Innanzitutto permettetemi di ringraziare la Diocesi di Cassano all’Jonio e il suo vescovo, il caro mons. Francesco Savino, il Presidente del Centro Studi Giorgio La Pira, Francesco Garofalo, che hanno pensato a me per questo premio giunto all’VIII edizione. E un saluto caro va anche al Vice Prefetto Vicario, al Sindaco, Giovanni Papasso, e un saluto speciale alla Presidente della Fondazione La Pira, Patrizia Giunti. Un ricordo speciale con tanta riconoscenza a Mons. Nunzio Galantino che per primo mi ha parlato di questa vostra bellissima terra.

I premi sono importanti non tanto perché riconoscono qualcosa che si è fatto – e tutti, io per primo, facciamo davvero troppo poco – ma perché indicano una strada da percorrere e incoraggiano a proseguire sui sentieri intrapresi. Un premio come questo, poi, libera da qualsiasi eventuale compiacimento o vanagloria, perché ci mette a confronto con un gigante come Giorgio La Pira e con il solco indicato da questo cristiano mistico e sociale, come deve essere ogni cristiano. Lasciamoci almeno prendere in braccio dai giganti! E direi che vi restituisco il premio perché penso che sia una responsabilità di dialogo e di lavoro per la pace che ci deve vedere tutti coinvolti. Non c’è chi resta a guardare. Tutti possiamo fare tanto, proprio quel piccolo pezzo che è il nostro e che diventa grande se lo uniamo agli altri.

Papa Francesco nel 2018, ricevendo i membri della Fondazione La Pira disse:  «In un momento in cui la complessità della vita politica italiana e internazionale necessita di fedeli laici e di statisti di alto spessore umano e cristiano per il servizio al bene comune, è importante riscoprire Giorgio La Pira, figura esemplare per la Chiesa e per il mondo contemporaneo. Egli fu un entusiasta testimone del Vangelo e un profeta dei tempi moderni; i suoi atteggiamenti erano sempre ispirati da un’ottica cristiana, mentre la sua azione era spesso in anticipo sui tempi».

La Pira non viveva fuori dal mondo, anzi! I cristiani non sono ingenui sognatori e tanto meno non possono mettersi come tutti a perseguire il proprio interesse, personale o di gruppo. I cristiani vedono oggi quello che sarà domani. Il cristiano non potrà mai dire: prima io! Anzi, solo e per sempre diranno prima noi, un noi largo, comprensivo di ogni persona perché diventa immediatamente non un estraneo, un nemico, ma il mio prossimo. Il cristiano ama Dio e il suo io è pensato insieme al noi, pena perderlo. Ecco perché La Pira entrava nel profondo della storia: da cristiano guardava i segni dei tempi con i sentimenti di Dio.

Non per giudicare, non per cercare il male, ma per amare e vincere il male con l’amore. La Pira incontra la fede a 20 anni, nella Pasqua del 1924. Prima aveva fatto altre esperienze, era stato affascinato da altro, ma incontra il Vangelo alle soglie dell’età adulta, e quell’esperienza gli cambia la vita. Perché non aiutare tanti a incontrare Gesù vivo, anzitutto con un amore vero, cristiano, senza calcoli, gratuito?

La Pira stesso è un migrante. Un uomo del sud trasferitosi a Firenze nel 1926, che vive con profondità la vocazione trovata da adulto. La Pira fa di Firenze una realtà di fraternità partendo dai poveriNon parlando di loro ma assumendo la loro prospettiva, i loro sogni, le esigenze, ferite, insomma il loro sguardo sulle vicende del mondo. Non si capisce la visione che ha la Pira di Firenze se non si parte dalla Repubblica di San Procolo, di cui più volte scrive ai suoi Papi.

È un’esperienza spirituale e concreta di una messa domenicale alla quale partecipavano le persone povere che la Conferenza di San Vincenzo, da lui animata, aiutava nel dormitorio e negli ospizi, nelle mense come nelle loro case. La messa del povero, che poi si trasferì alla Badia, è spesso ricordata e descritta nelle lettere ai Papi – da Pio XII a Giovanni XXIII e a Paolo VI, che mostrano la tensione continua di La Pira a rendere partecipi i poveri dei grandi orizzonti in cui si muove la Chiesa nelle diverse stagioni che attraversa.

