Il faticare dell’uomo nelle case, nei campi, nelle industrie, negli uffici potrebbe risolversi in un logorante affannarsi, vuoto in definitiva di senso. Ma la festa di S. Giuseppe artigiano ci aiuta a riscoprire il significato originario del lavoro. La Chiesa con la memoria liturgica di S. Giuseppe artigiano nel 1° giorno del mese di maggio, manifesta un’intenzione redentrice e certamente uno scopo santificatore del lavoro.
Non si è lontani dal vero se si sostiene che ancor oggi esiste un vero distacco fra la psicologia del lavoro e quella religiosa; un distacco che ha grandi ripercussioni sociali e che ancora tiene lontane dalla fede tante folle di uomini e di donne, che fanno del lavoro non solo la loro professione, ma altresì la loro qualifica spirituale, l’espressione della loro suprema concezione della vita, in opposizione a quella cristiana.
È questo uno dei più grandi malintesi della società contemporanea e che tutti oramai dovrebbero sapere risolvere non solo a lode della verità, ma a tutto vantaggio del lavoro stesso e dei lavoratori, che della fatica e dell’attività produttiva portano nella loro vita l’impronta distintiva.
E qual è, allora il significato originario del lavoro?
Nel progetto di Dio il lavoro appare come un diritto-dovere. Necessario per rendere utili i beni della terra alla vita di ogni uomo e della società, esso contribuisce a orientare l'attività umana a Dio nell'adempimento del suo comando di "soggiogare la terra".
Lo stesso Gesù a Nazaret trascorse i 30 anni della sua vita nascosta nella bottega di Giuseppe dimostrando così la più alta dignità del lavoro. Il Figlio di Dio non ha disdegnato la qualifica di carpentiere, e non ha voluto dispensarsi dalla normale condizione di ogni uomo. "L'eloquenza della vita di Cristo è inequivocabile: egli appartiene al mondo del lavoro, ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre" (Enc. Laborem exercens, 26).
E’ per questo che il pensiero cristiano, e per esso la Chiesa, considera il lavoro come espressione delle facoltà umane, e non soltanto di quelle fisiche, ma altresì di quelle spirituali, che imprimono nell’opera manuale il segno della personalità umana, e perciò il suo progresso, la sua perfezione, e alla fine la sua utilità economica e sociale.
Il lavoro è l’esplicazione normale delle facoltà umane, fisiche, morali, spirituali! e riveste perciò la dignità, il talento, il genio perfettivo e produttivo dell’uomo. Ne esplica la sua fondamentale pedagogia, ne segna la statura del suo sviluppo. Obbedisce al disegno primigenio di Dio creatore, che volle l’uomo esploratore, conquistatore, dominatore della terra, dei suoi tesori, delle sue energie, dei suoi segreti.
Si tratta di una vera e propria spiritualità cristiana del lavoro. Anzi potremmo parlare proprio di "vangelo del lavoro", perché l'attività umana possa promuovere l'autentico sviluppo delle persone e dell'intera umanità. Per questo occorre sollecitare una riscoperta del senso e del valore del lavoro ristabilendo la giusta gerarchia dei valori, con al primo posto la dignità dell'uomo e della donna che lavorano, la loro libertà, responsabilità e partecipazione.
Nessuno e niente, neppure in forza di un processo produttivo devono violare la dignità e la centralità della persona umana. Non, dunque, il lavoro un castigo, una decadenza, un giogo di schiavo, ma è l’espressione del naturale bisogno dell’uomo di esercitare le sue forze e di misurarle con le difficoltà delle cose, per ridurle al suo servizio. È nobile perciò il lavoro, e, come ogni onesta attività umana, è sacro. Non solo: per dirla con uno che di queste cose ne aveva fatto una ragione di vita dobbiamo sostenere che per il cristiano è essenziale santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro, santificare con il lavoro.
E’ per questo che occorre assicurare al lavoro una sua giustizia, che cambi al lavoro il suo volto dolorante e umiliato, e gli renda un volto veramente umano, forte, libero, lieto, irradiato dalla conquista dei beni non solo economici, sufficienti ad una vita degna e sana, ma altresì dei beni superiori della cultura, della legittima gioia di vivere e della speranza cristiana.
Le grandi encicliche pontificie Laborem Exsercens, Sollicitudo rei socialis, Centisimus Annus, - e prima ancora: Rerum Novarum, Quadragesimo Anno, Mater et Magistra, Populorum Porgrressio, Octogesima Adveniensm - hanno alzato alta e grave la voce a tale riguardo; così la Chiesa onora il lavoro e cammina anch’essa sulla via maestra della civiltà del nostro tempo. Si tratta ancora di speranza in gran parte che potrà diventare realtà anche attraverso la visione cristiana della società e del lavoro e il concetto sacro della persona umana, quale soltanto il Vangelo può alla definire e difendere.
Illumini e orienti il mondo del lavoro la figura di Giuseppe di Nazaret, la sua statura spirituale e morale, tanto più alta quanto più umile e discreta. Il Custode del Redentore insegnò a Gesù il mestiere di carpentiere, ma soprattutto gli diede l’esempio validissimo del lavoro delle mani dell’uomo.
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