Il 12 luglio scorso, nella prestigiosa Sala della Regina della Camera dei Deputati il Ministro Valditara ha illustrato i risultati delle prove Invalsi 2023.
Leggendo i dati Invalsi si ricava che: “Metà dei giovani che termina le superiori non è in grado di comprendere quel che legge”.
Il dato riporta anche una discriminante territoriale, per cui alcune regioni del Sud e delle isole (Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) presentano delle criticità maggiori rispetto al resto del Paese. In controtendenza, le regioni Abruzzo, Molise, Campania e Puglia, che fanno apprezzare un lieve miglioramento rispetto ai dati precedenti.
Ovviamente, allo stato attuale la valutazione è fatta sulle macro-aree, non disponendo ancora dei dati delle singole scuole. Si potrebbe decidere di considerare delle attenuanti derivanti dalla chiusura delle scuola a causa del Covid, ma i pannicelli caldi non ci devono illudere, in quanto il dato rilevato con le prove INVALSI 2023, sono pressochè identiche a precedenti rilevazioni, per cui è necessario affrontare il problema nella sua complessità e senza indugiare oltre.
Nell’ultima Rilevazione PISA (Programme for International Assessment) svoltasi nel 2018, i cui risultati sono stati resi disponibili dal 3 dicembre 2019,la rilevazione valuta le competenze chiave essenziali acquisite dagli studenti quindicenni appartenenti ai Paesi OCSE compreso l’Italia. La rilevazione ha interessato ben undicimila studenti quindicenni italiani, per valutare le competenze raggiunte nella lettura, nella matematica e nelle scienze, attraverso un questionario uguale per tutti.
Gli studenti italiani che si sono sottoposti al test, hanno mostrato che solo il 4% sa distinguere tra fatti e opinioni quando leggono un testo di un argomento a loro non conosciuto, e il 25% mostrano difficoltà con gli aspetti di base della lettura. Le rilevazioni per la matematica possiamo globalmente definirle soddisfacenti, mentre per le scienze si assiste a una vera e propria “caporetto”.
Il problema non va sottaciuto e meno che mai sottovalutato, se è vero che per ottenere risultati in questo campo, mediamente si attendono ben 25 anni, dopo aver avviato concretamente riforme strutturali del sistema di istruzione e di apprendimenti.
La Democrazia Cristiana postula un modello di scuola con una robusta formazione nelle aree disciplinari capisaldi delle conoscenze, in altre parole la ricerca di un progetto di scuola formativa e del merito, rifuggendo da un modello che vede privilegiare “La scuola dei progetti”, sostituendola, invece, con un modello di scuola che abbia una progetto univoco, variegato e arricchito da esperienze formative territoriali, senza intaccare lo zoccolo duro predefinito per raggiungere standard europei e mondiali apprezzabili. Il presente lavoro vuole offrire spunti di riflessione e sane provocazioni sugli aspetti messi in luce dalle varie rilevazioni, rifuggendo l’ormai invalsa predisposizione a registrare i dati, spesso catastrofici e, puntualmente trasferire il tutto nel dimenticatoio, anziché affrontare il problema e ricercare le soluzioni, coinvolgendo nel dibattito anche gli operatori scolastici che dovrebbero attuare le strategie che si andranno a predisporre.
Questa riflessione riguarderà le patologie della lingua italiana, specificatamente la lettura e la comprensione del testo, analizzando il fenomeno che vede approfondire sempre più il divario di conoscenze e competenze rilevato tra gli studenti del nord, quelli del centro, del sud e delle isole, e tra i Licei i tecnici e i professionali in altri approfondimenti per cui questo partito assume l’impegno di avviare una riflessione più ampia e articolata.
Si è provocatoriamente citato l’apprendimento delle competenze, nell’ottica di definire una volta e per sempre, che non ci potrà essere mai competenza in assenza delle conoscenze, nella consapevolezza che la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite (competenze) non potrà mai concretizzarsi se viene a mancare il patrimonio delle conoscenze. Quindi scimmiottare insegnamenti per “competenze” ci sembra un modo di voler copiare qualche altro sistema formativo che dovrà ancora dimostrare la sua tenuta nel tempo e nella qualità.
