Papa Francesco, in Fratelli tutti , dopo aver esposto le ombre di un mondo chiuso, offre un esempio luminoso, un presagio di speranza: quello del Buon Samaritano.
Il secondo capitolo, "Uno estraneo sulla strada", è dedicato a questa figura evangelica, sottolineando che, in una società malata, che volta le spalle al dolore ed è "analfabeta" nel prendersi cura dei deboli e dei fragili, siamo tutti chiamati, come il Buon Samaritano, a essere vicini all'altro, superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali.
In questo modo, il Papa afferma che siamo tutti corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere, integrare e rialzare chi è caduto o soffre. L'amore costruisce ponti e siamo "fatti per amare", aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di tutti gli esclusi.
Prima di proseguire con il documento, il Papa si sofferma sul citato testo evangelico, nel quale, dice, si raccoglie "uno sfondo di secoli" (57) che mette al centro due questioni fondamentali. Con il primo si chiede chi siano i nostri fratelli e con il secondo il principio che dovrebbe governare i nostri rapporti.
La domanda sul prossimo o fratello trova una risposta soddisfacente sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, sebbene sia in quest'ultimo che troviamo una risposta più chiara e determinata. Infatti, già nel Libro del Levitico, a esempio, è stabilito il dovere di amare il prossimo come se stessi (cfr. 19, 8) e il Libro dell'Ecclesiastico, superando la tendenza a limitare erroneamente il concetto di prossimo a chi lui, lo estende a tutti gli uomini, così come l'amore di Dio raggiunge tutti gli esseri viventi (cfr. 18,13).
Ma è nel Vangelo che viene ricordato più e più volte il precetto dell'amore per ogni essere umano, per ogni persona. Lo stesso si legge nelle lettere degli Apostoli (cfr 1 Gv 2 ;, 10; 3, 14; 4, 20; Ts 3, 12). L'atteggiamento verso gli altri, dice il Papa, non può in alcun modo essere quello dell'indifferenza (cfr. 57 e 68).
La tentazione dell'indifferenza, cioè l'inclinazione a “ignorare gli altri; soprattutto i più deboli ”(64), insegue tutti. Corriamo il rischio di essere troppo concentrati su noi stessi, di elevare a criteri dei nostri rapporti con gli altri il vecchio detto secondo cui ciascuno deve togliere le castagne dal fuoco. Ma questo principio spesso significa vedere gli altri, considerare la maggior parte degli "altri" come qualcosa che ci infastidisce, che turba la nostra vita, che altera i nostri piani o ci fa perdere tempo con i loro problemi, che turba la nostra tranquillità con le loro sofferenze.
Di fronte a quello che potremmo chiamare l'atteggiamento omicida dell'indifferenza, che cancella gli altri dalla nostra vista e li elimina dal nostro mondo, Papa Francesco propone un altro atteggiamento fondamentalmente molto diverso, “l'opzione fondamentale di cui abbiamo bisogno per ricostruire questo mondo che ci ferisce” (67): l'atteggiamento del Buon Samaritano (ibid.), che ci porta a guardare gli altri, ogni persona, come fratello o sorella. Ogni persona incarna l' "uomo qualunque" di cui parla la parabola - nessuna identificazione ulteriore - che è sceso da Gerusalemme a Gerico ed è caduto nelle mani dei briganti.
Questo atteggiamento di fondo corrisponde a quello di chi cerca il bene comune seguendo una legge fondamentale scritta nel proprio cuore, secondo la quale ogni persona deve muovere “verso il perseguimento del bene comune e da quel fine ricostruire più e più volte la propria l'ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano ”(66). Il Buon Samaritano agì con quell'atteggiamento di fondo e seguì quella legge fondamentale della solidarietà.
Il levita e il sacerdote, invece, non poterono dimenticare se stessi, i loro progetti, i loro bisogni e i loro problemi, il loro tempo, per prendersi cura del ferito, la cui condizione richiedeva con urgenza la loro attenzione: passavano dall'altra parte, facevano finta di non aver visto il ferito. Il Papa chiama a esaminare e chiederci con quale dei personaggi della parabola ci identifichiamo, o a quali somigliamo (cfr. 64).
Vale la pena soffermarsi a pensarci qualche istante, perché potremmo scoprire che, anche se crediamo in Dio e lo adoriamo, non viviamo però come Dio vuole (74); e potrebbe sorgere il paradosso, dice il Papa, "che a volte chi dice di non credere, può vivere la volontà di Dio meglio dei credenti" (ibid.). Sarebbe davvero una cosa triste.
Infine, consideriamo che Gesù, come conclusione della parabola, invita a comportarci come il Samaritano: "Va 'e fa’ lo stesso" (Lc 10,37): avvicinarci a ogni persona; mettere da parte ogni indifferenza e, di fronte alla sofferenza, diventare vicini, vicini, di chiunque incontriamo sul sentiero della nostra vita.
Teofilo