“Eccellente ed intensamente compianto” lo definisce Claudio Trezzani. “Barbadillo”, che si propone come laboratorio di idee nel mare del web, ricorda che Karl Evver (1964) è morto giovane e proprio nel giorno dell’anniversario della vittoria italiana nella Grande guerra, alla quale lui, che si diceva svizzero di origine, aveva dedicato un’opera d’arte: i suoi lavori, infatti, figurano nel catalogo di Saatchi. Ma Karl era anche fotografo, con scatti che vennero esposti all’Università Bocconi.
L’anima, dunque, ora si è separata dal suo corpo, “questo vecchio e sciocco amico – scriveva Karl – con cui/in cui abito da così tanto tempo”. "C’era qualcosa in lui - rileva Elena Pontiggia - che amava nascondersi, a cominciare da quel Karl Evver che era un nome d’arte. Dietro la fisionomia tedesca si celava un’origine italianissima, anzi emiliano-lombarda: era nato a Piacenza nel 1964, sua madre era bergamasca e suo padre di Voghera”.
Amedeo Volpe lo conobbe nel 2019 a Cortemaggiore: “Karl aveva organizzato un piccolo convegno, dedicato a mio nonno: l’editore Giovanni Volpe. Apprezzai immediatamente la sua ironia e il modo di vedere le cose in un modo prismatico. Da allora, ci siamo parlati, invitati, sempre convinti di essere immortali, aspettando una nuova occasione, che non è mai arrivata. Su FaceBook aveva una sua pagina estremamente raffinata, che seguivo e commentavo con grande piacere”.
Spesso accusato di oscurità ed ermetismo, Evver aveva scelto per il suo Milite ignoto illustrato al popolo, a Palazzo Zanardi Landi di Guardamiglio, una via – osservava lui stesso - assolutamente solare, essoterica. “Come a rendere finalmente palmare ed evidente – aggiungeva - il concetto a lui carissimo e certamente centrale nelle sue figurazioni — ma quasi sempre malinteso o addirittura osteggiato dalla critica — che ciascuno è chiunque altro”. Il milite ignoto – si scrisse in quell’occasione -: una cento migliaia di vite, raccontate illustrate dipinte da un altro uomo, vivente qui e ora. Un grande artista dal sentire forte che ha saputo raccontare, spogliandolo di ogni colore politico e religioso, il mito di un giovane ragazzo che è nato cresciuto e morto, e il dolore di una madre che è poi il dolore di tutti noi.
Antonella Signaroldi, l’autrice di queste parole, gli è stata vicina fino alla fine: “Non solo artista, ma scrittore e poeta con diversi nomi, Karl è un uomo che nessuno conosce veramente, in tanti sanno piccoli frammenti delle sua vita, molte sono voci, pettegolezzi, cose per sentito dire. Egli non tornerà più a scrivere alla sua amata tastiera, non leggeremo più i suoi post. Parlavamo tanto a Piacenza in ospedale e una notte mi disse di trascrivere un suo pensiero. Il giorno dopo rileggendoglielo ad alta voce mi ha fatto capire che voleva scriverlo di suo pugno Così ha fatto impegnandosi molto e a fatica”.
A me Karl Evver scriveva: “Vorrei proporre a Solfanelli una mia biografia in tre volumi di Giuseppe Saragat, ma non l'ho scritta”. Di Gino Bramieri diceva: “Non penso fosse mai lui l’autore di quanto diceva con impeccabile ritmica. Attingeva all'immenso brodo adespota delle barzellette e dei motti di spirito, il padre dei quali è quasi sempre incertus”. In morte di Maurizio Caprara: “Caro Maurizio, dopo mesi di molto patire te ne sei andato, e non posso qui fare altro che augurarti buon viaggio. Sono stato senz'altro una piccola cosa nella tua vita, ma tu sei stato una cosa tutt'altro che piccola nella mia”. Lo stesso possiamo ben dire, ora, noi di lui.
Ruggero Morghen