a sé stesso, agli altri, allo stesso Creato, e soprattutto a Dio, ristabilendo il rispetto della struttura naturale e morale dell’uomo.

Ѐ necessario pertanto evitare che si inneschino, o proseguano a svilupparsi, processi di disumanizzazione (Ev. G., n. 51), anche attraverso un irresponsabile uso dei beni della Terra (Laudato Si’, n. 2). Qual è allora il ruolo che la politica è chiamata ad assumere di fronte alla necessità di definire nuovi paradigmi per la cura della Casa comune e per impedire un utilizzo irresponsabile delle capacità umane?

5. Al di là di ripetute dichiarazioni, penso a Rio de Janeiro (1992), in cui si attesta come gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile, e si prevede la cooperazione internazionale per la cura dell’ecosistema di tutta la terra (previsione che manifesta una essenziale consapevolezza e autocomprensione cosmopolitica: che davvero dobbiamo concepire ormai il pianeta intero come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune) alla politica competerebbe di individuare e governare i processi di conversione ad un modello di ecologia integrale.

Il dramma è tuttavia costituito da una politica che a livello nazionale rimane invece prevalentemente focalizzata sul consenso e che per lo più rimane sottomessa all’economia e alla finanza, proponendo di conseguenza politiche di breve respiro, che accantonano sostanzialmente – ma talora perfino formalmente - l’agenda ambientale e inseguono assai spesso un pensiero consumista ancora diffusamente prevalente.

Anche il governo del diritto d’altronde finisce non di rado per soggiacere esso stesso, in quanto è in definitiva affidato agli uomini, a logiche di sistema in cui gli interessi contingenti di potenti lobbies economiche e finanziarie hanno buon gioco usando le leve della corruzione. In questa direzione, la convergente diagnosi della Laudate Deum (nn. 37-38) sulla debolezza della politica internazionale e la necessità di una riconfigurazione del multilateralismo individua ad un tempo segni di speranza concreti, in quanto, come osservato nella Fratelli tutti: «tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani» ed in quanto a medio termine la globalizzazione costituirà un fattore utile ad accrescere la conoscenza e gli scambi culturali spontanei, agevolando nuove dinamiche di integrazione tra i popoli e così un multilateralismo che non sarà semplicemente deciso dalle élite del potere ma proverrà invece “dal basso”.

Emerge comunque, ancora una volta, l’importanza di valorizzare i criteri di prossimità e sussidiarietà, che sono peraltro la più autentica radice di ogni politica ed etica orientata al ben-essere delle comunità locali e degli individui. Insieme ad essi emerge l’esigenza della ineludibile correlazione tra principio di responsabilità del pubblico agire e dell’agire individuale, che insieme staranno o verranno meno, e tale responsabilità ha anche la forma della partecipazione agli affari della Polis e del controllo: al punto da doversi ritenere che “se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali” (Laudato Sii, n. 179).

6. Nella direzione da ultimo segnalata con il riferimento ai principi di prossimità e sussidiarietà, bisogna anche riflettere sull’Europa, e cercare di farlo con una con lucida consapevolezza critica: dunque, sull’attuale livello di autocomprensione degli uomini e cittadini europei dell’identità europea dei Trattati, dell’essere e dover essere l’Europa “guida” delle altre culture e quindi del dover assumere le sue responsabilità, soprattutto nel campo sociale e politico; sul suo soggiacere comunque, in quanto Unione di essi, alla signoria degli Stati.

Ѐ quanto autorevolmente ha fatto come uomo, e cittadino europeo David Sassoli, cristiano a servizio della politica e della democrazia europea, a cominciare dall’ispirato discorso di insediamento alla Presidenza del Parlamento europeo (3 luglio 2019), quando ebbe a rivolgere un autorevole richiamo alla continuità di agire politico, etica, responsabilità morale individuale e insieme a tracciare il cammino per riabilitare la Politica e ad auspicare un tempo nuovo in cui l’Europa delle Istituzioni aprisse concretamente al protagonismo responsabile di cittadini e giovani con le loro istanze e le loro responsabili vocazioni al futuro, alla pace, al rispetto della Terra:

“Molto è nelle vostre mani e con responsabilità non potete continuare a rinviare le decisioni alimentando sfiducia nelle nostre comunità, con i cittadini che continuano a chiedersi, ad ogni emergenza: dov’è l’Europa? Cosa fa l’Europa? … E ancora, Parlamento, Consiglio e Commissione devono sentire il dovere di rispondere con più coraggio alle domande dei nostri giovani quando chiedono a gran voce che dobbiamo svegliarci, aprire gli occhi e salvare il pianeta. E infine (che) il tema dell’ecologia è legato ad un modo di mettere al centro la dimensione della protezione e della dignità della persona, che impone il rafforzamento delle politiche sociali, e di confrontarsi con grandi interessi che vogliono la conservazione.

