Dopo più di due mesi di guerra, la tensione sale sul fronte ucraino, si allenta in Europa. L’offensiva russa prosegue con massicci bombardamenti sulle principali città ucraine e una lenta avanzata, contrastata dall’esercito di Kiev.

Mariupol è sempre sotto assedio e le nuove forniture di armi americane non hanno ancora fatto sentire i loro effetti. La gente muore lo stesso e di negoziati non se ne parla più. In un certo senso, la situazione è in fase di stallo. Chi si esaurirà per primo?

Corrono voci di una mobilitazione dei riservisti russi. Occorrono uomini, visto l’alto dispendio di vite umane. La supposta passeggiata militare russa sta diventando una voragine di uomini e mezzi.

La politica è assente. La guerra si concluderà sul campo e ci vorrà del tempo. Ma queste sono frasi fatte.

La questione grave è che in Europa si allenta la tensione a favore dell’Ucraina. Dopo i primi entusiasmi e la speranza che le sanzioni potessero indurre Mosca a rivedere i propri piani, cominciano ad emergere tutte le difficoltà di quel vaso di coccio che è l’Unione europea.

Tra Washington e Mosca è in corso una guerra non dichiarata. L’Europa è in mezzo, divisa tra i suoi interessi economici e i suoi rapporti di alleanza con gli Stati Uniti, mediati dalla NATO. Ma l’Europa non è un massiccio granitico. Tutt’altro. Ha molte velleità, ma non ha un esercito suo, non ha una politica estera vera, non ha altro che sensibilità opposte che ne fanno una specie di straccio umido che si può strizzare a piacimento, tanto non protesta. Non ne ha la forza.

Il nuovo, possibile assetto geopolitico di Putin ridisegna influenze politiche e militari tolte di peso dalla storia di settanta anni fa. La visione russa è territoriale: spazi di protezione per la potenza russa. Spazi che comprendono prima di tutto i territori europei russofoni e, poi, in seconda battuta, gran parte dei territori, in prevalenza slavi, che furono soggetti all’Unione sovietica: Ucraina, Moldavia e Trasnistria, Ungheria e Slovacchia, i Paesi baltici e (perché no?) la Polonia. La Bulgaria e la Romania, se il disegno riesce, verranno dopo, fino a toccare la Serbia, da sempre legata alla Russia.

In Ucraina si sta combattendo, in Ungheria e Slovacchia si esclude la possibilità del blocco delle importazioni di petrolio dalla Russia. Perfino in Germania ci sono molte perplessità. Non parliamo, poi, dell’ipotesi di un blocco delle forniture di gas che metterebbe in ginocchio Italia e Germania. La guerra in Ucraina si fa sulla pelle degli abitanti di quel Paese e sui possibili disastri dell’economia europea.

Stati Uniti e Cina sono egualmente lontani dal conflitto. Sul campo di battaglia ci siamo noi Europei, senza combattere, per ora e per fortuna. Ogni giorno l’Europa finanzia la guerra di Putin e si scarica la coscienza finanziando la guerra di Zelenski.  Un colpo al cerchio e uno alla botte, ma paghiamo sempre noi. Una situazione assurda.

La domanda è se, nell’apparente situazione di neutralità europea, siamo alleati dell’uno o dell’altro. Non è una domanda sciocca. È una questione essenziale.

Che c’importa dell’Ucraina, russa, non russa, russificata o no, divisa o territorialmente completa? Lasciamo perdere le questioni morali, che in guerra significano poco (del tipo: siamo tutti berlinesi o siamo tutti ucraini), la commozione sulle famiglie distrutte, i bambini abbandonati, le fosse comuni, i massacri di Bucha. Poi, accendiamo la televisione per vedere Ballate con noi oppure le esternazioni di Conte o di Letta.

Andiamo alla sostanza. L’Europa solidarizza con l’Ucraina o no? Se sì, occorre essere coerenti e procedere in una sola direzione: aiutare Kiev, tagliare i rifornimenti da Mosca, schierarsi con tutto il peso dell'Europa (se ne ha) a fianco dell’Ucraina.

Se, invece, la sorte dell’Ucraina non ci interessa più di tanto, o comunque, nel bilancio del dare e dell’avere, pesano di più i rapporti con Mosca, occorre prenderne atto. Solidarietà a Kiev quanta se ne può dare, ma gli interessi sono interessi e sono a favore di Mosca.

Un discorso cinico fra queste due alternative s’impone. Stare a metà del guado, snocciolando frasi commosse ma inutili, blaterando di negoziati che non si faranno mai e di moralità sull’invio di armamenti (di difesa, ma non di offesa, come se ci fosse una differenza) è roba buona per i media, ma non serve a nulla. Stiamo al caldo, mandiamo avanti le officine e intanto la gente muore, dall’una come dall’altra parte. Li stiamo assassinando anche noi.

Le guerre sono sempre senza senso. Una volta si facevano per i begli occhi di Elena o per l’onore di un Principe, oggi per un pezzo di terra o per un mercato in più. Producono solo devastazioni e sofferenze.

Se invece di spendere per armamenti la Russia vivesse meglio, tutti saremmo grati a quel governo. Se la cifra che investiamo in armamenti, dal Gabon alla Cina, dal Brasile all’India, si spendesse per risolvere almeno il problema dell’acqua in un pianeta per metà assetato, il mondo sarebbe migliore. Utopie.

Un’Ucraina devastata o un’Europa costretta a mendicare grano e gas non sono una prospettiva allettante per chiunque vincesse. L’Occidente è ferito nella sua impotenza.

Nella NATO ci siamo per bellezza e per antica consuetudine. Dell’America siamo alleati minori e svogliati. Siamo troppo ricchi per candidarci ai sacrifici, troppo deboli e compromessi per imporre negoziati di pace.

Era meglio la pandemia, meno compromettente.

 

Stelio W. Venceslai