1. DAL MANIFESTO DI VENTOTENE, UNA NUOVA ERA DI IDEE FEDERALISTE ED EUROPEISTE

Dopo la Prima guerra mondiale era emersa la necessità di una riflessione profonda sullo strumento della condivisione internazionale per garantire la pace fra gli Stati. Un percorso che non si sviluppò appieno per la miopia postbellica di rivendicazione e soprattutto venne messo in secondo piano all'emergere dei nazionalismi e delle dittature. In realtà fu proprio lo scoppio della Seconda guerra mondiale e il giogo asfissiante del nazi-fascismo che alimentarono in modo determinante il pensiero di molti nel comprendere che fosse giunto il momento di una presa di posizione in favore di una collaborazione tra gli Stati nazionali come strumento di pace tra i popoli.

Molti politici e donne e uomini di cultura si confrontarono in quel periodo su quali fossero però le forme di questa collaborazione e quali potessero essere i principi sui quali cementare questa rivoluzione. Attorno al moto di resistenza al regime nazista e fascista, il tema dell’Europa del futuro divenne predominante come riflessione e nacquero documenti e articoli su giornali o riviste clandestine che misero le basi per la ricostruzione politica dell’Europa.

Un esempio fondamentale di questa riflessione e del seguito che riuscì ad avere, fu il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, conosciuto come Manifesto di Ventotene. Questo testo fu realizzato nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante la loro permanenza forzata sull’isola di Ventotene dove stavano scontando le loro condanne inflitte dal Regime

fascista. Il Manifesto venne trasmesso clandestinamente, da alcune donne coraggiose come Ursula Hirschmann ed Ada Rossi e poi pubblicato nel 1944 da Eugenio Colorni, che ne curò la prefazione. Il testo nasceva in un luogo di prigionia, dove molti antifascisti ebbero modo di confrontarsi e trovarono in queste riflessioni sul futuro dell’Europa, uno strumento di resistenza intellettuale.

Il Manifesto di Ventotene si fonda sui principi di pace e libertà, e sull’idea di una rivoluzione democratica dell’Europa, nella quale una federazione di Stati avrebbe trovato in organi istituzionalizzati, la condivisione di obiettivi in politica economica ed estera.

Quindi un cambio di paradigma radicale sull’impostazione che aveva mosso gli accordi fino ad all’allora cioè basati esclusivamente su cessioni di sovranità per interesse specifico o per la forza dello Stato vicino, ma che avrebbero invece dovuto lasciare il passo ad una federazione come garanzia di autonomia. Allo stesso tempo luogo di dialogo in un’impostazione rafforzata da un proprio esercito e da decisioni comuni su politiche internazionali ed economiche.

Lo stesso superamento del concetto leggero di una Società delle Nazioni in una federazione, rende l’idea della concretezza che questo processo avrebbe dovuto portare per raggiungere obiettivi sia europei che mondiali. Scrivono Spinelli e Rossi: “Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi suf icienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l'autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.

Un testo che partendo da un’analisi lucida non solo del contesto bellico ma anche delle vicende socio-economiche e soprattutto dei limiti delle ideologie, pone in una rivoluzione politica il necessario riscatto delle libertà individuali. Dalla spinta impressa dal Manifesto di Ventotene, nacque in Italia nel 1943, il Movimento Federalista Europeo (MFE) e contemporaneamente anche in altri stati europei si svilupparono movimenti politici di stampo federalista che trovarono condivisione di intenti nella volontà di uscire dal pantano in cui si trovava la società dell’epoca.

Dalla Germania all’Inghilterra, dall’Italia al Belgio tra il 1946 e il 1947 si costituirono comitati, leghe e altri luoghi di condivisione che diventarono un cardine sociale e politico su cui i governi degli Stati impostarono i ragionamenti per le sfide che li avrebbero attesi negli anni della ricostruzione post bellica.

Sul lungo cammino dell'Europa unita e federale, come si è detto, molti uomini e donne ebbero modo di agire e confrontarsi in situazioni diverse e complesse in quanto alcuni in esilio, altri in prigionia e altri in clandestinità. Molti di questi saranno poi protagonisti nella Costituente e collaboratori di De Gasperi nelle sue azioni di Governo ma il fondamentale apporto che il dibattito sulla necessità di superare i nazionalismi aveva portato, andò oltre al semplice apporto culturale, era iniziata una rivoluzione democratica.

Tra le figure che si possono citare in questo contesto “rivoluzionario” vi è quella di Carlo Sforza (Montignoso, 23 settembre 1872 – Roma, 4 settembre 1952) che visse in esilio nel periodo tra le guerre. La sua storia di diplomatico e di politico nel Regno d’Italia fu interrotta dalla netta e forte opposizione al regime fascista per poi rientrare attivamente in Italia prima come presidente della Consulta Nazionale, l'assemblea legislativa provvisoria del Regno d'Italia, poi nell'Assemblea Costituente e successivamente ricoprendo l’incarico di ministro degli Esteri della Repubblica.