Essere testimoni europei e cristiani, dunque, questa è la via per rinnovare, richiamando ancora parole di David Sassoli, il progetto di speranza, un progetto che ci accomuni, un progetto che possa incarnare la nostra Unione, i nostri valori e la nostra civiltà.

7. Lo richiede drammaticamente anche la realtà del rinnovarsi dell’esperienza della guerra alle porte dell’Europa, che ripropone, alimentate dall’odio cieco, antiche logiche nichiliste, e crede di trovare una forma di giustizia compensativa nella sofferenza inferta ad altri uomini od addirittura nella loro uccisione, mentre invece attiva circoli viziosi di abiura della propria vocazione esistenziale d’umanità, e perciò - con le altre crisi di questo Tempo - sollecita a costruire la pace e promuovere, in uno con il principio di responsabilità dell’agire umano, un nuovo Umanesimo integrale che concretizza il dovere di prendersi cura nel rispetto della struttura naturale e morale dell’uomo. Ѐ perciò urgente sostenere l’alto grido di sofferenza del Santo Padre Francesco avverso ogni guerra, e raccogliere l’invito a non limitarsi a sperare la pace, ma a dedicarsi attivamente a costruirla contro ogni deriva nichilista.

Le nostre Città mediterranee, che nelle loro radici greco-romane e cristiane hanno memoria e coscienza dell’esistenza di un Ordine naturale, che è Lògos e Nòmos, sono chiamate a farsi anch’esse “guida”, come l’Europa di cui è la culla, ad elevarsi a simbolo di quella struttura naturale e morale dell’uomo, in quanto in esse è racchiuso quel “patrimonio spirituale e materiale di vitale importanza per tutta l’umanità, che le generazioni passate hanno affidato alle generazioni presenti perché sia trasmesso e aumentato e in nessun modo dilapidato” – così il primo punto della mozione conclusiva del convegno dei sindaci delle capitali mondiali promosso da Giorgio La Pira a Firenze nel 1955.

Da questi luoghi, che ne contengono le acque e sono il grande lago di Tiberiade, ogni uomo, cittadino e cristiano ha vocazione di fare proprio l’invito generativo di Giorgio La Pira, ad unire le Città per unire le Nazioni, pronunciato nel discorso del 2 ottobre 1955 “Le città non possono morire”, con il quale rivendicò il diritto delle Città all’esistenza e alla crescita materiale, culturale e spirituale, mentre i Sindaci di Mosca, Pechino, Roma e Washington dichiaravano che i governi degli Stati nazionali non avevano più diritto di bombardare le Città.

8. Nella direzione che si è da ultimo indicata appare infine meritevole d’essere brevemente segnalata la recente esperienza della Scuola di formazione organizzata da Acli e Fondazione Achille Grandi ed intestata proprio a La Pira, svolta a Bari il 27-29 ottobre scorsi. Ѐ stata infatti l’occasione per porre in atto e promuovere un metodo di costruzione del dibattito politico ispirato all’idea di sussidiarietà – ricordando trattarsi dell’autentica radice antropologica della comunità politica e insieme del fondamento ultimo dell’Europa dei Trattati (Preambolo e art. 1, paragrafo II, TUE) – con l’obiettivo dichiarato di dare vita in concreto ad uno spazio pubblico condiviso da costruire attraverso la partecipazione di autorità istituzionali, politici, amministratori locali e cittadini intorno al tema dei Comuni per un’Europa di pace e, nel medesimo orizzonte, a quello delle comunità locali per l’ecologia integrale e lo sviluppo sostenibile.

La Fondazione Achille Grandi è sembrata in particolare in qualche modo intenzionata a promuovere, coinvolgendo le Città in ideale continuità generazionale con quanto fece ormai quasi settanta anni or sono La Pira, una applicazione del principio di sussidiarietà al rapporto locale-globale, coniugando il principio di responsabilità dell’agire individuale di organizzazioni della società civile e quello dell’agire pubblico delle amministrazioni locali, con la difesa del patrimonio spirituale (ovunque voi andrete sarete una Polis!, ricordava Hannah Arendt richiamando la parola d’ordine della colonizzazione greca) e materiale costituito in Città.

