I sondaggi continuano a dare l’astensionismo in crescita

Dai periodici sondaggi che ci vengono rivelati dalle agenzie di rilevazione degli orientamenti politici, appare sempre più consolidata la deriva astensionista attorno al nostro sistema dei partiti.

E la tendenza appare sempre più in crescita, chiaro segno di manifesta ripulsa dell’attuale sistema politico e dell’accanimento consumato dalle rappresentanze politiche, di ogni colore, nel ricorrere a leggi elettorali che tarpano ogni potere di scelta dei rappresentanti, ben saldo invece nelle mani dei partiti che predispongono le liste secondo il gradimento dei loro leader.

Ci si interroga da tempo, pur in un quadro che ancora è riuscito a non andare, almeno per le elezioni nazionali, al di sotto della maggioranza degli aventi diritto al voto, quale validità può avere un’elezione se si registrasse un quorum di votanti al di sotto del cinquanta per cento degli aventi diritto?

 

Alle consultazioni che non raggiungono la metà più uno degli aventi diritto, quale validità potrà riconoscersi?

La questione non appare di poco conto  perché trovarsi una maggioranza che rivendichi il proprio diritto a governare  e, come oggi succede sempre più spesso, soprattutto ad opera delle destre, rivendicandone il diritto in nome del popolo, magari rappresentato da una netta minoranza di esso - come peraltro già succede adesso (pur non essendo andati sotto il quorum della metà più uno) dove una coalizione di forze politiche, che si dicono maggioranza, sostenuti da non più del trenta per cento di elettori, ha in mano le sorti del paese ci deve far riflettere.

Con una deriva astensionista che non accenna a invertirsi, non appare lontano il caso in cui alle prossime consultazioni si possa registrare un numero di elettori votanti al di sotto del cinquanta per cento degli aventi diritto, a fronte di una maggioranza di elettori astenuti.

 

Le compatibilità con gli artt. 64 e 75 della Costituzione 

L’ipotesi pone inevitabilmente questioni di compatibilità costituzionale con le prescrizioni di cui agli artt. 64 e 75 della Carta costituzionale.

L’art.64 della Costituzione prevede, infatti, che: “Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.”

Mentre secondo l’art.75 della Costituzione si prevede che:"..hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.”.

 

Nessuna previsione costituzionale specifica su un ipotetico quorum al di sotto della metà più uno dei votanti

Ora non sfugge la palese antinomia tra l’invalidità di tutte quelle deliberazioni che ciascuna camera dovesse prendere se non c’è almeno la maggioranza degli aventi diritto ed invece il diverso regime che dovesse trovare l’esito di un’elezione con una partecipazione di elettori al di sotto della metà degli aventi diritto al voto.

Perché non c’è alcun comma in Costituzione che abbia previsto tale scenario. 

Ritenuto probabilmente impensabile per i costituenti del 1946.

 

Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale che poteri d’intervento hanno?

Nell’eventualità, il problema non potrà sfuggire al Presidente della Repubblica cui è deputato il compito di dare l’incarico di governo.

Porrà la questione alla Corte Costituzionale?

Non essendo Egli un potere dello Stato, ma il raccordo tra i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, e rappresentando l'unità nazionale (art. 87 della Costituzione), in che modalità può eventualmente sollevarla?

Lo farà nel momento in cui è chiamato a svolgere le consultazioni, in vista di un incarico di governo da affidare?

O affiderà l’incarico di formare il governo, con riserva, alle forze che ne esprimono la maggioranza, investendo contestualmente della questione, con le modalità più appropriate, la Corte Costituzionale?

Essendo materia nuova ciascuna Accademia non mancherà di dare indicazioni sul punto.

Di certo, qualunque possano essere le ragioni di una prevalente scelta astensionistica dell’elettorato, non si potrà solo prendere atto del fenomeno, assai rappresentativo del  depauperamento del sistema democratico.

Quel manifesto disinteresse, che si traduce in partecipazione, sempre più rarefatta dei cittadini nei momenti elettorali, appuntamenti invece cruciali per la governance politica degli interessi comuni del paese, non potrà più essere ignorato dai partiti.

Un dovere morale e politico che gli imporrà a non continuare a perpetuare assetti, sempre più improntate a leaderismo, a detrimento di quella necessaria e sana dialettica collegiale, oltre a recuperare quello spirito della norma costituzionale, che affida ai partiti il compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”( art.49 Cost.), missione che orientò la strutturazione dei partiti della cosiddetta prima Repubblica.

 

Ritenersi senza limiti, nell’esercizio di governo in nome del popolo, è un’invenzione populista 

Con più facile breccia di pretese temerarie da parte dei partiti populisti nell’invocare pieni poteri, in nome del popolo: entità astratta che non invera il caleidoscopio delle specificità di ciascun cittadino o delle formazioni politiche, soprattutto di opposizione, ma rappresenta artificiosamente un’assimilazione impropria con l’ideologia del partito che ne rivendica l’esercizio del potere in suo nome, operando una spuria falsificazione identitaria.

Secondo Hans Kelsen il principio di maggioranza, come egli lo ha elaborato nella sua "Teoria democratica” è non solo una delle peculiarità essenziali delle democrazie ma ne rappresenta anche un limite, che ontologicamente non può essere che invalicabile.