I risultati disastrosi evidenziati nelle rilevazioni OCSE-PISA sono confermati, purtroppo, anche dai test Invalsi 2023, laddove emerge una scarsa capacità di comprendere, utilizzare e valutare; incapacità che si manifesta nel distinguere tra fatti e opinioni quando gli alunni leggono un argomento non familiare.
Gioverà tracciare la linea di discrimine da quando è iniziato questo processo involutivo, ricercando fatti e ragioni che ne hanno determinato l’andamento, ripercorrendo le tappe storiche più significative che hanno modificato gli assetti scolastici, successivamente alla riforma gentiliana.
A nostro parere, il punto di snodo si è avuto a partire dall’anno 1958, quando si cominciò a delineare il progetto di una scuola media unica con il conseguimento dell’obbligo scolastico a 14 anni.
La battaglia per introdurre l’obbligo scolastico è stata una conquista straordinaria, non altrettanto si può dire per quanto concerne quella condotta dall’allora PCI (Partito Comunista Italiano) di cancellare il latino dai programmi di studio di quel segmento formativo.
Tale posizione trova riscontro in un intervento del senatore comunista De Simone che così si esprimeva in un suo intervento in Parlamento:”.. le forze che in seno al Governo di centro-sinistra hanno imposto il nuovo indirizzo nella nuova scuola media obbligatoria sono, non c’è dubbio, le forze conservatrici, le forze che si ispirano alle gerarchie vaticane, le forze che vogliono mantenere con il latino e attraverso il latino la scuola media strutturata sul privilegio di classe e sulla discriminazione”.
Tale posizione rappresentava il pensiero ufficiale dell’intero Partito Comunista, riportata anche in numerosi articoli apparsi sull’Unità, organo di stampa dell’allora PCI, nel quale era approfondito il tema del latino che stava per andare in discussione al Senato. L’articolo, citato testualmente, riportava che: ”La permanenza del latino fra le materie d’insegnamento costituiva, per esempio, un elemento molto grave, in quanto lasciava in piedi una discriminazione oggettiva nei confronti degli alunni provenienti da famiglie operaie e contadine”.
Tale assurda e anacronistica posizione risultava essere, oltre tutto, fortemente offensiva proprio nei confronti di quegli alunni provenienti dalle famiglie operaie e contadine, in quanto si postulava che costoro, per la loro condizione sociale erano ipodotati e incapaci di apprendere, al pari dei loro coetanei provenienti da famiglie agiate.
Si affermava, quindi, che i figli della povera gente erano biologicamente inferiori, privi dell’intellettualità proprie del genere umano. Purtroppo tale posizione era, con sfumature e motivazioni diverse, la posizione a cui si ispiravano le forze politiche di sinistra, ivi compresi i repubblicani.
In tale contesto storico, la vicenda assunse connotati pedagogici, etici, morali e politici rilevanti, in quanto il Paese era governato da una coalizione di centro-sinistra. Un ruolo di mediatore lo assunse un deputato socialista della Costituente, tale On. Tristano Codignola che, anche se pubblicamente, egli e il suo partito, non si erano mai espressi a favore o contro l’insegnamento del latino nella scuola media, lasciando all’alunno la possibilità di scegliere tra lo studio del latino oppure un’altra materia. A nulla valse l’impegno profuso dall’Onorevole Aldo Moro, che di concerto con l’allora Ministro Gui, si adoperarono per scongiurare, con tale compromesso, la cancellazione del latino dal piano di studi della prima classe della media, mentre in seconda l’insegnamento dell’italiano avrebbe dovuto contenere elementari conoscenze di latino, mentre il “capolavoro” si concludeva prevedendo l’insegnamento facoltativo in terza classe.
Le prove di tale compromesso sono presenti negli atti della VII Commissione Istruzione della Camera dei Deputati, laddove è riportato: ”E’ con poche differenze, il latino come è già configurato nei vigenti programmi della scuola media, ma con una particolare considerazione per coloro che tale studio non continueranno, ai quali non si vuole imporre uno sforzo inutile, ma con un preciso obiettivo pedagogico-sociale, si vuol fornire un elemento di esperienza che, senza pesare come materia autonoma, consenta loro di decidere con una qualche cognizione di causa se tale studio intendano o no continuare”.
