Da quando il leader della Cgil, Maurizio Landini ha usato quella espressione: “rivolta sociale”, non passa giorno che non si trovino commenti contrastanti.

L’Enciclopedia Treccani definisce rivolta come “L’azione e il fatto di rivoltarsi contro l’ordine e il potere costituito (è più che sommossa, ma indica azione più improvvisa e meno estesa e organizzata rispetto a rivoluzione).

Di certo se è un leader sindacale, la cui organizzazione è nota per una consolidata conformità all’ordinamento nelle manifestazioni a presidio dei diritti  sindacali, il significato non può che alludere al portare in piazza un diffuso sentimento di rifiuto della tante diseguaglianze ed iniquità prodotte in questi anni da politiche che hanno penalizzato soprattutto salariati e pensionati; “non girandosi dall’altra parte”, come successivamente ha precisato.

E così è stato lo sciopero generale del 29 scorso, un segno tangibile di rifiuto di ogni politica economica e sociale iniqua.

La rivolta dell’acqua degli ennesi nella diatriba sulla Diga tra Enna e Caltanissetta

In ben altra modalità, ma, anch’essa sintomo di un contesto in cui la tolleranza per la mancanza quotidiana di un bene pubblico essenziale appare giunta a livelli irrefrenabili, si iscrive il segnale lanciato in questi giorni dagli Ennesi nella diatriba per l’acqua che li affligge da decenni. Nel breve battere di ciglio, inascoltati da anni dalle Autorità locali preposte, sono passati dalle parole ai fatti, come ci racconta Il quotidiano La Repubblica:”La diga Ancipa, in una tersa mattinata di fine novembre, diventa così il teatro di una rivolta: sono in mille, i cittadini assetati di cinque comuni ennesi, e sono capitanati dai sindaci. Alle 12,15 forzano i cancelli del potabilizzatore, occupano l’impianto, chiudono la condotta idrica per Caltanissetta.”.

Sta di fatto che la giusta pretesa ad un profondo bisogno di rinnovamento nella società civile e politica, se non c’è una risposta autorevole e credibile si anticipa spesso in forme pacifiche o violente con rivolte sociali, inizialmente occasionali.

Molto più suscettivi di trasformarsi in rivoluzioni quando c’è alla base un’organizzazione guida.

Dai Vespri siciliani ai moti risorgimentali, la rivolta come motore della Storia dei popoli

Dai Vespri siciliani, a Palermo, nel 1282, alla rivolta dei Ciompi a Firenze nel 1378 anticipatrice dei futuri conflitti sociali tra capitale e movimento operaio, fino alla Rivoluzione francese, del 1789, dove un'élite trasformò la rivolta parigina in un evento che trovò eco in tutta Europa, perseguendo una moderna forma di aggregazione sociale e politica della società, fondata sui principi liberali della liberte’, egalite’ e fraternite’ e della tripartizione dei poteri. anche se paradossalmente la lotta sanguinaria tra le fazioni corrose in pochi anni quella spinta libertaria, non può negarsi che le rivolte siano state carburante nel corso della Storia dei popoli.

L’altro ieri, in un’interessante intervista su La Stampa, il politologo Revelli ha sottolineato che:”..senza rivolta non c’è libertà: perché se non ci fosse quel <vento di rivolta> ciò vorrebbe dire che la nostra società è non solo sorda, ma morta..”.

Del resto non sono stati pochi i moti e le rivolte sociali nella nostra penisola e nel mondo ad aver mutato il corso della storia.

Uno sguardo alle cause profonde dell’odierno malessere sociale

Non appare ultronea allora questa piccola riflessione sulle cause profonde del diffuso malessere sociale che, soprattutto la maggioranza governativa, non può trattare solo come problema di ordine pubblico.

Seppur me ne sia occupato, per sommi capi, già nel mio articolo del 19 novembre scorso, su questo giornale, trovo perciò riduttiva e scarsamente utile - come pure, nella sua intervista su Repubblica, ammonisce il Prof.Revelli, ai fini di un giusto inquadramento della questione - quest’ottica politica con cui ci si limita a liquidare la cosa come un esclusivo problema di natura pan penalistico.

Anche se ogni violenza è senz’altro da condannare, in qualsivoglia contesto, trascurare gli aspetti più roventi che  sono alla base del forte malessere sociale e che stanno confinando un numero sempre crescente di studenti, lavoratori e nuclei familiari in un recinto esistenziale senza vie d’uscita, è il segno di una scarsa capacità propositiva e lungimirante.

La tremenda stagione degli anni ‘70 del terrorismo rosso e nero.

Tralascerei la comparazione con la tremenda stagione politica nelle quali una iniziale protesta, non solo studentesca, si trasfigurò ideologicamente in sentenze di morte contro manager, magistrati e rappresentanti dello Stato, ove la DC pagò il prezzo più alto, con il sequestro e l’assassinio dell’On. Aldo Moro.

All’Impotenza, la rabbia e l’assenza di un futuro possibile, soprattutto nei giovani, il governo risponde con provvedimenti liberticidi

Oggi la violenza di piazza, seppur sempre deprecabile, si incardina soprattutto in quei sentimenti di impotenza e di rabbia che inevitabilmente affiorano in contesti esistenziali segnati da condizioni di degrado sociale, ove il riscatto sociale diviene impresa impossibile.

