Provo una certa ritrosia a portare una testimonianza che mi coinvolge sul piano personale, perchè mi riporta addirittura agli anni dell'adolescenza e mi costringe, quasi su un lettino da psicanalista, a ricordare i percorsi di una vita fatta di alti e bassi nei confronti di chi ricordo: Silvio Lega.

In secondo luogo penso di allontanarmi dalle altre commemorazioni che non ho letto, per semplice mancanza di tempo, e che immagino più distanti sul piano emotivo e personale.
In terzo luogo sono convinto che poco serva ricordare che cosa sia stata la Dc: credo si possa far ripartire la Dc, ma su altri piani: una Dc nuova, in continuità ideale con quella vecchia, ma che declini i tempi attuali, tanto lontani da quelli in cui la balena bianca vinceva le elezioni, facendo tesoro degli stessi principi di base ma trasformandoli in una progettualità capace di tenere uniti gli interessi in nome di un bene più prezioso: il senso progressivo della vita che si sviluppa all'interno di un disegno provvidenziale, come ben ci seppe narrare un cattolico-liberale come Alessandro Manzoni. Ma con modalità diverse rispetto alle quattro generazioni di democristiani che si sono succeduti tra il 1943 ed il 1994.
 
Appartengo alla quinta di queste generazioni, triturata dallo scioglimento di Martinazzoli e dalle successive innumerevoli diaspore, alcune delle quali indegne del nome stesso della Democrazia Cristiana.
Silvio Lega ci fu sempre, fino al tentativo del 2014, al Palaeur di Roma, di rimettere in piedi la Dc.
Egli apparteneva alla quarta generazione.
Ma veniamo all'inizio e non alla fine di questa condivisione.
 
Ero un ragazzino appena entrato al Liceo Classico Massimo D'Azeglio, il più prestigioso di Torino, quando incontrai la politica ancor prima delle traduzioni dal greco e dal latino.
Aperti i portoni della scuola era subito occupazione, assemblea, collettivo, elezioni studentesche previste dai decreti decreti delegati ed elezioni alternative ai decreti stessi promosse dagli estremisti di sinistra.
O facevi politica, o subivi la politica.
 
In quell'istituto erano rappresentati tutti i partiti (Psdi e Pdup compresi, altrove assolutamente minoritari se non assenti): scelsi la Dc per una ragione molto semplice, i democristiani presenti al D'Azeglio mi sembravano i più seri ed equilibrati tra quanti salivano sul palco dell'aula magna e procedevano alla enucleazione, quasi quotidiana, dei loro intendimenti. Tra questi voglio ricordare Marco Camoletto, bodratiano, poi confluito nel Pd, di cui non condivido gli ultimi passaggi riconducibili ad una visione remissiva dei propri principi, ma che mi sembra giusto citare come esempio di lucida intelligenza.
Ma ero un simpatizzante democristiano che innanzitutto lavorava per la lista della scuola, non per l'egemonia del partito nei vari ambienti (come faceva il Pci con la Fgci).
 
Come me tanti cattolici che, tra le varie offerte, preferivano quella della nostra lista (Uds - Unione Democratica Studentesca) e, alla fine, dopo tre anni di lavoro, ottennero la maggioranza relativa al Consiglio d'Istituto del liceo rosso.
In questo raggruppamento era presente, con un ruolo significativo, Luca Reteuna, cugino del Segretario Provinciale della Dc di Torino, Silvio Lega, divenuto tale dopo la debacle elettorale del 1975, nel corso della quale la Dc perse contemporaneamente la guida del Comune di Torino, della provincia e della Regione Piemonte.
Uno dei principali artefici della nostra lista e nostro primo consigliere d'Istituto al D'Azeglio (l'anno successivo sarebbe toccato a me questo ruolo piuttosto ambito e lusinghiero) era, appunto, Luca con cui ho scritto a quattro mani il libro Appello Bianco - Studenti cattolico democratici nell'anno della tragedia Moro, Effatà Editrice, in cui ripercorriamo il nostro comune percorso studentesco e quello, collegato, della militanza politica.
 
Luca mi propone ad un certo punto, in quel periodo, di andare presso la sede della Dc torinese per incontrare suo cugino Silvio, Segretario Provinciale, per incominciare a stare in politica non solo al liceo, ma anche nella Dc.
Ero piuttosto scettico per questo incontro con un doroteo, anzi un neo-doroteo, perchè Lega aveva sì rotto con la classe dirigente locale che aveva portato il partito al collasso nel 1975, ma il doroteismo restava sinonimo di compromessi di potere al ribasso e perchè frequentavo con vivo piacere il Teatro Piccola Luce dove periodicamente Carlo Donat Cattin aggiornava i cittadini sullo stato dell'arte della politica nazionale.
 
