Caro Bernabei,
Permettimi di esprimere i sentimenti che si affollano nel mio cuore per la ricorrenza del 40º anniversario della fondazione del partito popolare; ricorrenza che la DC ha voluto ricordare con particolare cerimonia, riconfermando così una data significativa nella storia dei cattolici e della nazione.
I collaboratori di quei giorni, ancora presenti e attivi nella vita politica del paese, sono come me grati a coloro che, nel ricordo del passato, rivivono idee, direttive, emozioni, propositi, che allora ebbero una sanzione storica nelle lotte elettorali, parlamentari, sindacali; il cui epilogo, lo scioglimento del partito, non volontario ma per decreto di autorità, a coloro che rimasero in patria appartati e agli altri che conobbero terre straniere, diede il diritto della continuità ideale, nell’attesa fiduciosa di un ritorno alla libertà.
Questo momento arrivò nelle condizioni più tragiche e dolorose per la Patria nostra; avremmo preferito di scomparire, come persone non come idee, dalla faccia della terra, anziché vedere il crollo del nostro paese.
Ma sia pure con nome diverso e in condizioni differenti il nucleo centrale del popolarismo fu ricostituito nell’insegna “Libertas”, per concorrere alla rinascita nazionale come sicuro apporto del pensiero cattolico e democratico, nella libertà e nel progresso.
Il popolo, la città, la famiglia che non hanno tradizioni non arrivano ad acquistare facilmente propria personalità. La tradizione affonda nel passato e da un sentire comune fatto di convinzioni e sentimenti, di lotte e vittorie, di dolori e gioie; tempra e richiama a metodi sperimentati e a costumi affinati col tempo. Lo stesso è dei partiti: liberali e repubblicani si richiamano al Risorgimento, punto di partenza dell’unità nazionale e delle libertà costituzionale e degli albori democratici.
Noi cattolici non ci leghiamo ai neo-guelfi per il contenuto storico del momento, ma per la loro partecipazione al movimento risorgimentale, anche se questo prese posizioni che in parte sembrarono ostili alla Chiesa e in parte lo furono effettivamente.
Mai, da allora in poi, i cattolici dissociarono i problemi religiosi da quelli nazionali per una specie di laicismo avanti lettera o di un naturalismo sul quale si appoggiò il liberalismo razionalista. Per le coscienze cattoliche e italiane fu una dura prova la lotta antivaticana e antireligiosa sotto la insegna della massoneria, che tentò di prendere il dominio politico. Ma mentre la parte militante dei cattolici italiani, seguendo il non expedit si appartò dalla vita politica attiva, rimase effettivo il doppio contributo della difesa religiosa e della preparazione civica.
Dal convegno di casa Campello nel 1789, ai tentativi conciliatoristi falliti, si arriva nel 1904 alla timida iniziativa dell’Unione Romana poco prima dello scioglimento dell’Opera dei Congressi, e alla riunione di Milano promossa da Filippo Meda e altri poco dopo tale scioglimento; fino a che si arriva al discorso di Caltagirone del dicembre 1905, che fu il punto di orientamento e di partenza del Popolarismo.
Questo non nacque bell’e formato come Minerva dalla testa di Giove; fu la lenta e laboriosa preparazione teorica e pratica di un decennio con parziale distacco dalle candidature poste con il permesso dell’autorità ecclesiastica, caso per caso e culminato nel patto Gentiloni, verso il quale la parte democratica dei cattolici si irrigidì nella disciplina del non expedit, per acquistare una propria personalità politica libera.
Tale tradizione popolare è la più interessante e più proficua per la continuità storica delle forze cattoliche nella politica italiana; tenendo ben presente di non pretendere di interpretare o rappresentare la gerarchia ecclesiastica né l’azione cattolica, pur sicuri di poter attuare senza equivoci il pensiero etico-politico-sociale di ispirazione cristiana.
Né il partito popolare di ieri pretese alla impeccabilità; né la Democrazia Cristiana di oggi si presenta con la spavalderia della infallibilità. Ma nello attuare i punti programmatici che rispondono alla tradizione italiana e cattolica, nelle condizioni storiche del presente e con le prospettive concrete dell’avvenire, è dovere dei capi e degli associati mantenere intatta la propria personalità storica, e non ripiegare la bandiera che li designa e li caratterizza.
Così il passato si rinnova nel presente; il legame di continuità è vivificato dallo spirito che aleggia nella convinzione e nella fiducia che l’apporto di ieri e quello di oggi possono ben essere riuniti nelle prospettive di un migliore avvenire.
Gli amici della DC, che leggono le mie critiche senza sottintesi, si domanderanno se nulla sia cambiato del mio pensiero di allora e se posso sinceramente augurare alla DC la continuità della presente politica.
Uno dei punti principali che differenzia il passato dal presente è quello dello statalismo. I popolari affermarono lo Stato nazionale ma combatterono lo Stato accentratore. La DC trovò rafforzato lo Stato accentratore e lo statalismo culturale, economico e, dentro certi limiti, anche religioso. Posizioni diverse; ma lo spirito statalista oggi permane e si diffonde sotto l’aspetto sociale, al quale sono sensibilissimi molti democristiani, che forse non ne valutano le conseguenze.
L’altro punto, che seduce, è l’apertura sinistra, non tanto come difesa da un certo destrismo che guarda ad esperienze latine passate e presenti; quanto come elemento completivo della stessa DC per la statizzazione economica atta a contrastare certi monopoli privati.
Su tutto questo statalismo, quale ne siano le finalità dei promotori, incombe lo spettro dei comunisti (io penso dei social-comunisti) i quali sono in Italia più numerosi e meglio organizzati che negli altri paesi civili di qua e di là dell’Atlantico.
La savia e previdente politica di De Gasperi per il Patto Atlantico e per l’Unione Europea, è stata fino a oggi quella che ha dato la maggiore garanzia alla nostra Italia; De Gasperi è così anche oggi l’anello fra il passato e il presente, il popolarismo di ieri e la democrazia cristiana di oggi. La sua figura nella piazza di Trento non significa solo il compimento della unità nazionale nel 1918, ma la conservazione della stessa unità della Patria nella sua indipendenza e libertà del maggio 1947 e dell’aprile 1948.
Ai popolari vecchi e nuovi oggi nel 40º della comune bandiera “Libertas”, bandiera di combattenti e di crociati, una commossa stretta di mano.
Luigi Sturzo