Senza figli non c’è futuro. Lo aveva affermato Papa Benedetto XVI il 15 febbraio 2012.
E cinque anni prima, nel 2007, in Austria, aveva chiesto ai Paesi europei di fare tutto il possibile per essere di nuovo più aperti ad accogliere i bambini. Aveva incoraggiato i giovani, che con il matrimonio fondano nuove famiglie, a divenire madri e padri! Ovviamente ha chiesto ai governi “di favorire condizioni che rendano possibile alle giovani coppie di allevare dei figli. Tutto ciò, però, non gioverà a nulla, se non riusciremo a creare nei nostri Paesi di nuovo un clima di gioia e di fiducia nella vita, in cui i bambini non vengano visti come un peso, ma come un dono per tutti”.
La denatalità in Italia è inarrestabile. E' un Paese per vecchi: un italiano su 4 ha più di 65 anni. Negli ultimi 10 anni, in Italia, il numero di nuovi nati è diminuito del 25%: nel 2021, sono venuti al mondo solo 400.249 bambini. I morti sono stati 700000. Come se in un colpo solo fosse sparita una città di 300.000 mila abitanti.
Proprio oggi, 12 maggio 2023, Papa Francesco, parlando ai partecipanti alla terza edizione degli Stati Generali della Natalità ha detto: "La nascita dei figli, infatti, è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire. Ho saputo che lo scorso anno l’Italia ha toccato il minimo storico di nascite: appena 393 mila nuovi nati. È un dato che rivela una grande preoccupazione per il domani. Oggi mettere al mondo dei figli viene percepito come un’impresa a carico delle famiglie. E questo, purtroppo, condiziona la mentalità delle giovani generazioni, che crescono nell’incertezza, se non nella disillusione e nella paura. Vivono un clima sociale in cui metter su famiglia si è trasformato in uno sforzo titanico, anziché essere un valore condiviso che tutti riconoscono e sostengono. Sentirsi soli e costretti a contare esclusivamente sulle proprie forze è pericoloso: vuol dire erodere lentamente il vivere comune e rassegnarsi a esistenze solitarie, in cui ciascuno deve fare da sé. Con la conseguenza che solo i più ricchi possono permettersi, grazie alle loro risorse, maggiore libertà nello scegliere che forma dare alle proprie vite. E questo è ingiusto, oltre che umiliante".
Secondo l’Istat la denatalità in Italia è in aumento. La popolazione residente continua a calare. Al 31 dicembre 2020, data di riferimento della terza edizione del Censimento permanente, la popolazione in Italia contava 59.236.213 residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2019.
Saremo 57,9 milioni nel 2030; a 54,2 milioni nel 2050 e nel 2070 saremo 47,7 milioni.
Quello dell’Italia è uno dei tassi di fecondità più bassi d’Europa: 1,3 figli per donna.
Il nostro Paese è immerso in una trappola della bassa fertilità. Le cause di questa preoccupante tendenza sono molto diverse, ma tutte dovrebbero trovare un'adeguata risposta nelle politiche pubbliche sulla famiglia.
Il punto di partenza deve essere una visione politica positiva della famiglia, della maternità e dei figli. La mancanza di aiuti pubblici, la perdita di reddito da lavoro per le donne dopo la maternità, la difficoltà di conciliazione e la scarsa corresponsabilità di molti uomini nell'educazione dei figli sono tra i fattori preoccupanti del fenomeno.
E questa visione è quella che non esiste nel discorso ideologico predominante. La popolazione in età di paternità e maternità si muove in un ambiente sociale che non favorisce l'assunzione della responsabilità di avere figli. Perché, in effetti, un figlio è fonte di responsabilità e impegni, non un diritto dei genitori.
Problemi oggettivi pesano sulle giovani generazioni: la precarietà del lavoro, che non fornisce sicurezza economica per assumere nuove responsabilità familiari; la pochezza dei salari medi, incompatibili per far fronte alle spese di un figlio; gli ostacoli all'accesso a un alloggio dignitoso, che non garantisca comfort di base o privacy a genitori e figli.
Parallelamente a queste situazioni dissuasive, ma non impossibili da invertire con ambiziose politiche pubbliche e del lavoro, esistono anche approcci più soggettivi. La stabilità e l'impegno nella vita di coppia è percepito come un ideale d'altri tempi, con la sua chiara proiezione nella diminuzione costante del numero dei matrimoni.
L'attuale offerta di vita invita anche molti giovani a considerarne la realizzazione personale e professionale senza condizionamenti esterni, perché non avere figli risponde non solo a difficoltà esogene; è un'opzione volontaria crescente in un clima di individualismo.
Sono proprio convinto che il fenomeno della bassa fecondità in Italia si collochi anche nel contesto di una radicale trasformazione della vita familiare che comprende:
- il blocco dei processi di emancipazione e il prolungamento della dipendenza domestica dei giovani;
- il calo dei tassi di matrimonio e il ritardo dell'età del matrimonio;
- la crescita delle unioni di fatto e l'aumento dell'instabilità delle coppie e il corrispondente aumento delle separazioni e dei divorzi.
E che dire sul ritardo del calendario riproduttivo? Negli ultimi 40 anni l'età media alla gravidanza è aumentata di oltre quattro anni. Nel 2020, l'età media in cui le donne hanno avuto il loro primo figlio era di 32 anni. Si noti che le donne che hanno il loro primo figlio a quell'età iniziano la riproduzione avendo sprecato metà della loro vita potenzialmente fertile.
Perché e perché dovremmo preoccuparci del deficit di natalità?
Tra le principali conseguenze della bassa fecondità vi sono:
- la diminuzione delle dimensioni della popolazione in assenza di flussi migratori compensativi;
- l'inevitabile invecchiamento demografico;
- il plausibile deficit assistenziale prodotto dalla frustrazione delle aspirazioni riproduttive.
- la carenza di manodopera e la minaccia di stagnazione economica;
- l'accelerazione dell'invecchiamento può richiedere aggiustamenti dolorosi nei sistemi di sicurezza sociale, sanità pubblica e assistenza ai dipendenti.
- la proliferazione dei figli unici e la conseguente riduzione delle dimensioni delle reti di parentela.