Insomma, mi piaceva Donat - in questo anche spinto da un mio zio sindacalista Cisl, naturalmente di Forze Nuove, che mi avrebbe anche fatto anche conoscere l'Mcl di Sabatini, quando l'Mcl si occupava di lavoro e non di traffici.
Silvio mi piacque, perché non aveva nulla del notabile doroteo e gli anni e lo spirito che ci distanziavano non erano molti.
Cominciai ad affiancare l'attività nelle scuole con quella di partito.
 
Nelle scuole, perché, partiti dal D'Azeglio, arrivammo in tutti gli istituti della città, grazie alla collaborazione di un mondo cattolico e democristiano unito e compatto, pronto per l'elezione dei distretti scolastici in cui erano presenti scuole statali e scuole paritarie.
In una di queste la Rosa Luxembourg, ragionieri, orientata a sinistra come indica con immediatezza il nome, incontrammo Gabriella Pavesi Negri. Era un continuo passa parola ed una ricerca di giovani cattolici e figli di democristiani per contrapporsi alla marea rossa che avrebbe strumentalizzato la vittoria nelle scuole come ennesima prova che esisteva una società civile contrapposta ad una società legale: il sole dell'avvenire contro quello che in Italia si era fatto e si stava facendo per rendere migliore la vita di tutti, ceti subalterni innanzitutto.
 
Gabriella sarebbe di lì a poco diventata il punto di riferimento della macchina organizzativa per le europee del 1979 in cui Silvio sarebbe diventato eurodeputato; quindi ne sarebbe diventata la segretaria (e punto di riferimento nella sede della corrente in via Montecuccoli a Torino), in seguito avrebbe sposato il fratello Carlo.
Tutto partì da quel biennio esaltante e tragico al tempo stesso.
 
Tornando al colloquio col Segretario provinciale neo-doroteo, che mi diede approfondite spiegazioni sul perché del neo, decisi di aderire alla sua corrente, che era poi quella dell'amico Luca e che sarebbe stata quella di Gabriella.
Incominciai, col prezioso sostegno di Giuseppe Camoletto, a girare la provincia per coordinare i gruppi giovanili vicini a Lega in vista di un congresso del Movimento Giovanile che si sarebbe rivelato molto combattuto: tutti contro Lega, astro nascente della politica torinese, ed i suoi amici, vecchi o giovani che fossero.
 
Vedevo spesso Silvio ed il 15 giugno 1978 ero con lui, ad un comizio che tenne con la consueta facondia ad Aosta, quando giunse la notizia delle dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, un uomo preparatissimo ed onesto travolto dalle calunnie messe su da un sistema di potere finalizzato a colpire la Democrazia Cristiana e la sua idea di benessere collettivo.
Era lo stesso disegno che portò al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro.
 
Silvio Lega era Segretario provinciale nei giorni del rapimento ed in quello del ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani.
Mirabile il suo comizio e la cornice di pubblico che si raccolse attorno alla Dc il 9 maggio in piazza San Carlo. Non c'ero perchè mio padre mi proibì di scendere in piazza convinto che sarebbe successo qualcosa di molto grave: dovetti scegliere tra l'ansia di un padre, che aveva conosciuto la Resistenza, e la voglia di essere tra quanti riempirono quella piazza.
Ma Lega non era soltanto il Segretario provinciale dei grandi eventi luttuosi.
Lanciò in quei mesi il Progetto Torino, attorno a cui chiamò a raccolta con successo tutte le forze economiche significative della città, dall'Ascom di Giovanni Salerno, alla Camera di Commercio di Enrico Salza, alla Fiat di Umberto Agnelli e Luca Cordero di Montezemolo.
 
Il concetto era semplice ma efficace.
La Torino fordista stava finendo (lo diceva a fine anni Settanta), anche se Fiat costruiva in quel momento il suo centro direzionale in Corso Ferrucci con tanto di pista per elicotteri (che infatti non sarebbe mai stata utilizzata).
Occorreva affiancare al settore manifatturiero un terziario avanzato, di supporto alla produzione, la quale sarebbe, però finita altrove.
 