Ad un certo punto, dovendo scappare da Firenze per timore della repressione fascista, approda a Roma ed anche qui ripropone la messa domenicale coi poveri. Passato un anno ne scrive sull’Osservatore Romano e racconta: «Qualcuno potrebbe dire: ma via, infine tanto rumore per un po’ di minestra data ad alcuni “straccioni”; ovvero, tanto muoversi per fare una barba, per fare una visita medica: ci sono tanti barbieri, tanti ambulatori medici! No, caro; la cosa è qui radicalmente diversa; per capire questa diversità bisogna partire da un fatto: dall’esperienza vissuta delle parole di Gesù: “io sono la vite e voi i tralci”. Quando si è pregato insieme per un’ora, quando insieme si è assistito alla S. Messa, ci si è accostati ‒ almeno in parte ‒ alla S. Comunione, sorge effettivamente un mondo nuovo; la psicologia nostra è cambiata…» (Giorgio La Pira, Vedete come si amano! in «L’Osservatore romano», 26 gennaio 1944).

A Roma c’è ancora la guerra, e nel pieno del dramma del conflitto – a metà strada, cronologicamente, tra la razzia degli ebrei del Ghetto e la strage delle Fosse Ardeatine – La Pira sottolinea che l’esperienza di amicizia coi poveri cambia la vita e il mondo. Poco oltre, nello stesso articolo, scrive: «Perché è bene dirlo ancora: qui non si tratta tanto di elemosina; vorrei anzi dire che non si tratta affatto di elemosina; si tratta di una misteriosa comunione di grazia e di gioia. Qui ci sono persone bisognose di dare e persone bisognose di ricevere. E la gioia deriva dal fatto di una vera, seppur misteriosa, integrazione reciproca. È Gesù che riempie gli uni e gli altri, gli uni mediante gli altri […] Cosa si è fatto, infine? Poco, pochissimo: eppure quel poco è tanta cosa da riempire l’anima di Paradiso».

La Pira, dunque, è stato un maestro della lectio pauperum, e attraverso ciò ha introdotto generazioni di giovani e meno giovani a quella Bibbia che sono i poveri. Questo ha un aspetto cristiano e laico. La Pira è uno dei padri della Costituzione. Impegnato nella commissione dei 75, è uno dei protagonisti di quel “compromesso alto” tra forze e tradizioni diverse che porta ad una formulazione ampiamente condivisa dei principi fondamentali della nostra Carta. Principi animati da solidarietà, equità e giustizia. Allora per gli ideali, purtroppo, ci si ammazzava, mentre si capiva come per la costruzione delle regole comuni ci fu (e c’è!) bisogno di ascolto, di incontro, di elaborazione comune, e nemmeno di pensare a spaccare tutto perché quello che serve è costruire tutto, l’edificazione del bene comune che proprio per questo non poteva essere solo responsabilità di una parte sola.

La Pira ci insegna il bisogno di una “condivisione alta”, che tenga innanzitutto in conto quello che unisce. Nella XIX Settimana sociale dei cattolici italiani su Costituzione e Costituente (1945) a Firenze, La Pira ricordò come nazione e razza avessero costituito due principi assunti come valori assoluti, in luogo della persona umana, da parte dello Stato totalitario fascista e nazista, “la memoria più dolorosa che serbiamo nell’anima nostra”.

Deputato eletto nel 1948, fu uomo di governo, sottosegretario al Ministero del lavoro con Fanfani ministro, nel V governo De Gasperi, e poi, dal 1951, sindaco di Firenze. Lo resterà fino al 1957, e di nuovo dal 1961 al 1965. La sua vicenda è indissolubilmente legata a quella della città toscana.

Ne voleva fare un «esperimento di civiltà cristiana»: un luogo dove trovassero risposta le attese della povera gente, ma anche un soggetto internazionale per la pace e per l’incontro tra mondi religiosi diversi. Una città laboratorio per un nuovo umanesimo. Giuseppe Dossetti ha affermato che non è stata Firenze a dare al suo sindaco un ruolo internazionale, ma è lui che lo ha inventato e la città è stata solo un supporto.

