Stimolato dall’ultimo articolo di Giorgio Merlo su “ Il Domani d’Italia” (NO alla DC, si a una Democrazia di ispirazione cristiana) ho redatto questa mia riflessione. Appartengo a quegli indomabili “ultimi mohicani democristiani” che, dal 2011, perseguono l’obiettivo della ripresa politica della DC, dopo che la Corte di Cassazione, con sentenza definitiva n.25999 del 23.12.2010, ha stabilito che: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.
Un progetto avviato da un’indicazione dell’amico Publio Fiori e dall’impegno assunto con il compianto Silvio Lega per l’autoconvocazione dell’ultimo consiglio nazionale del partito. Un’autoconvocazione che riuscimmo a realizzare nel 2012. Sono passati dieci anni e, tra vicende alterne, alcune delle quali dolorose, il 14 Ottobre 2018 si è celebrato il XIX Congresso nazionale della DC, nel quale Renato Grassi è stato eletto segretario nazionale.
La recente sentenza n. 10654 del 4.7.2022 del tribunale di Roma ha posto fine alla ridda dei se-dicenti capi e capetti di fantomatiche Democrazie Cristiane, che tanta confusione ha creato in molti amici presenti nelle diverse realtà territoriali. Comprendo le difficoltà di amici ex DC, i quali, avendo vissuto l’esperienza del passaggio dal PPI di Martinazzoli, Marini e Castagnetti all’Ulivo di Prodi e, quindi, al PD, dopo un lungo travaglio, si ritrovano adesso nella situazione ambigua e difficile di ex democratici cristiani (magari confortati dal perentorio giudizio dell’on, Bodrato sul “prezioso cristallo infranto”) senza un partito e con alle spalle una militanza infelice nel PD, nel quale, per dirla con Donat Cattin, alla fine hanno fatto esperienza di quell’aforisma secondo cui: “ è sempre il cane che muove la coda”.
Condivido con Merlo l’idea della costruzione di “una democrazia di ispirazione cristiana”, ma, nel contesto politico concreto dell’Italia oggi, alla vigilia di un confronto elettorale che si annuncia durissimo e su alcuni valori fondanti della storia politica della nostra Repubblica, come quelli della scelta nella politica estera, penso che servirebbe un partito organizzato, cristianamente ispirato, anche se non si desidera chiamarlo Democrazia Cristiana.
Nessuno di noi pensa di rifare la DC storica, semmai di concorrere a costruire un partito che si rifà a quella tradizione politica, nel contesto storico politico presente. Non basta richiamarsi a Sturzo e a De Gasperi, ai governi di Moro e Fanfani, alle grandi scuole della sinistra sociale di Donat Cattin e politico istituzionale di De Mita, se, alla fine, tutto ciò si riduce a una generica richiesta di “una democrazia di ispirazione cristiana”.
Come scrivo con monotonia anche su questo giornale, da molto tempo mi batto per la ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, per concorrere alla formazione di un blocco culturale, sociale, economico e politico istituzionale, nettamente schierato per l’Unione europea e per la scelta atlantica in politica estera, coerentemente con la migliore tradizione politica della DC.
Un blocco che, mi auguro, possa costruire alle prossime elezioni una lista unitaria progressista, alternativa alla destra nazionalista e populista, nella quale il ruolo della parte democratico cristiana e popolare sia ben garantito. Per quest’obiettivo serviranno tutte le diverse parti oggi frastagliate e divise dalla lunga stagione della diaspora e servirà, al contempo, superare anche quella situazione di stallo, di surplace, di amici come gli ex popolari già presenti nel PD, i quali hanno il dovere di riconoscere i limiti di un partito che ha permesso lo sviluppo e l’egemonia sempre più diffusa di una cultura radicale di massa, contraria ai valori fondanti non negoziabili di noi cattolici in materia di persona, vita e famiglia.
Una cultura che allontana dal voto non solo i teocom, ma molti elettori ed elettrici del terzo stato produttivo ( artigiani, agricoltori, commercianti, piccoli e medi imprenditori, professionisti) che credono nei principi indicati dalla dottrina sociale della Chiesa. Essenziale sarà trovare un minimo comun denominatore che, nella situazione politica attuale, aggravata dalla crisi aperta da Giuseppe Conte e da ciò che resta del M5S, ritengo possa proprio trovarsi nella scelta unitaria euro atlantica e in un progetto di politica economica, finanziaria e sociale in grado di garantire l’equilibrio tra gli interessi dei ceti medi produttivi e quelli delle classi popolari.
In questo contesto, non servono le polemiche superficiali e gli astratti riferimenti a progetti ideali, ma, piuttosto, metterci tutti veramente alla stanga, per costruire una formazione politica e una lista elettorale che, permanendo questo indecente sistema elettorale, possa competere in alternativa democratica al blocco conservatore sovranista e nazionalista guidato da Fratelli d’Italia e dalla Lega salviniana.
Ettore Bonalberti