Anche il commercio si sarebbe evoluto verso quelli che sarebbero poi divenuti i centri commerciali, giusti nell'idea ma pessimi nella realizzazione effettuata.
Si Iniziava a capire la necessità di supportare gli anziani e l'importanza della tenuta del servizio sanitario nazionale.
Inoltre, la crisi di Milano apriva in quegli anni importanti spiragli per Torino anche nel comparto finanziario ed assicurativo.
Le sue intuizioni non vennero seguite, ma restano un esempio di un'intelligenza anticipatrice dei tempi.
Alle prime elezioni europee con designazione dei deputati attraverso il suffragio diretto, Silvio Lega venne eletto a Strasburgo giungendo sesto sugli otto eletti della Dc nel Nord-ovest.
 
Un successo difficilissimo, conseguito grazie ai suoi meriti ed al suo radicamento nella società piemontese, ma anche a quel gruppo di giovani volontari che diedero molto in termini di passione e di entusiasmo al raggiungimento di un obiettivo non scontato.
Donat Cattin gli aveva preconizzato che non sarebbe diventato eurodeputato neanche se avesse concesso sè stesso a tutta Torino (i termini erano molto più triviali, ma permessi al leader della sinistra sociale democristiana).
Fu anche il mio primo voto quello per le europee del 1979. Anzi il secondo, perché la settimana prima si era votato per le politiche.
Alla Camera avevo votato Donat Cattin, per Strasburgo fu la volta, finalmente, di Lega.
 
Dopo la sua elezione si andò, l'anno successivo, al Congresso provinciale di Torino del Movimento Giovanile Dc, quello che stavamo preparando da un anno (era difficile celebrarlo perché le contrapposizioni interne portavano sempre a nuovi rinvii, in una situazione di Commissariamento).
Tutti contro Lega era la sintesi della volontà congressuale dei giovani, alcuni dotati di propria personalità, come Giorgio Merlo, Rodolfo Buat ed Antonello Angeleri, altri eterodiretti.
Pazienza.
Feci la minoranza in solitario ma, dopo alcuni mesi, venni ricompreso in una gestione più aperta, grazie ai rapporti umani e personali che non vennero mai meno con gli altri coscritti.
Nel frattempo, alle comunali ed alle regionali del 1980, il gruppo Lega portò al comune di Torino Giampaolo Zanetta ed alla Regione Piemonte Mario Carletto.
 
Era necessario completare la rappresentanza nelle istituzioni in una situazione in cui il potere aveva il suo peso.
Di quegli anni vale ancora ricordare che Silvio Lega rimase coerentemente doroteo a livello nazionale, con Rumor, Gullotti e Piccoli e, durante la stagione del rinnovamento voluta da Zaccagnini, appoggiò Zac.
Quindi restò sempre lineare con la sua impostazione moderata e rinnovatrice al tempo stesso.
Vennero gli anni dell'ulteriore crescita della corrente.
Anche perché, nell'altro versante della Dc torinese, non vi erano più soltanto Bodrato e Donat Cattin, ma stava crescendo Vito Bonsignore, andreottiano, sia nei consensi che nel peso politico.
 
Per rimpinguare le fila neodorotee Lega arruolò Agostino Angeleri, che probabilmente chiese il mio scalpo all'interno della corrente perché il giovane di riferimento doveva essere il figlio Antonello, allora consigliere comunale, con cui intrattengo ottimi rapporti, ma che avevo commissariato, sostituendolo, al vertice del Movimento Giovanile di Torino, anche grazie al sostegno che mai mi mancò di Pierferdinando Casini, leader dei giovani dorotei dell'epoca.
Così lasciai la corrente di Silvio e tutti scommettevano che sarei approdato a quella di Rossi di Montelera o di Bodrato per il vezzo culturale che mi caratterizza nell'impegno politico.
A sorpresa, scelsi Bonsignore.
Un po' per ripicca (se ce l'hai col Milan scegli l'Inter non l'Atalanta) e, soprattutto, perché ebbi modo di conoscere e stimare Bonsignore che, per alcuni aspetti, riprendeva l'impostazione originaria di Lega: quella del Progetto Torino.
Bonsignore la chiamava modernizzazione della città.
 
Pur nel dualismo tra Lega e Bonsignore che caratterizzò la Dc degli anni Ottanta, va detto che entrambi promossero (assieme al socialista La Ganga ed al liberale Altissimo) un percorso di rinnovamento urbanistico di Torino culminato col nuovo piano regolatore, l'interramento della ferrovia Torino-Milano all'interno della città e la promozione dell'Alta Velocità ferroviaria. Senza dimenticare l'ultima autostrada realizzata in Piemonte, la Torino-Bardonecchia, che è una tratta della Roma-Parigi e non un giocattolo per i borghesi di Torino per arrivare prima in montagna (ci può stare comunque pure questo).
 
