L’ADESIONE ITALIANA AL PIANO SCHUMAN

La contrapposizione internazionale tra il blocco occidentale e quello sovietico, alimentata dagli accordi sul piano Marshall, generò nel caso della Germania un momento di forte tensione. La Russia era convinta che gli aiuti americani ai tedeschi avrebbero contribuito ad una ripresa economica sbilanciata e quindi ad un riaccendersi degli animi nazionalisti legati alla dittatura da poco sconfitta.

Nel giugno del 1948 Stalin dispose il blocco degli accessi via terra a Berlino ovest, azione possibile perché la città era divisa tra gli alleati e quell’area era nella parte di territorio sotto occupazione sovietica. In uno scontro senza armi, che può essere considerato il primo della "guerra fredda", gli americani risposero rifornendo la città per dieci mesi con un ponte aereo e nel maggio del 1949, Stalin fu costretto a cedere e il blocco fu rimosso.

Gli avvenimenti in corso portarono alla rapida decisione di dar vita ad un nuovo stato tedesco, nato dalla fusione delle zone di occupazione americana, inglese e francese: la Repubblica Federale Tedesca che fu proclamata il 23 maggio 1949. La sua Costituzione prevedeva uno Stato liberal-democratico, saldamente ancorato al blocco occidentale e le prime elezioni in agosto videro la vittoria dell’Unione Cristiano-Democratica di Konrad Adenauer.

Sul fronte opposto, nell'ottobre del 1949, la zona di occupazione russa fu trasformata nella Repubblica Democratica Tedesca - DDR, che era governata da un sistema a partito unico di stampo sovietico sotto la rigida leadership di Walter Ulbricht. Nel cuore della nuova Europa si stava realizzando quello scontro ideologico che poteva avere importanti riflessi sulla pace e la stabilità da poco ritrovata.

In questo contesto e nella fervida iniziativa di carattere europeista che animava gli Stati occidentali, si inserì la storica dichiarazione del Ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio 1950. La Francia intendeva affrontare la questione di come tenere sotto controllo il futuro potenziale militare ed economico tedesco, legando il più possibile la Germania al blocco occidentale.

Il Piano Schuman, redatto in stretta collaborazione con Jean Monnet, proponeva che le risorse carbo siderurgiche francesi e tedesche, fossero gestite in comune sotto la direzione di un ente sovranazionale, con lo scopo di eliminare in modo progressivo tutte le tariffe in questi due settori sino alla fusione dei mercati nazionali.

Così si pronunciò Schuman: “Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime … Questa produzione sarà of erta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace.”.

Una svolta radicale quella francese che intendeva attivare una collaborazione sul piano strategico ed economico con lo storico nemico proprio per evitare ulteriori conflitti. Veniva quindi concepita una nuova ed inedita forma di collaborazione internazionale che non fosse soltanto consultiva o di carattere intergovernativo, ma che individuasse in un’autonoma realtà indipendente la cessione di sovranità sulle scelte nel settore carbosiderurgico.

Un settore fondamentale e strategico perché trattava delle materie per la produzione degli armamenti e che quindi avrebbe permesso una gestione del riarmo su base comune e una prospettiva economica di collaborazione nel settore industriale, così importante nella ricostruzione postbellica.

L’Alta Autorità avrebbe assunto decisioni vincolanti per gli Stati aderenti e soprattutto con la possibilità di adesione anche di altri Stati, si apriva finalmente la strada per una vera e sostanziale integrazione europea. Alle dichiarazioni di Schuman rispose entusiasticamente il cancelliere tedesco Konrad Adenauer che la considerava un’occasione unica per riportare la Germania su un piano di pari dignità a livello internazionale.

Il governo De Gasperi accolse con grande favore la proposta francese perché incarnava quanto l’Italia stava da tempo cercando di stimolare: la nascita di un’Istituzione sovranazionale europea con poteri propri. Ora che

si palesava questa opportunità, pur con alcune perplessità in quanto De Gasperi era più propenso ad investire sul tema dell’integrazione europea a partire dalla moneta unica o dall’esercito unitario, non la fece svanire considerando la portata successiva che avrebbe potuto generare.

