Ho partecipato recentemente alla presentazione di un libro dal titolo inquietante: ”Una Repubblica nata male”, di Renato Biondini.
Ne è seguito un dibattito molto acceso, dominato però da un profilo comune: la pressoché totale ignoranza della storia del fascismo negli ultimi anni e sulla nascita della Repubblica italiana.
Dopo più di un secolo dalla costituzione dei Fasci di combattimento (ma cos’erano? Fantasmi del passato?), si parla ancora, spesso a sproposito, di fascismo e antifascismo, in genere con le stesse considerazioni stucchevoli che sono divenute un luogo comune.
Un diluvio di pubblicazioni sull’argomento aumenta la confusione di chi vorrebbe capire e conoscere la verità, una verità che sfugge, nella nostra Repubblica, da molti anni, fin dai tempi della sua costituzione e questo è un peccato di conoscenza che ci portiamo dentro.
La prima associazione, quella tra fascismo italiano e socialnazionalismo tedesco, pecca di semplicismo. Il fascismo è stato un’ideologia che ha contagiato il mondo, fondandosi sulla brillante intuizione del corporativismo, che mediava nel conflitto allora esistente fra capitale e lavoro. Nulla di tutto questo, invece in Germania, dove il nazismo esprimeva solo un desiderio di potenza e di rivincita della Germania, dopo la sconfitta della 1^ Guerra mondiale. Più tardi, le mistificazioni ideologiche di Himmler risvegliarono i miti nordici e norreni, un’operazione astratta che si tradusse nel paganesimo razzista.
Il Fascismo conobbe molti imitatori e molte esperienze, in Europa, in America Latina, in Asia. Il nazismo ebbe successi effimeri solo là dove s’impose con la forza delle armi. La sciagurata associazione politico-militare dell’Asse confuse e confonde tuttora le idee.
Il Fascismo esaltò i valori della Nazione. Fu una dittatura temperata da due fattori importanti che evitarono gli eccessi di Stalin e di Hitler: la Monarchia e la Chiesa. Fu la monarchia a decidere la fine del regime, non la guerra o l’antifascismo dei fuoriusciti, i veri resistenti dell’epoca.
Definire pagliacciate, se non peggio, le esibizioni pubbliche dei gerarchi o le parate osannanti, al passo romano, è del tutto improprio. Ogni anno, l’8 maggio, sulla Piazza Rossa, si esibisce l’esercito russo (ex sovietico). Lo stesso accade in Cina o nella Corea del Nord e financo nell’Iran. Dittature, si dirà, ma nessuno si azzarda a definire tali manifestazioni come pagliacciate. Erano pagliacci anche i nostri nonni e nostri padri che applaudivano Mussolini?
La morte di Mussolini, l’assassinio di Claretta Petacci, la fucilazione dei gerarchi a Dongo fanno parte di una nemesi storica vergognosa (lo scempio di Piazzale Loreto). Perché fucilarli e non, invece, processarli? Si aveva timore di verità sconosciute? Tuttavia si può capire che nell’ebbrezza del successo e della fine della guerra si commettessero degli scempi. È accaduto anche in Romania, con Ceausescu e sua moglie, ma almeno ci fu una parvenza di processo.
La fine della guerra civile, nell’euforia delle vendette e della ricostruzione, ha fatto dimenticare molte vergogne.
Non sappiamo ancora chi uccise Mussolini (e perché). Esistono almeno sei o sette versioni successive e contraddittorie che nulla hanno chiarito su come si svolse l’esecuzione. Valerio, i partigiani, gli Inglesi?
Non sappiamo se la Petacci fu violentata prima di essere assassinata e perché si vietò che si facesse l’autopsia del suo corpo.
Non sappiamo che fine abbia fatto il famoso tesoro di Dongo e chi se lo sia spartito. I comunisti? I partigiani? E perché? A quale titolo? Quelli non erano soldi fascisti, ma italiani.
Non sappiamo che fine abbiano fatto le carte che gelosamente custodiva con sé Mussolini. Il famoso carteggio con Churchill? Mistero.