Erano gli anni in cui Bonsignore contava su una forte maggioranza all'interno del gruppo consiliare al Comune di Torino ed a lui va dato il merito di aver promosso questa fase, ma Lega non si distaccò mai da una visione propositiva per lo sviluppo di Torino.
Lo avrebbero fatto i post-comunisti, i fautori della decrescita felice e gli interessati alla fuga dai loro stabilimenti previo lauto rimborso per la famiglia e grane ridotte al minimo, sempre per la nota cerchia.
Una delle ultime riunioni che feci in via Montecuccoli fu durante la visita agli amici da parte di Antonio Gava: era il nuovo capo doroteo e non mi fece una bella impressione.
Ma ormai contava la corrente del Golfo nel centro del centro della Dc.
 
Incrociai fugacemente Silvio Lega nei vari successivi congressi della Dc che erano comunque talmente affollati da permettere di non soffermarsi troppo a tu per tu se ne aveva una specifica ragione.
Vidi Silvio all'assemblea provinciale di Torino di trasformazione della Dc in Ppi a fine 1993 quando, alla Galleria d'Arte Moderna, abbandonò con ostentazione ed un certo clamore la riunione. Non avrebbe seguito Martinazzoli, ma sarebbe stato tra i promotori del Ccd.
 
Io rimasi nel Ppi, convintamente lontano dalla Sinistra, ma perplesso su quanto avrebbe potuto fare Berlusconi per il bene della politica.
Ricevetti, in modo assolutamente inaspettato, nel 2014, una convocazione da parte del fedelissimo di Lega, Sergio Deorsola, già consigliere provinciale e regionale, che mi fece innanzitutto piacere perchè significava che l'amicizia di tanti anni aveva ancora un significato, nel corso della quale si prospettava l'idea di far ripartire la Dc.
Era la preparazione del congresso dell'Eur, che avrebbe portato Gianni Fontana alla Segreteria della Dc e Silvio Lega alla Presidenza.
Come è noto il congresso fu annullato, ma per me fu una delle ultime occasioni per rivedere Silvio e scambiare alcune considerazioni sul futuro della politica.
 
La sua idea non era tanto quella di riattivare il vecchio partito della prima repubblica, ma di creare una sorta di fondazione o di think-tank che potesse illuminare il percorso della crisi dell'Occidente e della democrazia che stiamo ormai vivendo in maniera palpabile.
Ancora una volta, si dimostrava intuitivo e lungimirante.
 
In questo, forse, le presunte o vere risorse nascoste della Dc sarebbero state di una certa utilità, ma anche di questo solo lui poteva averne contezza.
Gli altri, mi sembra, avessero al proposito soltanto idee confuse.
Tuttavia, prima della spaccatura tra Ccd e Ppi Silvio Lega, ormai tra i leader o addirittura il leader della corrente Alleanza Popolare, meglio nota come Grande Centro, avrebbe dovuto sostituire il dimissionario Forlani.
Siamo al 17 luglio 1992, ma il 18 luglio venne raggiunto da un avviso di garanzia in grado di vanificare questo estremo tentativo di rinnovamento delle Dc.
 
Era la giustizia ad orologeria, cui non seguì alcuna condanna.
So di un armadio in casa sua sigillato per anni in segno di palese intimidazione, ma inutile per qualsiasi indagine.
Se Lega fosse diventato Segretario sono certo che, con la sua dialettica eccezionale ed la prontezza a cogliere in maniera critica ed autocritica i fenomeni reali, avrebbe salvato il partito.
Avrebbe bucato il video, sarebbe stato un leone nei talk-show che ormai stavano diventando il termometro della politica.
Non avrebbe preteso sconti e benevolenza, come non aveva mai fatto, persino quando si scagliò contro il direttore de La Stampa Arrigo Levi, sempre ostile alla Dc, con apprezzamenti non riportabili.
 
Però avrebbe dimostrato che la Democrazia Cristiana aveva ancora una ragione di esistere e di rappresentare, se non la maggioranza degli italiani, perlomeno una parte consistente di essi.
Avrebbe offerto una speranza ai suoi ed una preziosa indicazione politica agli altri.
Oggi, la Dc nuova di Cuffaro, a Torino, ha ricostituito una sede nel quartiere in cui Silvio è nato ed ha vissuto per molti anni.
A lui è dedicata questa sezione ed il suo ritratto sorridente campeggia sulla parete in suo ricordo.
E' il poco che i democristiani di quinta generazione possono fare per non dimenticarlo.
 
E per ricordarlo nel migliore dei modi, con un sorriso
 
 
Mauro Carmagnola