Il colpo di mano di al-Jolai ha messo a soqquadro il Medio Oriente e le Cancellerie dei Paesi più importanti.

In Siria il regime di Bashar al-Assad è finito. La folla esulta. La guerra continua su tutti i fronti. Israele varca i confini siriani scendendo dalle montagne del Golan, gli Stati Uniti effettuano 75 missioni di bombardamento sulle basi siriane dell’Isis (ma non era stato sconfitto?), i Kurdi sono all’attacco, sperando che sia la volta buona di avere uno Stato, Libano e Giordania chiudono le frontiere ai profughi. Povera Siria!

Cerchiamo di capirne qualcosa.

Chi è Bashar al-Assad? Baššār Ḥāfiẓ al-Assad è (è stato) un politico e militare siriano, Presidente della Siria e Mushīr (generale, guida o capo) delle forze armate siriane.

La dinastia degli Assad ha dominato la Siria dal 1970, da quando Hafez, il padre di Bashar, prese il potere con un colpo di Stato. Da allora il loro regime è stato tra i più corrotti e repressivi. Pur di restare al potere, hanno sterminato centinaia di migliaia di persone tra oppositori, ribelli e dissidenti. Ad esempio, nella città di Hama (1982) Hafez al Assad inviò l’esercito a schiacciare una ribellione fomentata dai Fratelli musulmani. Usarono i carri armati contro la popolazione e si stima che furono uccise circa 40 mila persone.

Degno erede è stato il figlio Bashar. Quando i tumulti dovuti alla “primavera araba” arrivarono in Siria (15 marzo 2011), usò le stesse tattiche paterne: colpì subito e in maniera spietata. Mandò i carri armati a Daraa (dove erano iniziate le manifestazioni ostili) e la polizia politica cominciò a torturare ed arrestare gli oppositori. La città rimase sotto assedio per 11 giorni, senz’acqua, cibo ed elettricità.

Cominciò una guerra civile che non è mai finita, ma il regime fu sostenuto dagli Hezbollah, dall’esercito iraniano e, infine dalla Russia di Putin.

Il collasso del Paese permise l’avvento dell’Isis nella Siria orientale. Ciò provocò un intervento (2014) di forze militari internazionali, guidate dagli Stati Uniti. L’ISIS perse buona parte dei suoi territori in Siria, ma furono necessari altri quattro anni prima della sua fine apparentemente definitiva con la caduta della città di Baghuz e l’uccisione del califfo Abu Bakr (2019).

Negli ultimi anni la situazione si era stabilizzata con la riconquista di alcuni territori da parte di Bashar mentre il Kurdistan siriano era rimasto nelle mani dei Kurdi.

Ora, quasi all’improvviso, i ribelli islamisti guidati Abu Muhammad al-Jolani, hanno scatenato una rivolta che ha portato alla dissoluzione dell’esercito siriano e alla defenestrazione di Bashar.

Chi è al-Jolani? Uno che ha “fatto” l’Isis, al-Qaeda, il ribelle filoiraniano e ora si professa democratico, tollerante religioso e amico dell’Occidente. Un versipelle. Ma, soprattutto, chi gli ha finanziato l’impresa?

Non è facile da capire la tragedia siriana. Ciò che avviene sulla scena ha molti retroscena confusi, data la presenza di molteplici interessi contrastanti. Cinquantatré anni di regime alawita, una derivazione minoritaria dello sciismo, lasciano strascichi lunghi a morire.

Intanto, chi non è morto è Bashad, vivo e vegeto con la famiglia, accolto dall’amico Putin. Farà più freddo che a Damasco, ma la pelle è salva. È già qualcosa. Che rotolino le statue dei dittatori o si brucino le loro immagini va benissimo. Finire come Gheddafi in Libia o Saddam in Iraq, ammazzati come animali da macello, invece, è sempre orribile. La giustizia del popolo.

Già, quale popolo? Il popolo osannava ieri Bashad e oggi al-Jolani. Se per avventura Bashad tornasse a Damasco ci sarebbe sempre un popolo pronto a battere le mani e a gridare “siamo finalmente liberi!” Non facciamoci ingannare. Il popolo conta poco o nulla. I mestatori non compaiono. Solo pochi sanno cosa c’è dietro.

Nel tormentato Medioriente si è rotto ogni equilibrio ed è difficile al momento indicare chi ha vinto e chi ha perso o chi è solo preoccupato. Sulla pelle della Siria hanno giocato l’Iran, che sembra essere perdente, come la Russia, che teme per le sue basi in Siria come proiezione nel Mediterraneo della propria flotta,

Sembrano vincenti gli Stati Uniti (con Trump o senza Trump), nemici da sempre di Bashar per le sue strette relazioni con l’Iran e la Russia, e i Kurdi che, al momento, hanno solo un nemico, quello di sempre: la Turchia.

Preoccupati, invece, lo sono tutti, a partire da Israele, impegnato su tutti fronti, che già abitualmente effettuava raid aerei in Siria e che ora muove le truppe nel territorio siriano, al di là delle alture del Golan, a suo tempo strappate alla Siria.

Poi c’è la Turchia di Erdogan, questo ambiguo commensale della NATO ma amico di Putin, negoziatore importante nel caso ucraino, feroce oppositore dei Kurdi, grande mestatore dovunque possa spuntare un risultato utile per la sua politica. Una Siria che tornasse ad essere uno Stato e non un regime potrebbe dargli parecchio fastidio.

Assenti, invece, tutti i Paesi arabi, al solito, e l’Europa, peggio di sempre.

Della vera tragedia del popolo, quello che non applaude, di cui gran parte è dispersa un po’ dovunque, non si preoccupa nessuno. Milioni di profughi si accalcano alle frontiere chiuse o nei porti per imbarcarsi. Sarà un’altra tragedia nella tragedia.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunirà quanto prima. Al solito, sarà una riunione inutile ma permetterà, almeno, di capire meglio le posizioni reciproche. Chi rappresenterà la Siria? Gli scherani del deposto Bashad oppure gli emissari di al-Jolani?

Prepariamoci, intanto, alla nuova ondata di profughi che arriverà dal Mediterraneo.

 

 Stelio W. Venceslai