In tale contesto storico, la riforma della scuola media prevedeva l’obbligo scolastico a 14 anni, pertanto oggi tale assurda posizione enunciata nelle motivazioni innanzi enunciate riprese dagli atti della VII Commissione Istruzione della Camera dei deputati non avrebbe senso, in considerazione dell’innalzamento dell’obbligo scolastico/formativo a 18 anni.
Il compromesso raggiunto che dette vita alla legge 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione e ordinamento della scuola media statale, rappresenta uno degli obbrobri perpetrati a danno delle future generazioni, calpestando la capacità formativa del latino per un miglior apprendimento dell’italiano, per tutti gli alunni provenienti da qualsivoglia classe sociale, rinunciando colpevolmente a uno studio che avrebbe consentito il miglioramento non solo didattico degli alunni, ma anche ad un non trascurabile, accrescimento morale ed educativo.
Mentre il Governo era alla ricerca di soluzioni pasticciate, con mediazioni di basso profilo, L’Unità proseguiva nel suo attacco feroce e classista nei confronti del latino, giudicando le posizioni assunte dalla maggioranza e del Governo, una contraffazione delle reali possibilità che la nuova scuola doveva offrire. La DC, purtroppo, pur riconoscendo il valore formativo del latino, aveva accettato una mediazione di basso profilo che prevedeva il confinamento di tale studio solo nella terza classe e anche facoltativo, pur riconoscendo che tale studio non era più complesso di altre discipline.
A nulla erano valse le pressioni del mondo cattolico che considerava il latino come un’arma culturale che doveva sconfiggere la cultura positivista, postulando una scuola media aperta a tutti, anche a coloro che, per la presenza di una materia così impegnativa come il latino, fosse garanzia di un buon livello culturale, e di offrire a coloro che avrebbero continuato gli studi, soprattutto quelli classici, di avere conoscenze preziose per tale percorso formativo.
Nel corso del tempo tale compromesso è stato gradualmente smontato, realizzando il sogno della sinistra di cancellare definitivamente lo studio del latino dal percorso della scuola media non fornendo più nè risorse economiche e tanto meno professionali, assestando un colpo mortale anche alla Chiesa, ricordando che all’epoca, le messe venivano celebrate in lingua latina.
Per onestà intellettuale va detto, che sull’argomento si era espresso anche Antonio Gramsci, pensiero ripreso dai quaderni dal carcere, il quale, in antitesi con la posizione del PCI e dell’Unità, così si esprimeva: “Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere, ma che continuamente si ricompone in vita. Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale”.
La capotica riforma introdotta con la legge 1859 non ha dato risposte neanche alle ipotesi postulate da Gramsci, lasciando scorrere il decadimento della conoscenza della lingua latina, della lingua italiana e la capacità di anali e di sintesi.
L’analfabetismo di ritorno cui è destinato il popolo italiano è in graduale e costante crescita, ragion per cui dobbiamo porre rimedio, rifuggendo dal semplice esercizio della registrazione dei dati negativi preoccupanti, avviando coraggiosamente riforme serie e coraggiose; tra queste, a nostro sommesso parere, dovrebbe trovare spazio e condivisione l’insegnamento del latino come materia a se stante, insegnata da docenti con percorso formativo specifico .
L’analisi storica ripercorsa deve provocare un serio dibattito tra i soggetti decisori per evitare nuove riforme che rischierebbero di non risolvere i problemi, e anzi di aggravarli.
Il malessere che vive la scuola italiana secondo alcuni è causato dai numerosi progetti che, in alcuni casi, potrebbero essere fuorvianti per gli alunni; la Democrazia Cristiana non giudica negativamente il proliferare dei progetti, ma ritiene che la genesi del malessere debba essere ricondotto al fatto che purtroppo manca un progetto di scuola.
A parere nostro, l’aver abolito l’insegnamento del latino nella scuola media nel 1978 ha inferto un duro colpo anche a tutti gli indirizzi della scuola secondaria di secondo grado, particolarmente ne hanno risentito i percorsi liceali e la stessa università.
