Nella mia biblioteca personale trovo vari suoi scritti, risalenti soprattutto agli anni Settanta e pubblicati dalla Curia arcivescovile tridentina o dalle Edizioni diocesane. Sono messaggi pastorali o per la Quaresima; sono omelie crismali. Il primo opuscolo è sull’apostolato dei laici nella Chiesa, con la presentazione della nuova dottrina conciliare; l’ultimo è “Sulla via della pace” e segna il suo commiato dalla comunità trentina.

Di mons. Alessandro Maria Gottardi (1912-2001) conservo inoltre, piuttosto vivi, due ricordi. Il primo è a Varone per la Cresima. Siamo nell’Alto Garda trentino ed io sono il ragazzino incaricato di leggere il saluto preparato dalla maestra Rita Pellegrini. Le prime parole sono, come usava, “Eccellenza reverendissima”. Il secondo ricordo è nel capoluogo presso Villa San Nicolò, dove il vescovo di Trento (ormai emerito) risiedeva. Lo incrocio per i corridoi della casa e lo incontro con altri giovani che lì frequentavano – nei fine settimana - la Scuola di preparazione sociale fondata dal compianto professor Demarchi ed allora animata dai vari Cristelli, Cattoni, Morandini.

Un altro, più vivo ricordo di mons. Gottardi è quello di don Armando Trevisiol, che lo ebbe quale insegnante di teologia, peraltro – confessa - non molto simpatico. Mons. Gottardi giocò in effetti  un ruolo molto importante nella Chiesa veneziana. Nato da una notissima e agiata famiglia di farmacisti, si laureò a Roma nella facoltà di teologia, fu per lungo tempo vicario generale e contemporaneamente si occupò dei laureati cattolici, pur mantenendo la sua cattedra di teologia in seminario. Infine la Santa Sede lo nominò vescovo di Trento, città in cui visse fino alla morte.

“Io in verità – confida don Trevisiol - fui più amico di suo fratello Piero, per molti anni amministratore della San Vincenzo cittadina, proprio nel periodo in cui io ero assistente eclesiastico. Mentre Piero era un veneziano purosangue, cordialone ed espansivo, Monsignore era un docente rigoroso, pignolo, cerebrale, motivo per cui la materia ch’egli insegnava non mi fu mai molto simpatica. Il suo insegnamento era piuttosto formale, artificioso e soprattutto supportato da dispense che davano poco spazio all’anima mia, che aspirava ad una religiosità di largo respiro”.

“Comunque ogni incontro – conclude don Armando - deposita qualcosa di valido in chi lo riceve. In questi giorni ho provato riconoscenza per mons. Gottardi, se non altro per averci segnalato la bellezza di certe collette della liturgia eucaristica, motivo per cui per due settimane ho pregato con più entusiasmo ed intensità”.

 

Ruggero Morghen