LE ELEZIONI ITALIANE DEL 1948 E LA SPINTA AL FEDERALISMO

 

Gli equilibri sul piano internazionale erano strettamente legati anche alla situazione politica interna degli Stati. E’ importante sottolineare che l’Italia nel dopoguerra riuscì a trovare un’unità d’intenti per una riforma radicale ma democratica del proprio assetto, in un clima politico comunque di forte contrapposizione. Questo aspetto è estremamente rilevante per una nazione che si era trovata ad un bivio in cui poteva da una parte richiudersi in politiche autarchiche e nazionaliste oppure aprirsi all’Europa in una visione di condivisione di sforzi e obiettivi.

E la scelta definitiva su quale strada avrebbe imboccato l’Italia negli anni successivi, si concretizzò nelle elezioni politiche del 1948 che non furono una normale competizione tra schieramenti avversari, ma assunsero i caratteri di uno scontro tra due visioni completamente in contrapposizione.

Ai cittadini veniva proposta una scelta di campo ideologica, di modello di società e sviluppo economico con la Democrazia Cristiana sostenuta dagli americani da una parte e il Fronte Popolare (unione elettorale di PCI e PSI) sostenuto dai russi dall’altra. Alle prime elezioni politiche della Repubblica, fissate per il 18 aprile 1948, si arrivò in un clima di crescente tensione politica e sociale che era al limite di una guerra civile.

Scriveva infatti De Gasperi nel febbraio del 1948: “Italiani! Il governo democratico nazionale ha adempiuto ieri all’impegno preso solennemente innanzi all’Assemblea; le elezioni per la Camera e il Senato sono indette per il 18 aprile. Il nostro secondo impegno è quello di garantire che tali elezioni siano libere. A questo scopo tendono le misure del governo per il disarmo delle parti e quelle per potenziare le forze dello Stato, destinate a mantenere l’ordine pubblico e a proteggere imparzialmente il diritto della propaganda e del voto. Intendiamo procedere su questa via con inflessibile fermezza, perché tutti siamo fermamente convinti che la repubblica democratica si salva solo resistendo alle tentazioni della violenza e deferendo alla volontà popolare, espressa in libertà e nelle forme previste dallo statuto, ogni decisione circa la costituzione e l’esercizio del potere politico”.

In un clima esasperato, entrambi gli schieramenti diedero vita ad una campagna elettorale impostata sulla denigrazione dell’avversario, come un nemico del futuro e al servizio delle forze straniere. Una sorta di crociata ideologica si contrappose in quei mesi con la messa in campo di tutte le forme di comunicazione possibili per mobilitare le masse con una retorica certamente figlia anche dell’impatto che questo modo di operare aveva riscosso nel periodo fascista.

La Democrazia Cristiana godeva dell’aperto sostegno della Chiesa e del massiccio impegno propagandistico dei Comitati civici che sotto la guida di Luigi Gedda si impegnarono in modo estenuante per convincere al voto i cattolici e nell’istruire gli analfabeti e gli anziani su come votare la DC.

Lo stesso Papa Pio XII prese più volte posizione contro quei partiti che negavano Dio, che secondo la Chiesa avrebbero condotto la nazione in un periodo di buio religioso e di valori. Il Partito Comunista Italiano - PCI aveva partecipato ai primi governi di ricostruzione postbellica, nel contesto del CLN, con una politica di collaborazione da parte della dirigenza guidata da Palmiro Togliatti, che mantenne una linea di rinascita democratica del paese comunque nel solco dei principi della rivoluzione russa in cui credeva.

La costituzione del Cominform nel settembre del 1947, organo di coordinamento di tutti i partiti comunisti del mondo, impose però un cambio di linea della dirigenza italiana che si concretizzò nel VI Congresso del PCI del gennaio 1948 verso una linea più corrispondente all’ortodossia marxista-leninista. La contrapposizione dei blocchi della guerra fredda accese gli animi radicalizzando entrambe le parti su posizioni di netto conflitto.

La collaborazione con il Partito socialista italiano, reduce dall’importante risultato alle elezioni del giugno 1946 ma indebolito poi nei periodi successivi, si rafforzò pochi mesi prima delle elezioni del 1948 in un accordo per un blocco unico elettorale che agli occhi dell’Italia si mostrava comunque come la riproposizione delle formazioni e degli atteggiamenti dei partiti comunisti sotto la vincolante influenza russa.

Nacque così il Fronte Democratico Popolare, in aperta contrapposizione con le politiche del Governo De Gasperi che aveva inoltre agito nel quarto governo del giugno 1947 con l’estromissione delle forze di sinistra dalla compagine governativa.

Una campagna elettorale quindi con caratteri di estrema contrapposizione interna ma che ricalcava il quadro politico internazionale. Da una parte la difesa della democrazia e la convinta adesione al Piano Marshall e quindi agli aiuti americani, dall’altra la visione filosovietica con la spinta comunista per una radicalizzazione in contrapposizione al nuovo blocco occidentale.