Non abbiamo mai indagato su una guerra decisa male, condotta in modo pessimo e schiantata dalla defezione dei responsabili militari dopo l’8 settembre.
I responsabili, generali e ammiragli, non sono mai stati processati o, se lo sono stati, furono assolti o messi in libertà dopo pochi mesi. Ne andava di mezzo il “prestigio” dell’esercito. L’unico generale italiano che è stato fucilato lo fu dagli Inglesi, dopo l’8 settembre, il generale Bellomo.
Volete un esempio dell’ipocrisia ufficiale italiana? Eccolo: a pag. 470 della dispensa n. 6 del Bollettino Ufficiale 1941, tanto per fare un esempio, lo Stato Maggiore della Difesa riporta la morte del generale con queste parole: “Fu collocato in congedo I’1’1.9.45. Deceduto a Nisida per ferite d’arma da fuoco”. Nessun commento è possibile di fronte a queste parole.
Sulle atrocità commesse dall’occupante italiano in Slovenia, in Croazia, in Grecia, in Montenegro, nulla si è fatto. Vige ancora l’idea “Italiani brava gente” o “l’armata s’agapò”, ben nota nei postriboli di Atene, per non parlare dei massacri di Graziani in Etiopia o delle deportazioni in Libia. Episodi troppo remoti per guastare la coscienza dei benpensanti. Non siamo stati diversi dagli altri di cui con orrore ricordiamo episodi di atrocità, dalle truppe tedesche che operarono in Polonia, in Ucraina, in Bielorussia, o da quelle russe a Berlino e neppure da quelle americane (Sicilia) o giapponesi (massacri di Nanchino) o da quelle slovene in Istria. Non parliamo, poi, dei massacri sovietici sui prigionieri di guerra russi, considerati traditori perché si erano arresi.
Con la fine della Repubblica Sociale molti fascisti della prima ora furono improvvisamente fulminati e illuminati dalla libertà (conquistata da altri) e divennero antifascisti di fede intemerata. Una volta si diceva, voltagabbana, anche se rinnegarsi significava mangiare od ottenere vistose prebende con il nuovo corso politico. Ma la politica, si sa, è un continuo cambiare di fronte.
Il primo esperimento versipelle fu in Sicilia, dove la mafia americana trovò terreno fertile per antiche consanguineità, favorendo l’invasione alleata.
Nel breve volgere di pochi anni fu filo americana e antifascista e poi indipendentista. Quando il vento cambiò con la strage di Portella delle Ginestre (altro insoluto mistero della nostra storia. Chi armò gli uomini di Giuliano?), l’anticomunismo fece breccia su quello sciagurato Paese di confine tra l’Occidente e l’Unione sovietica che è l’Italia.
Chi volle la morte di Enrico Mattei, di Pasolini, di Moro? L’oscuro e tragico periodo delle Brigate rosse e nere che insanguinarono l’Italia? Quanti processi inutili per non accertare la verità!
E i misteri del caso Cirillo e la tragedia di Ustica? Cosa accadde a Piazza Fontana, a Milano? Nomi dimenticati, in gran parte travolti dal quotidiano o dall’ipocrita ossequio liturgico.
Piano Marshall e Patto Atlantico furono un argine, pagato da sottomissione e complicità mafiose. Quell’idea di Nazione che era stata il fulcro di tutta la propaganda fascista entrò nel “vassallaggio felice”, secondo una fortunata affermazione del Presidente Mattarella, un vassallaggio che dura tutt’ora, nonostante i cambiamenti di governo e di orientamenti politici (ben settantaquattro governi dal 1943 al 2024!).
L’unica verità che emerge da tutte queste considerazioni e domande senza risposta è che l’Italia non ha fatto i conti con la propria storia, si balocca ancora tra fascismo e antifascismo di un passato morto e sepolto. Tutti sono fascisti, se non la pensano come me. Però, siamo tutti antifascisti.
Ma che significa? Nulla, come la conoscenza della storia del nostro Paese. Un grande Paese vive della sua storia, non la dimentica e non la nasconde. Soprattutto, non la deve ignorare.
Right or wrong, it’s my country.
Stelio W. Venceslai