Coniò l'espressione di cattolici adulti – ha detto Corrado Ocone - per giustificare posizioni politiche non in linea con la dottrina della Chiesa di Roma. Ad ogni modo, dopo i fischi ricevuti al Motor show – siamo verso la fine del 2006 –, Romano Prodi tornò nella sua casa culturale celebrando il fondatore di quella “scuola di Bologna” di cui era l’ultimo erede in politica: don Giuseppe Dossetti, ricordato in un convegno a dieci anni dalla morte. 

Le relazioni di quel convegno riconobbero che il cattolicesimo debole di Dossetti era lontanissimo dalle attuali tendenze della leadership ecclesiale, ma cercarono di rivalutarlo da tre punti di vista. Anzitutto, Dossetti avrebbe previsto il declino della presenza cattolica in Italia, le chiese vuote cui non ponevano rimedio le piazze piane degli ultimi Papi. In secondo luogo, quello di Dossetti sarebbe un messaggio profetico quando invita la Chiesa a sciogliere il suo plurisecolare matrimonio con la filosofia greca per accettare una “povertà” che la renda aperta a tutte le culture e capace di incontrare in modo pacifico le altre religioni, islam compreso. Mentre altri ritiene che si possa dialogare solo a partire da una consapevolezza forte dell’identità occidentale, radicata precisamente nell’eredità greca e in quel rapporto armonico tra fede e ragione che invece manca all’islam.

Infine, il convegno di Bologna volle strappare a Dossetti l’etichetta consueta di “cattocomunista”, ricordando che nel 1948 il padre spirituale di Prodi aveva votato per De Gasperi e non per Togliatti e che neppure negli ultimi anni egli aveva accettato realmente il marxismo. “È vero - concorda  Massimo Introvigne in un articolo per Il Giornale -: la posizione di Dossetti, come quella di Prodi, è puttosto terzaforzista”. “Nella Guerra fredda – argomenta il sociologo romano – Dossetti capisce di non potersi schierare con l’Unione Sovietica per una serie di ragioni geopolitiche e religiose, ma nello stesso tempo non ama gli Stati Uniti e cerca di posizionarsi a metà strada. È questa – conclude Introvigne – l’eredità di Dossetti più cara a Prodi”.

Eredità cara non solo a Romano Prodi ma anche a suo fratello Paolo, che fu mio insegnante di storia moderna all’università di Trento (feci con lui il mio primo esame a Sociologia). Ricorda dunque Paolo: “Quando da ragazzo seguivo i comizi di Dossetti a Reggio Emilia, nella campagna elettorale del 1948, pensavo per il mio futuro naturalmente a un impegno nella politica attiva. Poi, nel 1953-54, decisi di condividere nel mio piccolo la sua proposta di abbandonare ogni responsabilità e di dedicarmi allo studio della storia come condizione preliminare e indispensabile per comprendere il presente e agire per trasformare la realtà”. “Il rapporto con Dossetti – confidava il compianto storico bolognese - ha inciso profondamente non soltanto sul mio cammino di ricerca ma anche, come punto di riferimento e di tensione dialettica, sulla mia vita complessiva”.

Per questo Paolo ha dedicato al suo maestro un volume che costituisce una preziosa testimonianza autobiografica, arricchita e circostanziata da documenti personali, sul magistero di Giuseppe Dossetti e sulla cerchia di studiosi che con lui animarono il Centro di documentazione, fondato nel 1952 a Bologna. Storia di un’esperienza di impegno cattolico che ha lasciato un segno rilevante nella politica italiana, nella Chiesa e nel mondo della ricerca. 

Di nuovo Romano, nel centenario della nascita di “don Pippo”: “Dossetti ha vissuto con un’intensità straordinaria ogni dimensione della propria complessa e ricca personalità alimentandosi ad una spiritualità ed ad una fede antiche e totali. Ci lascia doni e insegnamenti grandi sul piano etico e civico. Gli dobbiamo tutti e tanti molto di ciò che di buono sappiamo essere. Abbiamo il dovere di trasmetterlo nella forma più autentica a chi non ha avuto la gioia di conoscerlo”. 

 

Ruggero Morghen