Il quarto capitolo dell'enciclica Fratelli tutti: “Un cuore aperto al mondo intero” (128-153), sviluppa alcune delle conseguenze dell'affermazione centrale dell'intero documento: tutti gli esseri umani sono fratelli. Come tutte le grandi verità, anche questa è ricca di conseguenze pratiche. Basta metterla in relazione ad alcuni problemi del nostro tempo, perché questi si illuminino di nuova luce e si comincino a trarre nuove soluzioni.

Questo è ciò che fa il Papa in questo quarto capitolo. Se non si vuole ridurla a mera astrazione, la verità della fratellanza universale “pone una serie di sfide che ci allontanano, ci costringono ad assumere nuove prospettive e sviluppare nuove reazioni” (128).

Se colleghiamo la verità della fratellanza universale con il fenomeno delle migrazioni, comprenderemo meglio il diritto che corrisponde a ogni essere umano «di trovare un luogo dove possa non solo soddisfare i propri bisogni primari e quelli della propria famiglia, ma anche esaudire pienamente se stessi. come persona» (129). Il nostro atteggiamento fraterno nei confronti dei migranti è articolato dal Papa nelle azioni di «accoglienza, protezione, promozione e integrazione». Non si tratta, infatti, «di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni» (129).

Nello specifico, il Papa segnala alcune "risposte essenziali" soprattutto per chi fugge da "gravi crisi umanitarie": aumentare e semplificare la concessione dei visti; corridoi umanitari aperti; garantire alloggio, sicurezza e servizi essenziali; offrire opportunità di lavoro e formazione; promuovere il ricongiungimento familiare; proteggere i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l'inclusione sociale. Il Papa invita anche a stabilire il concetto di "piena cittadinanza" nella società, rinunciando all'uso discriminatorio del termine "minoranze".

L'altro diverso da noi è un dono e un arricchimento per tutti, scrive il Santo Padre Francesco, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Una cultura sana è una cultura dell'accoglienza che sa aprirsi all'altro, senza rinunciare a se stessa, offrendo loro qualcosa di autentico. Come in un poliedro - immagine apprezzata e ribadita dal Pontefice - il tutto è più delle singole parti, ma ognuna di esse è rispettata nel suo valore.

Il Papa non si stanca mai di chiedere maggiori sforzi per accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti, nel rispetto della loro identità culturale e religiosa. Perché i migranti sono una fonte di arricchimento per la società in cui arrivano ed è necessario prendere coscienza del nostro mutuo aiuto. Prima di tutto c'è la gratuità, evitare l'utilitarismo e l'efficienza palpabile perché si tratta di dare senza aspettarsi una ricompensa.

Soltanto mediante uno sforzo comune degli Stati, con risposte comuni, alla base di una governance globale, sarà possibile una vera integrazione, senza cedere ai nazionalismi chiusi, che fanno guardare all’immigrato come un usurpatore, né alla tentazione dell’utilitarismo, per cui sarebbe opportuno aprire le porte solo agli scienziati e agli investitori (138). L’apertura verso i migranti, tuttavia, ribadisce bene Francesco, non si pone mai a scapito dell’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie (148).

La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici”, sottolinea Francesco: no ai “nazionalismi chiusi”, l’immigrato non è “un usurpatore”. Parlare di «cittadinanza» allontana l’idea di «minoranza», che porta con sé i semi del tribalismo e dell’ostilità, e che vede nel volto dell’altro la maschera del nemico.

Occorre infatti educare all’orizzonte universale, partendo dalle proprie radici. Ossia educare all’universaleamando però cordialmente le proprie radici! Amare il proprio carisma, senza perdere la stima per il carisma della congregazione accanto. La carne del prossimo si fa sempre concreta. Ma nello stesso tempo, sentiamo che va innestata in un cuore sempre più grande.

E’ un capitolo di grande saggezza educativa, perché sa interloquire sia sul piano globale delle relazioni che sulla dimensione locale dei legami. Universale e globale, in un intreccio già tracciato nella sua Evangelii gaudium. Se la fraternità, infatti, è priva di una delle due dimensioni, si impoverisce e si rinchiude o si svuota (142). I doni sono reciproci, fatti per la crescita nostra, comuni, di tutti e per tutti.

Come avvenne nel celebre incontro di papa Francesco con l’Iman, che resta l’evento orientativo per l’intera enciclica. Decisivo per il ministero di papa Francesco, come lo è stato per san Francesco l’incontro con il Sultano Malik-al-Kamil, in Egitto, nel 1219. Filo rosso del nostro lavoro, riferimento diretto ed indiretto di questo immenso “sogno”. Scrive nel numero 136: Allargando lo sguardo con il Grande Imam Ahmad Al-tayyeb abbiamo ricordato che il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. 

Oggi, infatti, o ci salviamo tutti o nessuno si salva. In una logica di gratuità, per cui si accoglie lo straniero, anche se al momento non porta beneficio tangibile, eppure ci sono paesi che pretendono di accogliere solo gli scienziati e gli investitori (139).

E aggiunge, da vero maestro: “Bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta perché è come la causa finale che ci attira verso la pienezza. Al tempo stesso, bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà. Pertanto, la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa”. (142)

L'universalità non deve “diluire” le particolarità (n. 151), sebbene spesso le minacci. Una cultura e un mondo aperto non significano uniformità, omogeneizzazione, standardizzazione, una cultura dominante e imposta che ha perso il gusto per la diversità e in cui ciascuna non è più rispettata nel suo valore. La formula del successo è quella che unisce un "sano amore per la propria gente e la propria cultura" con una "sincera e gentile apertura all'universale", che si lascia "sfidare da ciò che sta accadendo altrove e" arricchita da altre culture”, che è solidale" con i drammi di altri popoli "(n. 146). Altrimenti, l'amore eccessivo per la propria realtà rallenta la capacità di sviluppo, la rende statica e malata (cfr. ibid.).

L’approccio di Papa Francesco è sovversivo rispetto alle teologie politiche apocalittiche che si vanno diffondendo.  D’altra parte, il Papa pone in evidenza il fatto che l’arrivo di persone che provengono da un contesto vitale e culturale differente si trasforma in un dono per chi le accoglie: è un incontro tra persone e culture che costituisce un’opportunità di arricchimento e di sviluppo. E questo può avvenire se si permette all’altro di essere se stesso. Il criterio guida del discorso è sempre il medesimo: far crescere la consapevolezza che o ci salviamo tutti o nessuno si salva. Ogni atteggiamento di «sterilizzazione» e isolazionismo è un ostacolo all’arricchimento proprio dell’incontro.

 

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