Il percorso del pensiero espresso da Sforza è sempre stato coerente nella ricerca di una modalità di intesa tra le nazioni europee che ponesse un freno a nuovi conflitti e che si basasse sull’interdipendenza tra stati: “Noi andiamo verso un mondo in cui i confini delle nazioni saran di più in più scritti col lapis, non con indelebile inchiostro. Noi andiamo verso un succedersi di eventi che tenderanno a por fine all’anarchia internazionale che il Covenant di Ginevra non eliminò, anarchia che dal 1914 al 1944 ci è costata trenta milioni di morti. La nostra missione sarà di farci araldi di questa nuova legge verso cui, volente o nolente, il mondo marcerà. Integreremo così il pensiero del Risorgimento e ci assicureremo – questa volta con una Vittoria morale – un posto d’onore nel mondo. Così, lo abbiamo visto in queste pagine, avremmo potuto fare a Versailles nel 1919 se ci fossimo messi risolutamente accanto a Wilson, invece di andare a Parigi con la mania di fare i «realisti», senza sapere che il vero realismo deve contenere tutto in sè incluse le ragioni ideali5. Sforza riconduce la stabilità interna anche dell’Italia in questo processo federativo ed è ricorrente il suo pensiero che i problemi italiani dovessero essere considerati come quota italiana di problemi europei.

Celebre precursore delle idee federaliste è stato Luigi Einaudi (Carrù, 24 marzo 1874 – Roma, 30 ottobre 1961) membro dell'Assemblea Costituente, Governatore della Banca d’Italia e Presidente della Repubblica Italiana.

Nel ruolo di giornalista portò avanti le tesi europeiste e già nel periodo appena successivo alla Prima guerra mondiale, da acuto osservatore e conoscitore delle vicende storiche, criticò la costituenda Società delle Nazioni in quanto riteneva non avrebbe realmente inciso nella pace duratura ma che l’unico obiettivo possibile fosse la costituzione di un’istituzione sovranazionale in cui vi fosse una responsabile e volontaria cessione di sovranità.

Scriveva nel 1918 dalle pagine del Corriere: Nessuno di questi trattati sarà una vera menomazione dello spirito di nazionalità. Perché solo le nazioni integrate, consapevoli di se stesse, potranno fare rinuncie volontarie che siano innalzamenti e non atti costretti di servitù. Soltanto le nazioni libere potranno vincolarsi mutuamente per garantire a se stesse, come parti di un superiore organo statale, la vera sicurezza contro i tentativi di egemonia a cui, nella presente anarchia internazionale, lo stato più forte è invincibilmente tratto dal dogma funesto della sovranità assoluta”.

Durante la Seconda guerra mondiale, Einaudi partecipò attivamente ai lavori dei gruppi federalisti europei e in particolare mantenne stretti rapporti con Ernesto Rossi a cui attribuiva grandi meriti per la stesura, assieme a Spinelli, del Manifesto di Ventotene. Un testo che era derivato anche dai consigli e dalle sollecitazioni di Einaudi e che quindi si sentiva di sposare appieno.

La sua produzione giornalistica e il suo apporto ai movimenti politici federalisti per l’Europa unita, furono di vitale importanza per definire anche i caratteri economici e statutari che non potevano prescindere dalla

rivoluzione in atto. Con Alcide De Gasperi si definì una stretta e rispettosa collaborazione che riuscì ad incidere nella politica italiana grazie alla loro concretezza.

Già nel primo dopoguerra, periodo in cui Einaudi fu Governatore della Banca d’Italia, il loro stretto rapporto si tradusse in atti tecnici e politici fondamentali per il difficile periodo storico in quanto andava mantenuto un responsabile equilibrio per ridare all’Italia un ruolo in Europa.

Scrive Einaudi da Governatore della Banca d’Italia ad Alcide De Gasperi il 13 febbraio 1946: “Allo scopo di continuare a tenere la S.V. pienamente informata sull'evolversi della situazione fiumana, soggiungo che il Direttore della nostra Sede di Trieste mi ha recentemente comunicato, chiedendo istruzioni, la proposta, appoggiata dalle Autorità Jugoslave, di scongelare la situazione bancaria fiumana mediante il trasferimento alla Sede di Trieste della posizione debitoria delle banche di quella piazza, con la promessa da parte jugoslava di autorizzare successivamente la riapertura delle nostre banche. Con la lettera, pure qui unita in copia, istruivo il suindicato direttore di evitare di impegnarsi in una proposta del genere che, per i motivi espostigli nella mia stessa lettera, non poteva rappresentare altro che un grave pregiudizio tecnico e politico per le posizioni italiane in quella zona”.

Le crisi sono un momento in cui si generano delle fratture importanti e si innescano dei cambiamenti. Dalla tragedia della Seconda guerra mondiale e dei totalitarismi sono germogliati degli spiriti di pace e libertà che non si sono fermati alla sterile sopravvivenza, ma hanno costruito una resistenza attiva e unito uomini, donne e idee pronte a soppiantare gli egoismi degli Stati per una condivisione del futuro. Un fermento che non trova eguali e che ha cercato di garantire un processo di pace attraverso la politica e l’impegno civile.

Enrico Galvan