De Gasperi in un comizio ad Enna nell’aprile del 1948 esplicitava questa situazione “Mi limiterò, quindi, a brevi considerazioni e la prima non può che riguardare i nostri avversari, e cioè il Fronte popolare e in modo speciale il Partito comunista che vorrebbero fare dell’Italia una seconda Grecia, ponendo l’uno contro l’altro gli italiani che, invece, perseguono solo la pace ed il benessere democratico conquistato attraverso un governo democratico. Questa democrazia io credo non esista in Russia e nei paesi satelliti di essa e voi ne siete più che consapevoli: ecco perché le elezioni del 18 aprile costituiscono la svolta decisiva per il popolo italiano al quale tutto il mondo guarda con ansia ed interesse.”.

L’esito elettorale fu molto più netto di quello che si era immaginato alla vigilia: il Fronte Popolare si fermò al 31% mentre la Democrazia Cristiana superò il 48% e con i suoi alleati centristi, arrivò a sfiorare il 55% dei consensi. I Socialdemocratici di Saragat, nati solo un anno prima da una scissione in casa socialista, presero il 7%; entrarono nel nuovo Parlamento anche i monarchici e i rappresentanti del Movimento Sociale Italiano, di chiara ispirazione fascista.

Con le elezioni del 1948 si concluse anche l’esperienza del Comitato di Liberazione Nazionale CLN, quel patto dell’unione antifascista che aveva idealmente sorretto i governi italiani dopo la liberazione. Un risultato elettorale che ridisegnò la mappa geopolitica dell’Italia con la Democrazia Cristiana egemone nel Nord-est, nel Lazio e al Sud mentre al centro i territori più a sinistra con Emilia Romagna, Toscana e Umbria.

Dopo le elezioni e la nomina di Luigi Einaudi a Presidente della Repubblica avvenuta l’11 maggio 1948, l’azione di De Gasperi fu quella di costituire un Governo sorretto anche da forze laiche e quindi composto da 11 democristiani, 3 socialdemocratici, 2 liberali, 2 repubblicani e 2 indipendenti. La linea federalista ed europeista era garantita anche dalla conferma al Ministero degli Esteri di Carlo Sforza. Si preparava quindi una nuova stagione, democraticamente riconosciuta e costituzionalmente supportata, in cui l’Italia poteva assumere una posizione ufficialmente favorevole alla costituzione di un’Europa federale.

Nel Parlamento Italiano di nuova elezione si costituirono, sia alla Camera che al Senato, i Gruppi parlamentari per l’unione europea che collaborarono in modo stretto e proficuo con De Gasperi e il suo Governo. “Essi contribuivano, infatti, con la loro attività, a dif ondere l’idea federalista, battendosi costantemente per l’unificazione politica dell’Europa e per la convocazione della Costituente europea e af iancando il governo nella sua battaglia a favore di un’Europa politicamente unita. Tra il 1948 e il 1954, i Gruppi - particolarmente coesi anche perchè ormai cementati da una pratica di azione e riflessione comune, in un susseguirsi di contatti personali, riunioni allargate, fitta corrispondenza - presentavano alla Camera e al Senato numerosi ordini del giorno e mozioni federaliste che, approvati a larga maggioranza, scandivano i dibattiti di politica estera di quegli anni.”.

Si muoveva quindi anche dal Parlamento Italiano, quella spinta europeista in una condivisione di sforzi e di intenti con il MFE - Movimento Federalista Europeo, il progetto politico apartitico fondato a Milano il 27-28 agosto 1943 da Altiero Spinelli e da alcuni antifascisti tra i quali Nicolò Carandini, Ernesto Rossi e Luciano Bolis, che mirava alla creazione di una federazione degli stati d’Europa e che costituiva la sezione italiana dell'Unione dei Federalisti Europei e del World Federalist Movement, fondati entrambi nel 1947.

Scriveva De Gasperi a Duncan Sandys, presidente del Movimento europeo nel dicembre 1948: “Caro Signor Sandys, sono lieto di poterLe comunicare la costituzione del Consiglio Italiano del Movimento Europeo. La costituzione è avvenuta, assumendone l’iniziativa i due gruppi parlamentari per l’Unione Europea del Senato e della Camera dei Deputati e con la partecipazione del Movimento Federalista Europeo e di personalità della vita culturale e delle organizzazioni sindacali ... mentre formulo per Lei e i Suoi cari i migliori voti di prosperità, auguro successo al nostro comune lavoro per l’intesa europea e la pace mondiale. Possano i nostri amici, e quelli in particolare che il Movimento Europeo oggi collega, sempre meglio comprendere quale valore possa e debba avere una più ampia e profonda partecipazione italiana a quella attività riflessa, ma di cui si avverte il portarsi in primo piano, che va dalla Assemblea Europea allo scopo finale dell’Unione d’Europa!” (Lettera di Alcide De Gasperi a Duncan Sandys del 22/12/1948 ).

Sul piano internazionale si andava rafforzando inoltre la collaborazione politica, economica e strategica tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti con la volontà di ragionare sulle modalità di far entrare la Germania occidentale nella compagine europea e soprattutto di come proteggere la nuova visione d’unità che stava prendendo forma.

Gli americani, in modo dichiarato, stavano investendo tempo e risorse in questo progetto diplomatico ma che si rafforzava ulteriormente dal favore riscosso anche delle popolazioni, come si è visto per le elezioni italiane. Anche per l’Italia la strada sembrava ormai tracciata verso l’Europa unita.

 

Enrico Galvan