Principe delle parole”: così lo omaggia Melba Ruffo, che con lui a lungo collaborò. “La sua aggettivazione – aggiunge il noto critico televisivo Aldo Grasso – conosce soltanto il bene, la sua cortesia lo ha fatto diventare un missionario delle buone maniere”. Per Sergio Saviane era invece “il puerpero di via Teulada” o “un mezzobusto da allattamento che sembra prelevato dalla vetrina della Rinascente”.

Devoto di Padre Pio, che lo unì in matrimonio a Teresa (in quell’occasione Gino Latilla vide il santo frate in bilocazione), Luciano Rispoli fece del garbo la sua cifra stilistica, come bene ha rilevato Pippo Baudo, anche se egli non amava - assicura Mariano Sabatini, che lo affiancò quale autore - l’aggettivo “garbato”. La sua era piuttosto una tivù dalle intenzioni educative, se non anche didattiche. Una televisione civile, e per farla zio Luciano si aiutava collo champagne, mica – diceva - con un qualsiasi vinaccio laziale. 

Rispoli autore e conduttore radiotelevisivo viene dall’esperienza delle Radiosquadre degli anni Cinquanta. Precursore de La Corrida con un suo spettacolo radiofonico a base di debuttanti e fischi, scoprì la Carrà (“Raffaella col microfono a tracolla”), Boncompagni (“Bandiera gialla”), Paolo Villaggio e Paolo Limiti. Ispirandosi ad una rivista di Macario del 1958 (“Chiamate Arturo 777”) ideò Chiamate Roma 3131, dove c’è l’uso del telefono che è tuttora alla base della radio di flusso. Con questo programma – ricorda lo stesso Rispoli – “mi accorsi di provocare il nucleo storico della radiofonia nazionale, cioè quei dirigenti che avevano certo un grande ruolo, ma non più di guida: avevano solo una posizione di peso per il loro status”. Venne poi Parola mia. Per aiutare – spiegava saggiamente Zio Luciano – a “scoprire le mistificazioni lessicali, che spesso nascondono quelle intellettuali e morali”.

Al “suo” Rispoli Mariano Sabatini ha dedicato un libro, come fosse una festa di fine produzione.

 

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Ruggero Morghen