Lo studio delle lingue classiche dovrebbe rappresentare un’occasione di riflessione sulla lingua italiana, in quanto lo studio del pensiero degli antichi pone lo studente in condizione di meglio comprendere i mutamenti culturali a cui la nostra società va incontro quotidianamente.
E’ indubbio che la lingua italiana sia profondamente radicata nel latino, e lo studio di questa disciplina rappresenta un potenziamento delle abilità di scrittura e lettura, oltre a concorrere significativamente nella formazione e nella crescita della personalità sviluppando il senso critico. Altro che lingua morta!
Lo studio del latino rappresenterebbe non un ritorno al passato, né tantomeno un privilegio classista, ma sarebbe la vera innovazione della didattica funzionale che porterebbe al perfezionamento della comunicazione verbale e scritta della lingua italiana, affinando e consolidando le competenze sociali e di cittadinanza necessaria per il percorso formativo, di crescita dei nostri studenti e della futura classe dirigente.
Un ministro in fuga, del recente passato, all’atto della pubblicazione dei dati così si esprimeva: “Questi risultati ci preoccupano perché è un problema che ci trasciniamo da troppo tempo, se ora non interveniamo rischiamo di pregiudicare il futuro di una generazione, i dati non sono particolarmente diversi da quelli che abbiamo visto nella precedente rilevazione, ma sono molto peggiori di quelli di una ventina di anni fa se paragonati al duemila. Si denota una significativa difficoltà del mondo scolastico italiano e della capacità di apprendimento dei giovani…… Serve un’inversione di tendenza importante; bisogna tornare a parlare di scuola, tornare a volergli bene rafforzando anche il ruolo degli insegnanti”.
Le parole della meteora rappresentata dall’ex Ministro Fioramonti ci fanno capire che il Dicastero di viale Trastevere aveva finalmente preso atto del degrado inarrestabile, probabilmente aveva intuito che l’arco temporale tracciato era compatibile con gli effetti prodotti dalla soppressione dell’insegnamento del latino nella scuola media.
La mancanza di una visione culturale, politica e strategica della Scuola, l’Università e la Ricerca, nonchè di finanziamenti significativi, costituisce l’ulteriore elemento di appiattimento e di involuzione dei vari percorsi formativi; non dobbiamo attendere le prossime rilevazioni per avviare un serio progetto di riforma, coinvolgendo TUTTE le forze politiche, gli operatori scolastici, le associazioni, l’Accademia dei Lincei, l’Accademia della Crusca, i sindacati, le forze cattoliche e quanti hanno a cuore le sorti della scuola, dei loro figli e della società futura.
La democrazia Cristiana, con questo documento avvia un percorso di rivisitazione delle varie problematiche che investono il mondo della cultura, della scuola pubblica e privata, delle Università e della Ricerca, offrendo spunti di riflessione senza delegare ad altri il proprio pensiero. Siamo ben consci che la non presenza in Parlamento del nostro partito potrà essere un ulteriore ostacolo a far avviare una sana e costruttiva riflessione, ma siamo altrettanto consci che la giustezza delle IDEE rappresenta una forza d’urto difficilmente sopprimibile.
Confidiamo nella lungimiranza del Ministro Valditara, dell’intero Governo e del Parlamento italiano, affinchè si possa avviare da subito un dibattito costruttivo che ci porti verso una riforma seria, abbandonando la politica del “vogliamoci bene”, per andare nella direzione di una riforma coraggiosa che ci faccia uscire dalle sabbie mobili nelle quali ci dibattiamo da anni.
Sgombriamo il campo da equivoci, il malessere del quale si è parlato diffusamente in questa riflessione non riporta per ovvie ragioni, della condizione degli altri segmenti formativi e, particolarmente preoccupante rilevare che anche il segmento della Scuola Primaria, da sempre fiore all’occhiello della scuola italiana, nelle recenti rilevazioni Invalsi mostra preoccupanti crepe.
L’entusiasmo che abbiamo non potrà essere spento facilmente, saremo il “grillo parlante” che darà voce a quanti aspirano a migliorare la qualità della vita e con essa l’istruzione.
