Grande uomo politico e di notevole cultura, nacque a Genova e morì a Roma a circa novant’anni, all’inizio del nuovo millennio. Durante i sette anni in cui fu ministro degli Interni, gli amici scherzosamente lo chiamavano PET, facendo riferimento alle iniziali del suo nome. Ho avuto l’opportunità̀ di conoscerlo in occasione dell’accettazione della sua nomina, dopo la scomparsa di Luigi Meda, a presidente del Centro Culturale G. Puecher di Milano, proposta da Cesare Grampa, direttore del Centro. Tale nomina fu accolta all’unanimità̀ e con grande soddisfazione.

Il giovane Taviani fu presidente del CLN di Genova e costrinse i tedeschi alla resa. Si racconta che si allontanò dalla sua abitazione spingendo una carrozzina per bambini colma di armi micidiali. Riuscì̀ a sfuggire ai controlli e a raggiungere i gruppi partigiani, di cui divenne il capo con il nome di «Comandante Pittaluga», e fu poi decorato con una medaglia d’oro. Molto più̀ tardi, quando divenne senatore a vita, fu nominato presidente nazionale dell’ANPI, carica che mantenne fino alla morte. Personaggio di vaste letture, aveva quattro lauree in materie umanistiche e fu docente all’università̀ di Genova.

E, come se non bastasse, per tutta la vita fu presidente mondiale della Società̀ di Studi su Cristoforo Colombo, ma ebbe anche la carica di presidente mondiale dei Cavalieri di Cristoforo Colombo, del quale si può̀ considerare il più grande esperto, tanto che i suoi libri su Colombo navigano nelle biblioteche di ogni dove. Uomo brillante, caustico, con uno spiccato senso dell’umorismo, suscitò l’interesse di De Gasperi, che lo fece diventare per un anno segretario del partito della DC nonostante la sua giovane età. 

Ricoprì vari ministeri, ma viene ricordato soprattutto come ministro degli Interni, anche se preferiva autodefinirsi «ministro di polizia». Concepiva infatti una grande ammirazione per un noto ministro di polizia giacobino, Fouché, che fu anche al servizio di Napoleone. Probabilmente li accomunava la brillante intelligenza, il senso dell’umorismo e il coraggio. Una volta il ministro francese, rischiando grosso, disse a Napoleone che aveva appena dato un sinistro ordine di morte: «Maestà̀, quello che avete fatto è molto peggio di un crimine, è un errore».

A Taviani piaceva ficcanasare nella vita privata di tanti personaggi noti, non per ricattare, ma solo per il gusto di essere informato. In effetti, da questo punto di vista, può̀ essere considerato un vero e proprio maestro di Cossiga che una volta, in un mio articolo, avevo definito uno degli alari del caminetto di Taviani. Gli piaceva spettegolare sulle tendenze sessuali dei vari politici e, con buona pace del presidente della Puglia, Vendola, vi posso assicurare che ne aveva individuati parecchi all’interno della DC con gli stessi gusti.

Lui, invece, sposato e con un nutrito gruppo di figli, diceva che le belle signore amava soltanto guardarle. Era un democristiano laico come pochi e forse ciò̀ ostacolò la sua ascesa ai più alti livelli della politica. La sua laicità̀, però, non gli impediva di intrattenersi in piacevoli incontri conviviali con i sacerdoti. Ricordo che mi trovavo in un ristorante di Rapallo con mia moglie e i miei figli. A un certo punto, apertosi l’uscio di una sala attigua, vidi uscire un prete, seguito da un altro e un altro ancora. Dopo aver assistito attonito a questa sorta di processione improvvisata con una ventina di sacerdoti, eccolo là: apparve sorridente Taviani. Mi riconobbe e si intrattenne per breve tempo a conversare amabilmente con me e i miei familiari. Una volta, avendogli rivolto la domanda: «Secondo te un musulmano può̀ aderire alla DC?» lui senza esitare rispose: «Certo, purché́ condivida il programma del partito».

Naturalmente questo atteggiamento molto liberale non favorì i suoi rapporti con i democristiani più̀ integralisti, come Fanfani. Quando quest’ultimo sembrava pronto per essere eletto presidente della Repubblica, poiché́ esistevano voti sufficienti a suo favore, Taviani in un incontro che ebbi con lui a Milano mi disse: «Siamo in un bel guaio, se non lo eleggiamo ci saranno serie conseguenze, ma se lo eleggiamo le conseguenze saranno peggiori».

La sua laicità̀ se la portò in una diocesi come quella di Genova, dove per sua fortuna dominava la figura del grande cardinal Siri, che fu più̀ volte sul punto di essere eletto Papa. Siri, infatti, apprezzava i politici democristiani che stavano lontani dalle sacrestie. Non a caso quando a Genova, città rossa, i politici moderati non riuscivano più̀ a reggere lo scontro con le sinistre e scoppiavano scioperi e tumulti, era il cardinal Siri a convocare nei suoi uffici i capi della sinistra, ottenendo come mediatore quasi sempre inattesi successi. Alla sua morte non furono pochi quelli del popolo della sinistra a piangere la sua scomparsa.

Iniziava allora un periodo nuovo per la politica italiana e io incontrai per l’ultima volta Taviani con il senatore Grillo. Si trattava di convincere Taviani a dare il suo voto a Forza Italia affinché́ Berlusconi avesse la maggioranza in Senato. In tale occasione Taviani si collocò su una linea favorevole a evitare la sfiducia al governo.

Ezio Cartotto *

*Pagine tratte dal libro di Ezio Cartotto: Gli uomini che fecero la Repubblica - L’esempio dei maestri di ieri per ritrovare il senso della politica nell’Italia di oggi - 2012 Sperling & Kupfer - Su gentile autorizzazione di Elena Cartotto.