Da sindaco, La Pira affronta due questioni centrali: la casa ed il lavoro. Il suo senso di giustizia lo porta a non accettare mezze misure. La sua è una radicalità evangelica che in nome della difesa dei più fragili si spinge anche a forzature che non tutti comprendono e condividono. Ma è compromesso di ideali, non di amministrazione e di potere. Quando c’è solo quello non cambi nulla. Quando c’è il massimalismo si rischia di perdere tutto.

Nei primi anni Cinquanta si trovò a fronteggiare il problema delle famiglie sfrattate. Come ha intenzione di rispondere lo spiega nel suo intervento del 1951 in occasione del III Convegno nazionale di studio dell’Unione giuristi cattolici italiani, che si tenne a Roma ed era dedicato al tema Funzioni ed ordinamento dello Stato moderno. Raccontò dei 500 sfratti con cui doveva misurarsi senza avere a disposizione stanze dove accogliere chi rischiava di non avere più un tetto sulla testa, in una città che si avvicinava ad avere 10.000 disoccupati. Raccontò che la sera, facendosi l’esame di coscienza, si poneva il problema in questi termini: «I casi sono due: che ci sarà il giudizio finale o è vero o non è vero. E siccome è vero, mi ricordo che per quel giudizio finale è scritto chiaramente cosi: “Ebbi fame e mi desti da mangiare, ebbi sete e mi hai dato da bere, fui senza tetto e mi hai ospitato, fui malato e mi hai visitato”. Aggiungo: “Fui disoccupato e mi hai occupato”. […] Quando il Signore, amico mio, ti chiamerà… “Lei, signor La Pira, lei che cosa ha fatto?”. Io gli devo rispondere: di quando ero studente, secondo quel che ero da studente; di quando fui professore, secondo quel che fui da professore. E sempre in relazione a quel metro. Prendo il metro e misuro […]: devo rispondere sempre “sì” a certe domande» (Giorgio La Pira sindaco. Scritti, discorsi e lettere, Cultura nuova, Firenze 1988, vol. I, pp. 81-87). Queste considerazioni sono per tutti. Non c’è cristiano spirituale e quello materiale, c’è il cristiano con l’amore cristiano, non quello che capita, quello che mi crea meno problemi, quello delle ossessioni che travolgono e finiscono. Chi pensa di essere spirituale e lontano dalla vita è pericoloso.

C’era un senso di futuro, di ricostruzione dopo un crollo, la consapevolezza per cui si fa tesoro dei problemi e si smette di pensare che c’è sempre tempo o che bisogna capire ancora bene prima di decidere. E oggi non sarebbe così? Al contrario pensiamo che alla fine vada bene tutto e abbiamo sempre una possibilità. Non possiamo scherzare e non va bene tutto perché c’è tanto da fare. Per non angosciarci dopo, meglio decidere oggi finché siamo in tempo e “non siamo costretti dalle necessità”.

Per La Pira le domande emergenti diventavano urgenti, e chiamavano «tutti i cristiani che costituivano la classe dirigente nuova» a misurarsi col tema dell’occupazione, della casa, dei bisogni familiari, dell’alimentazione, e si era chiamati a fare uno «sforzo gigantesco» per rispondere. «Bisogna fare – disse – un nuovo vestito, che deve essere proporzionato alla persona umana, il che significa fondare in tutti il rispetto della persona umana medesima. Questa è la dimensione mondiale del problema» (Ivi). Ecco: un nuovo vestito sulla persona. Solo per ricordare qualche dato: già nel 1950 erano stati eseguiti 437 sfratti.

Nel 1951 erano saliti a 799. Per il 1952 si giunse quasi a 1500 nuclei familiari che dovevano lasciare la propria casa. E oggi? Quante persone non hanno casa, non la trovano, e non si decide mai? La Pira invocava proroghe e sospensioni degli sfratti per avere il tempo di attuare un piano per aprire cantieri di lavoro per quasi 10 mila disoccupati e lanciare un progetto di edilizia popolare che fornisse almeno 2000 nuovi alloggi (mille dei quali nel quartiere dell’Isolotto).