E volgendo nello specifico l’attenzione alla cura dei diritti e della dignità di ogni uomo contro ogni guerra. Il sostegno delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, dunque di un’associazione di associazioni diffuse in lungo e largo sul territorio nazionale, ma anche in diversi  Paesi europei ed extraeuropei, ha così ispirato l’idea di promuovere la costruzione della pace dal basso, valorizzando la potenziale capacità delle comunità locali di costituire dinamiche di integrazione dei popoli attraverso iniziative (promosse per l’appunto da organizzazioni della società civile) generative di processi di unione delle Città per promuovere l’unione delle Nazioni, secondo la profetica intuizione di Giorgio La Pira.

In concreto, la Fondazione Achille Grandi ha adottato a conclusione dei lavori una dichiarazione con la quale ha anzitutto richiamato la vocazione dell’Unione europea (art. 3, I, TUE) e di ogni uomo, cittadino e comunità locale a promuovere la pace; quindi, ha riaffermato che ad ogni uomo compete e deve essere riconosciuto un diritto al godimento e alla difesa della vita e alla felicità, e che la sovranità statale è recessiva rispetto alla felicità pubblica; infine, ha espresso la necessità di condividere la responsabilità per la costruzione della pace e pertanto ha ripreso e fatto propria la richiamata mozione conclusiva del Convegno dei sindaci delle capitali mondiali.

Mozione la quale già dichiarava che si commetterebbe un delitto contro la civiltà umana e si arrecherebbe una irrimediabile perdita materiale e spirituale non solo per la generazione presente, ma per tutta l’umanità se a causa della guerra il patrimonio sacro delle Città venisse distrutto; e invitava perciò gli uomini responsabili del destino dei popoli a rinunziare alla guerra e a risolvere le vertenze internazionali con spirito di collaborazione, ricorrendo soltanto a negoziati pacifici e costruttivi; e altresì ad allargare ed intensificare le relazioni fruttuose fra i diversi Paesi allo scopo di sviluppare sempre più legami pacifici, tecnici, economici, sociali, politici, culturali, religiosi, edificando una pace giusta, stabile, operosa, fra tutti i popoli della terra.

La dichiarazione è stata sottoscritta dal sindaco De Caro, in qualità di Presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, e dai sindaci che hanno preso parte ai lavori della Scuola. Essa costituisce una proposta aperta per la successiva adesione di sindaci di altre Città, sia italiane che di Paesi europei ed extraeuropei, a cominciare da quelli del grande lago di Tiberiade, e sembra capace di promuovere nuove espressioni di multilateralismo di prossimità, pur esse volte a mettere in atto coerentemente la condizione di uomini, cittadini e cristiani, che si fa vocazione a fare pressione sui fattori del potere, manifestando la propria adesione a precisi modelli di recta ratio fondati da un antropologia cristiana o comunque da un’antropologia filosofica tout court, che in reciproca continuità riportano l’attenzione sulla concreta cura dei diritti umani e della Casa comune, nel loro intrecciato darsi.

E forse rappresentano anche un modo di costituire e proporre nuovi luoghi e spazi di conversazione, consultazione, risoluzione dei conflitti, come pure prefigura la Laudate deum, per attuare una maggiore democratizzazione nella sfera globale e consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune, attraverso una nuova procedura per il processo decisionale che si occupi del diritto di tutti e non preservi solo quello dei più forti (n. 43). A servizio dell’Europa di pace della cui costruzione intendiamo assumere la responsabilità, possa dunque alzarsi la voce nostra e delle nostre comunità, e farsi eco per questa nostra generazione di quella del Sindaco Santo, e appello di cittadini, comunità territoriali, uomini e cristiani. Appello di europei alla pace, secondo il paradigma e i principi di un’ecologia integrale, rivolto, come i nostri cuori, a tutte le Città e a tutti i fratelli, a cominciare da quelli sofferenti di Gerusalemme, Gaza, Kiev e Mosca.

Massimo Asero*

 

Massimo Asero

MASSIMO ASERO

Coordinatore Ufficio studi, ricerca e sviluppo, Fondazione Achille Grandi. Avvocato del Foro di Catania - Dottore di ricerca in diritto pubblico, Tor Vergata – Università di Roma. E’ stato direttore del Centro studi Acli Sicilia Mons. Cataldo Naro dal 2014 al 2018. Ha collaborato con la Cattedra di Diritto dell’Unione europea del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Catania tra il 2009 e il 2014, in qualità di cultore della materia. Attualmente collabora con la Cattedra di Diritto dell’Unione europea del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. E’ stato delegato per le tematiche europee dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Catania dal 2013 al 2014. Dal 2012 è membro del comitato di redazione di KorEuropa. Dal 2019 è impegnato nel Progetto Generazioni 2.0 in collaborazione con l’Istituto socio-politico Pedro Arrupe.