Anno zero del fascismo. Il 23 marzo 1919 Mussolini promuove in piazza San Sepolcro l’adunata dell’antipartito per “stendere su tutta l’Italia – così si esprime – una rete formidabile di Fasci”. A Milano gira sempre accompagnato dai suoi seguaci, da mutilati di ogni arma, da ufficiali ed arditi. La sua influenza nei fasci di combattimento, in quelli degli arditi e dei volontari – nota l’ispettore Gasti – è grandissima. Siamo nel primo fascismo, o protofascismo come lo definisce Mimmo Franzinelli. 

Lo storico bresciano rileva che, nel frattempo, Giacomo Matteotti prosegue a suo modo la missione di studioso nel rapporto “pedagogico” che instaura colle masse lavoratrici del Polesine. “Il socialismo – ricorda il delegato polesano al congresso di Bologna – ha fini essenzialmente etici, ai quali disconviene la violenza che sia un proposito e non una necessità”. “Abbattere la borghesia – dirà in altra occasione – è il meno. Il più è costruire e preparare il socialismo dentro di noi”. L’Avvenire d’Italia lo dipinge come un giovane colto e intelligente, mentre la Nuova Terra, elogiandolo, assicura che egli “ha collocata la canea interventista sul tavolo anatomico”. 

Franzinelli, autore di “Giacomo Matteotti e Benito Mussolini. Vite parallele dal socialismo al delitto politico” (Mondadori 2024), osserva che il deputato del Polesine, sconfitto politicamente in vita, diventa post mortem – con una rapidità che ha dell’incredibile – il martire civile per antonomasia: destino che, però, finisce per ingabbiarlo in un ruolo e, paradossalmente, nasconderne l’autentica valenza politica. Mentre la distanza prospettica del secolo può ora agevolare l’inquadramento esatto e l’interpretazione corretta della sua figura, ispirata ad un socialismo municipale – così almeno agli inizi della sua azione politica – rischiarato da idealità egualitarie.

Lo storico di Cedegolo, che icasticamente definisce il delitto Matteotti “il dramma italiano del 1924”,  ritiene fuorvianti al proposito le teorie della matrice affaristica, vero e proprio tormentone smentito da vari storici (cita al riguardo Alatri, Arfè, Melograni) “concordi sull’ininfluenza del movente affaristico rispetto al fattore politico”. Del pari fuorvianti sarebbero le teorie delle trame internazionali, delle connivenze monarchiche e delle piste massoniche, mentre sulle controverse (e mai chiarite) dinamiche del ritrovamento del cadavere di Matteotti, l’autore rinvia senz’altro al Delitto Matteotti di Mauro Canali (Il Mulino, Bologna 1997).

In margine alla sua ricerca Franzinelli auspica la redazione di un’affidabile biografia di Aldo Finzi, pioniere del fascismo in Polesine, che ne sottolinei “l’apporto fondamentale allo squadrismo e alla presa del potere fascista”, mentre non le manda a dire ad Enrico Tiozzo, ritenuto autore fantasioso di più monografie d’ambientazione matteottiana destituite di senso comune e straordinariamente bizzarre, tanto che vien quasi voglia di leggerlo. Non manca infine, già nella prefazione, un accenno a Piero Gobetti, l’intellettuale più affine a Matteotti – così almeno ritiene l’autore – per coerenza e sensibilità etico-civile, tanto che già nel luglio del 1924 gli dedicava il primo, acuto, medaglione biografico. 

 

Ruggero Morghen