La mistica non era certo il compiaciuto innamoramento di qualche idea, meglio ancora se onirica, accontentarsi di averle avute, il narcisismo di tenerle per sé, la boria di affermale sopra gli altri, la presunzione di non misurarsi mai con la fatica che richiede di metterle in pratica. La sua mistica diventano scelte politiche. La Pira è stato un grande tessitore di pace in un mondo diviso in due e di fronte a tanti processi inediti. Già nel 1952 organizzò il Primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana. Da esso ebbe inizio un’attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi.

Nel 1955 invitò i sindaci delle capitali del mondo (Mosca compresa) a Firenze e venne siglato a Palazzo Vecchio un patto di amicizia. Nell’agosto 1959, poi, La Pira compì il viaggio a Mosca dal 12 al 26. In una lettera al Papa poco prima della partenza definì il suo come «“viaggio orante” presso gli altari dei santi russi». É un’occasione per avere un contatto con le gerarchie della Chiesa Ortodossa, ma pensa pure che la nuova leadership politica sovietica stia inviando segnali di distensione, e che essi non vadano fatti cadere.

In un mondo sull’orlo del baratro, l’azione di La Pira parte dal presupposto che il nemico non va annientato attraverso il ricorso allo scontro, piuttosto va attratto, talvolta aiutato, con una strategia di passi progressivi capaci di far evolvere le situazioni, non temendo di misurarsi con processi di lungo periodo. Per lui, come ripeteva e scriveva spesso, «il negoziato globale è inevitabile».

In quella stagione, caratterizzata dalla figura di San Giovanni XXIII e dall’enciclica Pacem in Terris, La Pira era convinto che la pace andasse cercata, costruita passo passo. Non è sempre così? Come pensare che se si semina veleno e odio, ignoranza e prevaricazione, questo non porti frutti di violenza? Per Gesù anche chi dice pazzo a suo fratello è omicida!

Era una stagione di grandi speranze, ma anche di momenti in cui la pace mondiale apparve a tratti un bene fragile, tanto da essere messo in pericolo: la costruzione del muro a Berlino, la crisi di Cuba, gli esperimenti nucleari. E non dimentichiamo che la guerra era negli occhi, nelle mani, ricordo tragico e vivissimo, che condizionava tutto e tutti. Possibile che allora ci fosse speranza e adesso, che sappiamo possibile vivere per decenni in pace, non ne abbiamo o non abbiamo la voglia di pagare il dovuto per cercarla, mantenerla, difenderla?

I conflitti facevano apparire in diverse parti del mondo la pace come un bene grandemente desiderabile e da difendere. Oggi, visto nella prospettiva storica, appare sempre più chiaro che La Pira fu un “operatore di pace” a diversi livelli. Le sue iniziative fiorentine di dialogo, che riguardassero il Mediterraneo, i sindaci delle città o i Convegni per la Pace e la Civiltà cristiana, operavano in maniera profonda per la costruzione di un tessuto di reciproca comprensione e di convivenza tra popoli, culture e religioni. Ma dietro le quinte, a margine di quegli incontri, cercava anche contatti utili alla soluzione di alcune grandi realtà conflittuali dell’epoca. Si intravede spesso lo sforzo di un La Pira protagonista di tentativi di mediazione fino al limite delle proprie forze fisiche.

Un esempio: nel 1958, durante il Primo Colloquio Mediterraneo venne meno per la fatica sopportata sul fronte di una possibile mediazione sulla questione algerina e su quella mediorientale. Nei suoi diari ne ha scritto Fanfani, all’epoca Primo Ministro, ed in tale veste presente a Firenze:

«A S. Croce. Durante la Messa per il Convegno, La Pira sviene. Dopo la Messa vado a trovarlo, a stento mi riconosce, non parla. Stanotte è stato su fino alle 2 per persuadere gli arabi ad accettare i funzionari del Ministero degli Esteri d’Israele, e i francesi ad ammettere un algerino. Ma con poco successo. Stanco ed affranto dal dispiacere si è piegato». La Pira fatica senza sosta, talvolta fallisce, ma continua a ritenere che faccia parte della vita del cristiano lo spendersi perché i conflitti trovino soluzione pacifica.

