Tra una brutta aria a livello geopolitico per le tante guerre in corso col rischio elevato, enunciato dal ministro della difesa inglese, di una terza guerra mondiale. Una situazione tanto più delicata per un Paese come l’Italia, la cui politica estera è a trazione divergente tra l’atlantismo della presidente e del ministro degli esteri e il filo putinismo di Salvini.
Una situazione unica nella storia della repubblica italiana quella di un governo sostanzialmente diviso sulla politica estera. Una divisione che si estende anche con riferimento alle elezioni presidenziali americane, con Taiani, in equilibrio prudente tra i due contendenti e Salvini dichiaratamente schierato pro-Trump.
Il voto contrario della Meloni alla rielezione di Ursula von der Leyen a presidente dell’esecutivo UE, auguriamoci che non appanni l’atlantismo apertamente abbracciato dalla presidente del consiglio e sempre confermato, anche se la diversa posizione dei due vicecapi di governo consegnano l’Italia alla tradizionale condizione di dubbia affidabilità per i partners internazionali. Prime avvisaglie le recenti indicazioni delle presidenze di commissione nel parlamento europeo, in attesa di vedere ciò che accadrà nella formazione dell’esecutivo.
Certo Meloni col suo NO alla Von der Leyen appare molto più vicina a Salvini che a Taiani e questo non giocherà certamente a favore dell’Italia nell’assegnazione del commissario nel governo europeo che si sta costruendo.
D’altra parte, anche sui temi istituzionali del governo di centro destra si è espressa criticamente la commissione UE, sulla base delle indicazioni dell’associazione dei costituzionalisti europei, giungendo a formulare esplicite riserve sulle modifiche annunciate su magistratura e premierato dalla Meloni, ossia sui meccanismi di check and balances previsti nella Costituzione italiana, sollevando anche dubbi che possano portare a maggiore stabilità. Critiche altrettanto pesanti su riforma dell’ abuso d’ufficio e sulla capacità di combattere la corruzione, specie tenendo presente la quantità di risorse pubbliche in gioco con i fondi del PNRR.
Si aggiunga la mancata assegnazione del ruolo di inviato per il fronte Sud della NATO, come era nella richiesta formulata espressamente dal nostro governo; la perdita del consiglio di vigilanza della Bce e la guida della Bei, tutti fatti che dimostrano le difficoltà oggettive sul piano internazionale da parte di una classe dirigente che appare ai nostri interlocutori debole e ambigua. E dire che l’Italia non è mai venuta meno, anche durante questo governo, ai numerosi impegni ai quali è stata chiamata in campo sia politico che militare.
Se in politica estera paghiamo dazio per le nostre contraddizioni, anche per la situazione interna italiana le cose non vanno meglio per il governo. Con un debito che sfiora i tremila miliardi di euro il ministro Giorgetti ha dovuto rivedere al ribasso le previsioni di crescita rispetto alla Nadef, considerando che un deficit del 7,2% del PIL è molto lontano dal tetto del 3% previsto da Bruxelles. Ci sarà una quasi sicura procedura di infrazione per disavanzo eccessivo, mentre solo per confermare le misure che scadono quest’anno, tra bonus e una tantum, serviranno quasi 23 miliardi.
Non potendo toccare spese indifferibili (quelle militari che ci chiedono al rialzo e di sostegno alle missioni all’estero) e nemmeno fare deficit extra, il governo dovrà decidere cosa sacrificare e dove prendere i soldi alla bisogna. Tutto ciò mentre si aggrava il rapporto con i cittadini per la crisi strutturale della sanità, il conflitto apertosi con le imprese farmaceutiche e del settore sanitario(payback sui dispositivi medici) e con gli annunciati referendum, non solo sui temi del lavoro ( la CGIL è riuscita a raccogliere oltre 4 milioni di firme già depositate in Cassazione), ma, prevedibilmente, sulle tre riforme cardine degli equilibri di governo: autonomia differenziata, premierato e magistratura.
Anche sul fronte trasporti, materia del dicastero di Salvini, le cose non vanno per nulla bene, specie nel pieno di un’estate, stagione privilegiata del turismo interno e internazionale: treni, aerei e trasporti al collasso con disagi e ritardi, ferrovie in panne, code in autostrade e nei porti.
Serve impegnarsi a costruire con pazienza e determinazione un’alternativa seria e credibile al governo di Meloni-Salvini-Taiani che, a mio parere, dovrebbe iniziare dalla base, ricomponendo nelle diverse realtà locali momenti di partecipazione democratica di natura civica, considerata la crisi prevalente generalizzata dei partiti. Una partecipazione basata sulla regola del pensare globale e agire locale, che, è la sostanza della democrazia.
Quanto emerso dalla rete degli amministratori nella recente 50^ settimana sociale dei cattolici è illuminante e a settembre è annunciato un incontro di consolidamento di quanto avviato a Trieste. Noi DC e Popolari non possiamo essere estranei da questo movimento positivo che si è avviato nella nostra area culturale, sociale e politico istituzionale.
Confido che gli amici impegnati nel tavolo dei DC e Popolari favoriscano questi passaggi decisivi per la ricomposizione politica dell’area cattolica, costituendo senza rinvii il comitato di coordinamento e collegandosi col comitato per i referendum, nel quale far sentire forte e chiara la volontà dei DC e Popolari di impegnarsi sui referendum per il NO alle tre riforme indicate dal governo.
Sarà quello il terreno nel quale, insieme a quanto emergerà dalle diverse realtà locali, si potrà sperimentare l’avvio di quel centro ampio e plurale che favorirà una possibile alternativa omogenea a quell’alleanza europea che ha sostenuto l’elezione della leader del PPE, Ursula von der Leyen, alla guida della Commissione europea.
Ettore Bonalberti