A rafforzarlo contribuisce quella palese idea di paese tradotta nei tanti provvedimenti di stampo reazionario che colpiscono i diritti fondamentali mentre si corrobora un sistema economico fondato principalmente sulle oligarchie finanziarie, come banche, multinazionali e grandi capitali. 

In questo clima ha trovato più facile declinazione la riappropriazione dell’idea di una immanente precarizzazione del lavoro, definita eufemisticamente flessibilità della prestazione, (cominciata con il Job Act di Renzi)che ha ricondotto la prestazione lavorativa nella cinica idea di una mera mercificazione non più come risorsa aggiuntiva fondata sulla specificità della persona, mentre si è del tutto persa la sua indispensabile funzione di sostentamento e benessere personale e familiare.

L’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale è oramai una encomiabile chimera

Un quadro che affievolisce fortemente ogni aspettativa di uguaglianza sostanziale per tutti, a tutto vantaggio, invece, delle sfere più alte della gerarchia socio-economica, nel nome di un malinteso liberismo senza confini( emblematico l’incontro della premier Meloni con il magnate Elon Musk), ossia senza quei lacci e lacciuoli che un ordinamento conforme a Costituzione dovrebbe invece preoccuparsi di regolamentare e presidiare.

Cosi come non possiamo sottacere i tanti sentimenti di frustrazione e la compressione della dignità umana, che tale visione di paese causa, corrodendo irreversibilmente la parabola esistenziale di tanti giovani senza prospettive - costretti a trovare fortuna in altri paesi - come tanti disoccupati, salariati sottopagati e precari, a causa di un sistema lavorativo ormai caratterizzato da instabilità e sfruttamento, ove le morti sul luogo di lavoro non sono più una ipotetica rarità.

I tanti teatri di guerra stanno lacerando ogni idea di convivenza pacifica tra i popoli

Mentre i vari teatri di guerra stanno lacerando ogni idea di pacifica convivenza civile, contribuendo in taluni casi a scatenare sentimenti di odio fratricida, tra comunità contigue, favorendo riarmo e politiche di stampo nazionalista, in aperto contrasto con la propensione universale, sulla scia di un Umanesimo solidale, all’integrazione e alla convivenza delle diverse culture e religioni. 

La scuola del merito come barriera d’ingresso per la perpetuazione delle differenze sociali

Se guardiamo poi alle politiche scolastiche che stanno trasformando il merito in una barriera di ingresso anziché un obiettivo da raggiungere, non si riconosce più la scuola come fucina per il progetto di vita di ciascuno adolescente ma come strumento di selezione automatica e di perpetuazione delle differenze sociali, determinando già dai primi anni di scuola il destino sociale di molti, con la conseguente vanificazione del cosiddetto "ascensore sociale" che finora aveva evitato una totale immobilità nelle gerarchie socio-economiche, avvicinandoci a nuove forme di servitù moderna.

Politiche del lavoro modellate su una sempre più diffusa precarizzazione dei contratti e sulla compressione di salari e pensioni

Anche le politiche del lavoro seguono una strada preoccupante: si cerca di compensare la scarsa competitività aziendale comprimendo i salari e riducendo le tutele dei lavoratori, in un contesto di recessione e inflazione che il governo non affronta con misure bilanciate. Le politiche fiscali, infine, risultano sbilanciate: rigide e inflessibili verso i lavoratori dipendenti, indulgenti con imprese e lavoratori autonomi.

La sanità perde il suo carattere universalistico con la persistente inadeguatezza strutturale a curare tutti

La sanità pubblica, già gravemente compromessa dalla chiusura di ospedali e presidi territoriali (un problema non imputabile solo a questo governo), è ormai incapace di rispondere alla domanda di cure. Milioni di persone sono costrette a rinunciare ai trattamenti o a rivolgersi al privato, spesso a costi insostenibili. In questo contesto la Regione Lazio propone un modello ibrido tra pubblico e privato per colmare le lacune, ma la situazione resta critica.

Mi limito a questi pochi flash, pur emblematici di un progetto governativo artefice di un divario tra ceti sociali e territori della Repubblica, intollerabile.

Astensionismo e politiche sociali credibili, un campo ancora tutto da delineare

Mi auguro che in questo scenario, aggravato da un astensionismo giunto a livelli di guardia, si apra sulla tematica un dibattito fecondo che consenta di coagulare attorno a sé un agglomerato di forze capaci di individuare, definire e prospettare politiche appropriate che, ad oggi, la nuova DC di Cuffaro - deviando dalla sua naturale vocazione centrista, espressa storicamente nell’affermare politiche moderate, giammai populiste e sovraniste - prona al disegno della Meloni di colonizzazione organica dell’area cattolica, e un'opposizione in ordine sparso, non sono riusciti a elaborare, affinché si possa far ritrovare al sistema politico la naturale mission del ”bene comune”, recuperare nell’Ordinamento il pieno rispetto della dignità umana e siano al contempo argine ad una minacciosa deriva autoritaria.

 

Luigi Rapisarda