Ci prova per la guerra in Vietnam nel 1965. Con un viaggio, a tratti avventuroso, nel novembre di quell’anno si recò ad Hanoi dove incon­trò il presidente della Repubblica Democratica del Nord Vietnam, Ho Chi Minh, il primo ministro Pham Van Dong e altri esponenti politici e militari. Quel filo di speranza di un cessate il fuoco, che aveva come altro terminale Fanfani, all’epoca Presidente dell’Assemblea dell’ONU, fu “bruciato” da chi era contrario alla trattativa, visto che la disponibilità nordvietnamita era legata all’assoluta segretezza, mentre la stampa pubblicò notizie sull’avvenimento. Dovettero passare altri 8 anni di guerra per giungere ad un accordo che prese le mosse da una piattaforma non così distante da quella che aveva strappato La Pira. Ma 8 anni vuol dire centinaia di migliaia di morti in più. Morti inutili, che si potevano risparmiare.

C’è poi tutto il suo lavoro su quello che possiamo definire lo “spazio di Abramo”. La Pira visita spesso i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Intesse rapporti con la sponda meridionale ed orientale, in una stagione nella quale, ad eccezione del caso algerino, i Paesi rivieraschi hanno ottenuto l’indipendenza. L’approvvigionamento energetico spinge le potenze europee a cercare vie nuove di relazione col mondo arabo. La Pira lo sa, conosce bene Mattei e la sua politica, è consapevole degli sforzi di quest’ultimo.

Ma secondo lui era necessario andare oltre il dato economico per ritessere un ordito di convivenza mediterranea, e incontrare il nuovo protagonismo arabo nei suoi aspetti profondi. Il ruolo dell’Italia, Paese del Patto Atlantico e centrale nel Mediterraneo, doveva essere speso per creare ponti ed evitare attriti tra il nazionalismo arabo e l’Occidente. Lo “spazio di Abramo” ha bisogno di pace, ed è per questo che La Pira è sensibile a tutti i segnali di possibili contatti tra mondo arabo e rappresentanti di Israele. La convivenza delle tre religioni, secondo La Pira, è il clima da ricostruire.

La nascita dello Stato d’Israele è, per lui, un segno di grande rilievo. Ma si pone il problema di come farlo accettare agli arabi e di come contribuire ad una pacificazione: l’intuizione profetica in lui si accompagna sempre ad un grande realismo politico. Un ultimo aspetto sul quale La Pira si misura nelle sue intuizioni è quello del processo di decolonizzazione. Un processo che, secondo La Pira, poteva aprire ampi spazi di influenza alla Chiesa all’interno di quelli che lui definisce i «popoli nuovi».

Asia e Africa gli appaiono come le grandi frontiere con cui la Chiesa è chiamata a confrontarsi per cercare la via di una rinnovata presenza e di un nuovo ruolo. È per questo che, sul fronte asiatico, con coraggio La Pira suggerisce a Giovanni XXIII di raccogliere l’invito fatto dal Presidente indonesiano per un viaggio del Papa nel più popoloso Paese musulmano del mondo. Sukarno, infatti, era stato in visita a Roma e incontrando il Papa, il 14 maggio 1959, lo aveva invitato in Indonesia.

Giovanni XXIII non si sarebbe recato in Indonesia; però La Pira ha l’intuizione del valore e dell’importanza del viaggio pontificio, strumento che si svilupperà con Paolo VI ed avrà in Giovanni Paolo II un interprete convinto.

Rispetto all’Africa, La Pira decise di dedicare il Terzo Colloquio Mediterraneo, che si svolse a Firenze nel maggio 1961, al tema “L’idea del Mediterraneo e l’Africa Nera”. Il suo obiettivo era l’avvio di una cooperazione culturale, politica ed economica tra i Paesi del Mediterraneo e le nazioni dell’Africa sub-sahariana. In quella edizione si registrò la partecipazione di Oliver Tambo, esponente di spicco dell’African National Congress, con l’idea di porre l’attenzione sul problema della discriminazione razziale in Sudafrica alla vigilia dell’adozione di una nuova costituzione basata sull’aparthaid.

