L’eredità di Giuseppe Dossetti – lo abbiamo notato in un precedente articolo – non fu cara solo a Romano Prodi ma anche a suo fratello Paolo (1932-2016), mio insegnante di storia moderna all’università di Trento. Feci con lui il mio primo esame a Sociologia e, presentandomi col mio cognome, ebbi naturalmente la strada spianata. Non mancò, infatti, la domanda su un’eventuale mia parentela col famoso Raffaello Morghen, lo storico romano autore di “Medioevo cristiano” (1951), domanda che in altra occasione mi pose anche Angela Pellicciari.
Non fosse bastata, ad accreditarmi storicamente, l’omonimia col noto medievista ottenni ulteriore fiducia dall’esibire, quale testo complementare dell’esame, il “Sommario di istorica” di Johann Gustav Droysen nell’edizione Sansoni del 1943, settima uscita della collana “La meridiana”.
Ricordo ancora le manone del professore – e quelle più delicate del suo assistente, Giuseppe Olmi – sfogliare con gusto da bibliofili quell’aureo libretto, pescato in un cesto della libreria che le suore Paoline gestivano in via Belenzani. Quel cesto, peraltro, era una specie di pozzo di San Patrizio perché vi pescai pure “Le città sono vive” di Giorgio La Pira (La Scuola c1957, collana “Alle sorgenti”), testo che fu assai utile ad Anna Conigliaro Michelini per la redazione della sua tesi di laurea in sociologia.
Tra l’altro proprio La Pira, grande personalità del mondo cattolico del dopoguerra, condivise politicamente con Dossetti gli anni “storici” della Costituente e della ricostruzione (essi formarono, con Lazzati e Fanfani, il gruppo cosiddetto dei “professorini”), prima di diventare a Firenze il grande sindaco del lavoro e della pace.
Tornando a Paolo Prodi, rilevo che Alberto Melloni lo presenta quale discepolo di Giuseppe Dossetti ed allievo di Hubert Jedin. “È stato – aggiunge – uno dei più importanti modernisti italiani”. Cognato di Pino Alberigo, fu con lui una delle “energie intellettuali” attive nel Centro di documentazione bolognese.
Raccontava, a questo proposito, lo stesso Prodi: “Quando da ragazzo seguivo i comizi di Dossetti a Reggio Emilia, nella campagna elettorale del 1948, pensavo per il mio futuro naturalmente a un impegno nella politica attiva. Poi, nel 1953-54, decisi di condividere nel mio piccolo la sua proposta di abbandonare ogni responsabilità e di dedicarmi allo studio della storia come condizione preliminare e indispensabile per comprendere il presente e agire per trasformare la realtà”. “Il rapporto con Dossetti – confidava il compianto storico bolognese - ha inciso profondamente non soltanto sul mio cammino di ricerca ma anche, come punto di riferimento e di tensione dialettica, sulla mia vita complessiva”.
Per questo Paolo ha dedicato al suo maestro un volume edito da “Il Mulino” nel 2016 - Giuseppe Dossetti e le officine bolognesi - che costituisce una preziosa testimonianza autobiografica, arricchita e circostanziata da documenti personali, sul magistero di Giuseppe Dossetti e sulla cerchia di studiosi che con lui animarono il Centro di documentazione, fondato nel 1952 a Bologna. Storia di un’esperienza di impegno cattolico che ha lasciato un segno rilevante nella politica italiana, nella Chiesa e nel mondo della ricerca. “Forte e schietta testimonianza autobiografica – secondo Vincenzo Passerini - del rapporto, cruciale a anche dialettico, dell’autore con Dossetti e con il Centro di Documentazione-Istituto per le Scienze Religiose. Già dal titolo – aggiunge Passerini - si intuisce il taglio interpretativo diverso rispetto alla ricostruzione che della stessa storia fa Giuseppe Alberigo”.
Un altro testo importante di Prodi è “Il paradigma tridentino”, edito da Morcelliana. “È un’epoca nella storia della Chiesa ben precisa – ne scrive Diva e donna -, quella che ricostruisce Paolo Prodi: è l’epoca del Concilio di Trento quando, sulla spinta di Lutero, la Chiesa di Roma si rinnovò; ma questa di Prodi è anche una riflessione più generale sulla Chiesa di ieri e di oggi”.
Paolo Prodi è stato rettore dell’Università di Trento e direttore dell’Istituto storico italo-germanico del capoluogo trentino. Alle elezioni politiche del 1992 candidò in Trentino nelle liste della Rete e, come primo dei non eletti, subentrò in Parlamento quale deputato nel 1994 a Carlo Palermo, che aveva optato per il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige.
Ruggero Morghen