Una collaborazione europea su base economica, che nel periodo storico così difficile e complesso, avrebbe permesso uno slancio verso una nuova fase di benessere e di stabilità politica. Durante quel periodo De Gasperi non mancò di sollecitare i partner europei su una visione a largo spettro: “Se due presidenti del Consiglio e quattro ministri degli Esteri, dopo infiniti rinvii e coll’aspettativa che è venuta crescendo nella pubblica opinione, si radunano, non [è] certo per discutere solo di questioni tecniche, scelta dei nomi per Alta Autorità e per Corte di Giustizia. Per quanto mi concerne almeno non intendo venire a Parigi per questo scopo limitato. Trattasi invece di riunirci per un esame politico della situazione, quale creata dall’entrata in funzione ef ettiva della prima Comunità dei Sei. Come sempre abbiamo sostenuto, le comunità (che finora rappresentano per noi soltanto scambi di idee) non sono concepibili come enti a se stanti, ma soltanto come elementi della costituenda Comunità Politica Europea. Ritengo pertanto essenziale che imminente conferenza si occupi in prima linea delle due questioni più importanti attualmente sul tappeto: 1) inizio concreto dei lavori per auspicata costituzione della Comunità Politica Europea; 2) sede non solo della CECA, ma anche della Comunità Europea Difesa.”

Il percorso parlamentare italiano di ratifica del trattato fu contrassegnato dalla sostanziale contrarietà del mondo economico e delle forze sindacali. L’industria privata italiana, che mancava nella visione a lungo termine e

soprattutto degli effetti politici del trattato, riteneva molto rischioso un unico mercato che avrebbe compromesso la produzione italiana non essendo concorrenziale con le imprese del Nord Europa.

Queste posizioni, figlie anche di una politica protezionista dell’impresa siderurgica italiana, furono comunque uno stimolo importante nel dibattito per valutare attentamente quale equilibrio fosse necessario per addivenire ad un risultato che tendeva, nel medio-lungo periodo, a contribuire alla rinascita economica italiana ma che non poteva essere svenduto per la pura ambizione dell’integrazione europea.

E in quel frangente emerse la capacità di De Gasperi, del ministro Sforza e di tutte le forze di maggioranza di far comprendere che la collaborazione internazionale avrebbe anche contribuito nel risolvere i problemi economici e sociali italiani. Un dibattito acceso anche dalle differenti posizioni politiche tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Infatti, se da una parte il sindacalista e Onorevole del PCI Giuseppe Di Vittorio nella seduta della Camera del 16 giugno 1952 dichiarava: “credo di non esagerare af ermando che la decisione, che la Camera sta per prendere, è fra le più gravi che siano state prese dal Parlamento Italiano nell’attuale legislatura, se non, forse, la più grave. Si tratta, con la ratifica del Trattato di cui discutiamo, della rinunzia da parte dell’Italia della possibilità di utilizzare secondo i propri bisogni e secondo i propri interessi lo strumento più formidabile che essa possiede in politica economica, cioè la siderurgia. 

Dall’altra parte l’Onorevole Gaspare Ambrosini relatore per la maggioranza rispondeva: “Sul terreno economico-sociale, Schuman venne ad af ermare la necessità - dell’uguaglianza nel progresso delle condizioni di vita della mano d’opera di queste industrie-, e ad escludere esplicitamente che il proposto pool avesse la natura di un cartello: - all’opposto di un cartello internazionale, tendente alla ripartizione e allo sfruttamento di mercati nazionali con pratiche restrittive e al mantenimento di profitti elevati, l’Organizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l’espansione della produzione -. Non si tratta quindi, onorevole Di Vittorio, della costituzione di un ente destinato a proteggere interessi particolaristici di monopoli, ma di una organizzazione internazionale creata per scopi prevalentemente politici, ai quali vanno in conseguenza subordinati i privati interessi particolaristici delle categorie interessate”.

Nella seduta del 16 giugno 1952 la Camera approvava ad ampia maggioranza il Trattato della Ceca, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio che comprendeva Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Enrico Galvan