Ricercheremo il sostegno di tutti, famiglie, politici, organi di stampa e quanti hanno a cuore le sorti della nostra società e dei giovani, consci che le nostre proposte sono scevre da posizioni pretestuose e, meno che mai, partigiane.
L’ipotesi che si avanza tiene conto degli attuali assetti nella scuola Secondaria I grado, laddove sono previsti due modelli di articolazione oraria: quello relativo al tempo scuola ordinario e quello relativo al tempo prolungato.
Il quadro orario delle discipline nella scuola Secondaria I grado è regolamentato dall’art.5 del Regolamento sul primo ciclo, approvato con DPR n.89/2009, dove si stabilisce quanto segue:
“L’orario annuale obbligatorio delle lezioni nella scuola secondaria di I grado e’ di complessive 990 ore, corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento riferita agli insegnamenti di materie letterarie. Nel tempo prolungato il monte ore e’ determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40, comprensive delle ore destinate agli insegnamenti e alle attività e al tempo dedicato alla mensa [….]”
Il quadro orario attuale, settimanale e annuale delle discipline e le classi di concorso per gli insegnamenti nella scuola Secondaria di I grado viene esplicitato nel dettaglio nelle tabelle inserite nel succitato DPR n.89/2009, come di seguito riportato:
QUADRO ORARIO RISULTANTE DALLA PRESENTE PROPOSTA:
settimanale |
annuale |
|
Italiano, Storia, Geografia |
9 |
297 |
LATINO |
2 |
66 |
Matematica e scienze |
6 |
198 |
Tecnologia |
2 |
66 |
Inglese |
3 |
99 |
Seconda lingua comunitaria |
2 |
66 |
Arte e immagine |
2 |
66 |
Scienze motorie e sportive |
2 |
66 |
Musica |
2 |
66 |
Religione cattolica |
1 |
33 |
TEMPO PROLUNGATO |
||
settimanale |
annuale |
|
Italiano, Storia, Geografia |
15 |
495 |
LATINO |
2 |
66 |
Matematica e scienze |
6 |
198 |
Tecnologia |
2 |
66 |
Inglese |
3 |
99 |
Seconda lingua comunitaria |
2 |
66 |
Arte e immagine |
2 |
66 |
Scienze motorie e sportive |
2 |
66 |
Musica |
2 |
66 |
Religione cattolica |
1 |
33 |
La proposta che si avanza è quella di due ore settimanali per tutte le classi.
Il costo della proposta che si avanza è calcolato sulla base di 1.649.031 alunni frequentanti le tre classi della scuola secondaria di primo grado nell’anno scolastico 2020/21, il calcolo viene effettuato su base empirica dividendo il numero degli alunni 1.649.031 diviso 25 (numero medio di alunni per classe).
Sempre empiricamente si ricavano che in detto anno hanno funzionato, mediamente e complessivamente 65.960 classi
Avendo ipotizzato due ore per classe, con cattedra di 18 ore, le cattedre che scaturiscono sono 65.960 x 2 ore = 131.920 ore complessive; 131.920 : 18 ore cattedra= 7.328 cattedre di latino.
Il costo da sopportare per l’erario calcolato in via presuntiva è il seguente:
le 7.328 cattedre totali, dalle quali andrebbero scorporate quelle del tempo prolungato, in quanto all’interno del quadro orario esistente e, per le altre bisogna calcolarle per ½, per aver utilizzato un’ora di Attività di approfondimento in materie letterarie.
Con una retribuzione media di €. 30.000,00 annuali, comprensive degli oneri riflessi, il costo medio annuale compreso la 13^ mensilità, ammonterebbe a circa €. 14.656.000,00.
Sarebbero soldi dei contribuenti ben spesi perché sarebbero di giovamento per gli alunni, generando posti di lavoro; ma nell’ipotesi che il Governo non voglia o non possa investire tale ridicola somma nel contesto del bilancio della Pubblica Istruzione, si potrebbe proporre una sperimentazione di durata almeno triennale, ma obbligatoria in scuole, percentualmente divise tra nord, centro, sud e isole, con verifica puntuale degli effetti di ricaduta rispetto agli obiettivi prefissati.
Alessandro Calabrese