Limite che hanno buon gioco ad infrangere spesso, con corsie privilegiate e lobbying, oligarchie e apparati organizzati del turbo capitalismo, i cui metodi egemonici deprimono il sentimento di partecipazione e la comune cura della cosa pubblica, e si pongono in collisione con l’art 3, soprattutto secondo comma della Costituzione( che persegue l’uguaglianza sostanziale), pietra miliare nel cruciale obiettivo di consentire a tutti, di essere in grado, previe politiche pubbliche efficaci, volte alla formazione di una coscienza autonoma - presupposto indefettibile - per partecipare consapevolmente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

 

Alexis de Tocqueville e il principio di maggioranza tra libertà e democrazia

Nel suo famoso saggio “Democracy in America” il filosofo francese, a proposito del principio di maggioranza, assunto a criterio democratico di individuazione di chi deve essere chiamato a governare un paese attraverso il responso delle urne, e regolatore dell’esercizio dei poteri fondamentali, così si esprimeva: “Io considero empia e detestabile questa massima: che in materia di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tutto; tuttavia pongo nella maggioranza l’origine di tutti i poteri. Sono forse in contraddizione con me stesso?”

Questa sorta di paradosso racchiude tutto il dilemma che pone, per il filosofo, la convivenza tra libertà e democrazia, e i rischi che il principio di maggioranza può comportare, trasformandosi in tirannia.

Qui emerge la sua visione post illuminista della società e della politica che ruota prevalentemente attorno al concetto di libertà individuale.

Ma, al contempo, da liberale, teme l’eccesso di libertà quando essa, collettivizzata nelle le forme di una maggioranza, subisce la tentazione di soggiogare ogni posizione individuale contraria. Eccone perciò i limiti.

L’opera è del 1835, ma il testo è  predittivo nel mettere in guardia da tutta una serie di dinamiche che poi si concretizzeranno nelle future torsioni totalitarie che ebbero spazio nella prima metà del ‘900. 

Vien da chiedersi come Tocqueville avrebbe commentato l’ipotesi di un governo, rappresentativo di una esigua minoranza di elettori, oggi impersonato 

dall’attuale governo?

 

La partecipazione politica dà linfa e valore ai principi di libertà, uguaglianza e solidarietà 

Da rilevare come il concetto di partecipazione - che peraltro non si esaurisce con l’effettivo esercizio del voto, ma ingloba in sé tutta una totalità di aspetti propulsivi della sovranità popolare con cui ciascun cittadino può prendersi coralmente cura della cosa pubblica, a cominciare dal personale e propositivo impegno all’interno di una specifica forza politica (art. 49 della Costituzione) anche se oggi i partiti, sempre meno pluralisti e sempre più monolitica espressione del proprio leader, hanno perso molto della loro forza attrattiva - sia più associabile al principio di uguaglianza, prima ancora che espressione di esercizio delle libertà politiche.

Ed è ovvio, perché solo il raggiungimento delle condizioni di effettiva uguaglianza sostanziale tra i cittadini può portare al pieno rispetto e alla massima valorizzazione dei principi democratici di convivenza civile, sociale ed economica ed assicurare un equo sviluppo e diffuso progresso tra i ceti sociali.

Mentre la libertà, se perde di vista il principio di eguaglianza e di solidarietà, non trova solido ancoraggio al perseguimento del bene comune. 

Per converso un’autentica applicazione del principio di eguaglianza presuppone il pieno riconoscimento, sempre, delle libertà fondamentali.

Va da sé poi che la partecipazione è anche fedele misura della qualità della Democrazia di un paese. 

Lo stesso Presidente Sergio Mattarella non manca di insistere sull’importanza di essa, senza partecipazione la democrazia rischierebbe un preoccupante inaridimento.

Cosa che purtroppo già vediamo attraverso le modalità con cui questa maggioranza agisce nella quotidiana compressione delle prerogative e del cruciale ruolo del parlamento e del diritto al dissenso e a manifestare.

E non solo!

 

La Costituzione e le soglie minime sulla partecipazione popolare ai referendum e nell’esercizio politico della funzione legislativa

Ma, tornando alla disamina delle norme costituzionali con riferimento alle soglie minime di partecipazione, quelle condizioni di validità, laddove richiedono la presenza almeno della metà più uno degli aventi diritto, previste nelle attività deliberative degli organi costituzionali e nei referendum abrogativi ordinari (quelli su materie costituzionali sono esentate dal raggiungimento di una qualsivoglia soglia minima), unici strumenti di ricorso al legittimo esercizio di democrazia diretta, che trovano sbarramento nell’art. 75 della Costituzione, con cui se ne inficia ogni validità del responso elettorale se non ha partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto, non trovano invece alcuna esplicitazione a proposito dell'esercizio del voto popolare chiamato alle periodiche consultazioni per il rinnovo delle Camere, dei Consigli regionali o comunali, anche se per gli enti territoriali valgono soprattutto le specifiche leggi elettorali. 

 

Tuttavia resta immanente la coerenza generale dell’Ordinamento della Repubblica.

Ora, se è pur vero che, in conformità all’art.1 della Costituzione:”.. la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione.” quanto sarebbe coerente con lo spirito e la lettera della normativa costituzionale, un eventuale riconoscimento di validità di quelle consultazioni popolari, nazionali, ma anche  regionali e municipali, che abbiano fatto registrare la partecipazione di meno della metà degli elettori aventi diritto al voto?

 

Luigi Rapisarda 




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