Nel dicembre del 1916 Giacomo Matteotti legge Gabriele d’Annunzio, che gli sembra una “bellissima cosa mancata”. Qualche mese dopo, conclusa la lettura de Le vergini delle rocce (“la seconda parte migliore”), chiosa così: “Poche bellezze sparse in troppa magniloquenza vana. È però forse il libro più dannunziano di D’Annunzio, quello che rappresenta cioè i suoi poco simpatici seguaci” (10 maggio 1917). Il 4 maggio 1920 da Chieti, dopo un giro sui paesi della Maiella: “Tutto il paesaggio di D’Annunzio. Mi sono fermato specialmente a Guardiagrele, che è nel Trionfo della morte”. Aggiunge quindi una nota di colore: “Gente simpatica gli abruzzesi; conservano un po’tutti il modo di essere e di parlare immaginoso di D’Annunzio”. 

Alla produzione del Vate – nota Maurizio Degl’Innocenti – Matteotti dedicò in effetti un’attenzione tutta particolare, pur rilevandone con disappunto (“peccato”) il progressivo esaurirsi della vena creativa. Del poeta di Pescara il socialista polesano s’era peraltro già occupato in un articolo scritto per il periodico “La Lotta” il 21 maggio del 1915, ossia tre giorni prima della dichiarazione di guerra: Allora – nota Gianpaolo Romanato – è un ventinovenne, semisconosciuto agitatore di provincia. “Ognuno di noi – scriveva nell’occasione Matteotti – ha visto il degno poeta d’Italia, in quel piccolo mantenuto di donne, fuggito in Francia per debiti, e restituitoci per porto affrancato dalla massoneria repubblicana”. E ancora: “Prepariamoci ormai a veder dilagare la menzogna… e Rapagnetta [d’Annunzio, ndr] venderà una gesta per ogni decade”. L’articolo si conclude così: “Orsù, lavoratori, che fate? Levatevi il cappello, passa la patria, e ormai più non ci sono socialisti; passa la rovina, passa la guerra, e voi date ancora la vostra carne martoriata”.

Il 2 maggio, tre giorni prima del comizio di d’Annunzio a Quarto dei Mille, c’era stato a Rovigo un comizio contro la guerra: oratore, con Aldo Parini, proprio Giacomo Matteotti. In realtà – nota Pino Casamassima – invece d’un comizio ci fu uno scontro dialettico con la folla. “Matteotti argomentava con passione contro il trionfo della violenza qual era la guerra, trovando come controparte una folla dominata da spiriti dannunziani votati all’azione”. Un altro “confronto” a distanza tra il poeta e il deputato avviene nel 1922, allorché Baldesi prende l’iniziativa d’incontrare Mussolini e d’Annunzio per esplorare l’ipotesi di una riunificazione sindacale sotto gli auspici del capo del fascismo. Turati – ricorda Mauro Canali – con un’intervista al “Mondo” dà copertura all’iniziativa e suscita, di conseguenza, la reazione rabbiosa di Matteotti, contrario alla manovra avvenuta ad insaputa della direzione del Psu. 

 

 Ruggero Morghen