di Ruggero Morghen
“Sta tera la profuma de qualcòs de sacro e grant”. Nel santuario della natura spiccano (ben s’avverte qui la lezione di Giacomo Floriani) i “prai pieni de ricami” ne “l’istà cargada de splendori”. E “la Busa l’era ‘na gran cesa / piena de fiori e canti de Nadal”. Nonostante le aperture religiose, però, l’esito di questa poetica è nichilista, perché “tut finis en de la not / ‘na gran not che mai finis”.
Enrico Rossaro – assicura Carlo Modena, tornato oggi alla ribalta dell’attualità politica rivana quale candidato sindaco di un pezzo di centro-destra – è uno di quei gardesani che hanno spiccato il volo per raggiungere lidi prestigiosi; uno che, come si dice, ha fatto strada”. E però ha continuato – come ben osservava qualcuno - a sentirsi in esilio, “con una spina dentro, con una gran voglia di rimettere piede fra Brolio ed Anzolim, davanti al lago, all’ombra della Rocchetta, in cerca d’una Riva che il passare degli anni aveva probabilmente cancellato senza che lui – come del resto altri - avesse occhi per accorgersene”. Il Pampurio – con cui condividevamo, ai tempi dei tempi, gli eventi di “Gardastampa” – lo chiamava, credo affettuosamente, uno “sgionfabòze”.
A lui si deve il volumetto di poesie dal titolo “A l'ombrìa de 'ste montagne”, uscito coi disegni di Guido Polo quale sesto volume della collana “Ciacere en Trentin e Veneto” nel lontanissimo 1962. “Lavori come questo – assicurava allora Lionello Groff, che ne curò la presentazione – li conto sulle dita”. Io ho la seconda edizione del libro, forse del 1988, con la dedica autografa dell’autore e l’augurio a “perseverare nell’amore per l’arte e le architetture dei nostri monti”.
Quando Enrico morì, nel 2014, qualcuno scrisse che inevitabilmente s’era buttato a spolverare “il ricordo di Giacomo Floriani, cui l’assomigliavano la rivanità, l‘amore per il dialetto da intendere come lingua verace della gente semplice, la poesia che celebra i pochi semplici valori d’una maniera di concepire l’esistenza lontanissimi dal consumismo e dall’esibizione”.
Trentino, di antica famiglia stabilitasi a Riva del Garda a fine Ottocento, con avi strenuamente irredentisti (il nonno, Enrico come lui, fu intimo amico di Cesare Battisti), Rossaro passò fanciullezza e adolescenza nella cittadina benacense, dove frequentò il liceo classico, praticò numerosi sport anche a livello agonistico, e incominciò a sentire quella passione per la montagna che non l’avrebbe più abbandonato. Oggi, in città, uno come lui manca.