La Pira coltivò il progetto di riunire a Firenze i dirigenti dei nuovi Stati africani divenuti indipendenti. Uno dei primi elementi di questa costruzione sarebbe stato il Senegal. Fu forte il legame di La Pira con Léopold Sedar Senghor, Presidente della Repubblica del Senegal, uno dei più prestigiosi uomini politici dell’Africa e significativo uomo di cultura. Proprio a Sen­ghor La Pira affidò il compito di inviare da Firenze un messaggio dell’Africa Nera ai Padri Conciliari il 4 ottobre 1962. E Senghor poi avrebbe invitato La Pira, nel novembre 1963, a presenziare a un convegno dei Capi di Stato africani previsto a Dakar.

La Pira era convinto che il mondo si stesse popolando di nuovi soggetti politici, emersi con la decolonizzazione, e bisognava andar loro incontro cordialmente.

Nella sua ultima stagione, a partire dal 1967, La Pira fu eletto presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite. L’ultimo periodo della sua vita è dedicato a questo orizzonte attraverso il quale ripropone il suo spirito unitivo teso a sventare la guerra e a costruire la pace. Il suo discorso di insediamento avrebbe mostrato il suo programma: “Unire le città per unire le nazioni”.

Papa Francesco, a Trieste in occasione della 50° Settimana sociale dei cattolici italiani, ha ricordato questo aspetto: «Giorgio La Pira aveva pensato al protagonismo delle città, che non hanno il potere di fare le guerre ma che ad esse pagano il prezzo più alto. Così immaginava un sistema di “ponti” tra le città del mondo per creare occasioni di unità e di dialogo. Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità di “organizzare la speranza”» (Papa Francesco a Trieste, 7 luglio 2024).

La Pira in una stagione di grandi cambiamenti ha saputo leggere la realtà con occhi evangelici, ed è stato un grande tessitore di pace e solidarietà: due tesori preziosi che, tanto nella costruzione della società quanto nel sistema delle relazioni internazionali, non possono essere disgiunte.

Di organizzare la speranza c’è oggi immenso bisogno, e la sua esperienza continua ad indicarci i sentieri da percorrere, a vincere pigrizie e presunzioni e a fare la manutenzione della pace anzitutto continuando a difendere e far funzionare gli organi preposti per risolvere i conflitti con il diritto, provvedendo alla loro riforma o anche alla creazione di altri qualora fosse necessario. Bisogna perdere sovranità per una sovranità sovranazionale se vogliamo la pace, altrimenti, al contrario, sarà molto rischioso perché sappiamo che facilmente i conflitti non solo restano, ma crescono. Il sovranismo rischia di far perdere la vera sovranità e di indebolirci di fronte alla riemersione di conflitti e alla genesi di altri.

Mi è venuta in mente perché, in una delle lettere ad Andreotti, La Pira scrisse:

«Ci vuole in pratica meno “machiavellismo” e più “poesia”: cioè quella poesia divina che si radica nella grazia e che è un valore reale, costruttivo, vittorioso, nella vita individuale così come collettiva» (La Pira ad Andreotti, 3/7/1952).

Vorrei concludere citando dei versi che Mario Luzi dedicò nel 1997 (a vent’anni dalla morte) a Giorgio La Pira. L’occasione fu la riconferma ad abate a vita di don Agostino Aldinucci a San Miniato. Il titolo è «Siamo qui per questo»:

Ricordate? Levò alto i pensieri, stellò forte la notte, inastò le sue bandiere

di pace e d’amicizia la città dagli ardenti desideri che fu Firenze allora …

Essere stata nel sogno di La Pira “la città posta sul monte”

forse ancora la illumina, l’accende del fuoco dei suoi antichi santi

e l’affligge, la rode, nella sua dura carità il presente

di infamia, di sangue, di indifferenza.  

Non può essersi spento o languire troppo a lungo

sotto le ceneri l’incendio. Siamo qui per ravvivarne

col nostro alito le braci, chè duri e si propaghi,

controfuoco alla vampa devastatrice del mondo.

Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano,

sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato.

Cassano All'Ionio, Basilica cattedrale

24/07/2024

S.Em. Cardinale Matteo Maria Zuppi