L’ultimo capitolo di questa Enciclica è dedicato alle religioni e al loro ruolo al servizio della fraternità. Le religioni raccolgono secoli di esperienza e di sapienza, e dunque devono partecipare al dibattito pubblico così come la politica o la scienza (cfr 275).
La violenza non trova il suo fondamento nelle convinzioni religiose, ma nelle loro deformazioni. Gli atti tanto "esecrabili" quanto gli atti terroristici, quindi, non sono dovuti alla religione, ma ad interpretazioni errate di testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione. Il terrorismo non deve essere sostenuto con denaro o armi, o con la copertura dei media, perché è un crimine internazionale contro la sicurezza e la pace nel mondo e come tale deve essere condannato.
Allo stesso tempo, il Papa sottolinea che un cammino di pace tra le religioni è possibile e che, quindi, è necessario garantire la libertà religiosa, diritto umano fondamentale per tutti i credenti.
In particolare, l'enciclica riflette sul ruolo della Chiesa: non relega la sua missione alla sfera privata, non è ai margini della società e, pur non impegnandosi in politica, non rinuncia alla dimensione politica dell'esistenza.
L'attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale, infatti, riguardano l'umanità e tutto ciò che è umano riguarda la Chiesa, secondo i principi del Vangelo.
Per questo, la Chiesa non relega la propria missione all’ambito del privato. «È vero», precisa papa Francesco, «che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza» (276). La Chiesa, dunque, ha un ruolo pubblico che si adopera anche per la fraternità universale (cfr ivi).
La sorgente della dignità umana e della fraternità per i cristiani, in particolare, sta nel Vangelo di Gesù Cristo, dal quale scaturisce, sia per il pensiero sia per l’azione pastorale, l’importanza fondamentale della relazione, dell’incontro, della comunione universale con l’umanità intera (cfr. 277). La Chiesa «con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace» (278).
Le religioni al servizio della fraternità nel mondo, per affermare che «come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità». (272). Dio si fa così garante dei diritti di ogni uomo, certezza per la costruzione di una fraternità solida ed ampia. Perciò – afferma – «benché la chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. Non può restare ai margini, nella costruzione di un mondo migliore né trascurare di risvegliare le forze spirituali»… (276). La chiesa ha un ruolo pubblico. Come Maria, vuole partorire un mondo giusto e fraterno, semina ponti e getta semi di riconciliazione.
Guai allora se mancasse il canto del Vangelo. Straordinario e poetico questo numero, 277: Tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che «se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna». Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo. Da esso «scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti».
L’Enciclica si conclude con il ricordo di Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il Beato Charles de Foucauld, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi per divenire “il fratello universale” (286-287).
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