di Ruggero Morghen

 

Io non ho che un’adorazione – dice Roberto alla madre ne “La nemica” di Dario Niccodemi -: voi, mamma”. Nella vita di Antonio Delfini c’è sempre, incombente, la figura della madre, “eccessiva protettrice – nota Francesco Spaggiari – che non poco influirà sulle vicende del figlio-scrittore”. Lo stesso Roberto Gervaso, peraltro, evoca la figura di sua madre, che definisce “quella che mi è stata vicina anche quando mi era lontana”. Mentre Angelo Roncalli, futuro papa col nome di Giovanni XXIII, rivendica il suo amore per la madre, “alla quale dopo le cose del cielo, voglio il maggior bene di cui è capace il mio cuore”.

Dal canto suo Giovanni Agosti ne è certo: il ricordo di Carla Erba è un filo conduttore attraverso l’opera di Luchino Visconti, peraltro ammesso da lui stesso, che nel 1975, alla domanda “Quale è stata l’influenza di sua madre nella sua opera?”, rispose: “Enorme”. Quella “era del resto – osserva dal canto suo Alberto Arbasino – un’epoca di forti e importanti presenze materne, assai più che negli anni femministi”. E cita, tra le altre, proprio la madre di Visconti accanto a quelle di Pasolini e Spadolini.

Conferma Giovanni Testori: “Per Luchino, e non solo per chi voglia tentarne un ritratto, ma per chi intenda affrontare veramente nel profondo il suo mondo poetico, c’è un nome, una persona, un viso, un sangue ed una carne da mettere al centro: questo nome e questo viso sono la madre”. “Anche perché – aggiunge -, direttamente da quel nome, vien giù, dilatandosi come naturale e naturante conseguenza, quell’altro nucleo che è egualmente e forse anche più visibilmente al centro della sua poetica: la famiglia”. “Chi non ha compiuto – avverte quindi -, almeno criticamente, quest’oscuro introibo viscerale, ignorerà sempre cosa significhino, nel vero, gli esiti più grandi della poesia viscontiana”. “Il nucleo familiare – ebbe a dire, peraltro, il regista nel 1969 – mi sembra importantissimo: tutto il nostro modo di essere e di vivere deriva da lì. Prima ancora che della società, ciascuno di noi è il prodotto di questa cellula sociale più piccola”.

Il regista, dunque, e la madre.  “Stabilimmo un patto, io e lei – rivela Luchino -; se fosse accaduto qualcosa di grave, ed io fossi stato lontano, mi avrebbe atteso. Arrivai al suo capezzale in tempo per sentire il mio nome sulle sue labbra”. Dopo la morte della madre, nel 1939, Visconti in luogo di annullarsi decide di “prendere su di sé anche gli anni che a lei erano stati così crudelmente rapinati dal destino e costruire anche per lei – è ancora Testori a parlare - il monumento delle ragioni per cui aveva deciso (o accettato) di farlo apparire; di crearlo”. Contò di più per lui, in fondo, la volontà di lavorare che quella di continuare a vivere.