Ci sono innumerevoli ragioni per non fare inaridire la spinta e creare i migliori presupposti per una riunificazione dell’area democristiana. La principale è la politica di questo governo Meloni che ci nasconde sempre meno l’idea di fondo che sottende al disegno che vuole mettere in campo in questa legislatura. È un’idea che non ha nulla a che fare con un modello di destra moderna. Anzi, man mano che si dipanano i tanti provvedimenti securitari che si mettono in campo in risposta ad una orchestrata scenografia della paura, che le destre, in una perenne campagna elettorale, continuano a montare, viene a disvelarsi la natura reazionaria e autoritaria di questo esecutivo che sta totalmente esautorando il Parlamento dalla naturale e concreta funzione normativa.
Così, mentre lo spazio di manovra si restringe per le tante categorie che da qualche anno annaspano, scivolando sempre più verso soglie di povertà che si ingrossano a dismisura, c’è tutto un florilegio di provvedimenti indulgenti e ultra garantisti verso i ceti alti, le tante lobby (sanità privata, balneari, tassisti) e le rendite finanziarie (fa scuola il recente dietrofront del decreto che imponeva alle banche una tassazione aggiuntiva sugli extra profitti) mentre, tra rimodulazioni e diatribe con i commissari europei, il Pnrr stenta a rispettare i tempi di attuazione programmati, acuendo impietosamente il divario tra i ceti sociali,
Ora, in così sconcertante scenario che fa rabbrividire per le tante incognite circa il futuro di questo paese, ove nulla di ciò che risulta essere il progetto governativo sa andare al cuore dei problemi per dare concreta e credibile soluzione alle tante emergenze emerse – clima, casa, lavoro, sanità, scuola, giustizia, salvaguardia degli assi portanti della Costituzione – si susseguono gli appelli, da parte di esponenti cristiano democratici e popolari, ad unire le forze per una lista unitaria dell’area democristiana, popolare e riformista in vista delle prossime elezioni europee. Appelli in linea di massima condivisibili, ma con non poche criticità rispetto al percorso su cui ci si intende inerpicarsi.
Non possiamo nasconderci però che l’occasione è di quelle straordinarie. Sicuramente una grande opportunità per riportare stili e metodi che mancano da circa trent’anni, e che si espressero in quella virtuosa mediazione capace di offrire, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, appropriate soluzioni al paese creando sviluppo, lavoro e crescita sociale. Tutto l’opposto delle soluzioni di questo governo improntate ad un mix di liberismo sfrenato e di dirigismo parolaio fatto di slogan e annunci senza alcuna concretezza di visione (emblematico il piano Mattei) con ponti d’oro per multinazionali, grandi aziende e banche, oltre ad un chiaro disegno demolitorio del nostro impianto costituzionale, teso a scardinarne i delicati equilibri.
Appare perciò naturale fare leva sulla pregnanza di quelle comuni matrici culturali dei cattolici in politica, che agli albori della Repubblica guidarono, in perfetta sintesi con le altre matrici, liberali e social comuniste, il sapiente lavoro di elaborazione e scrittura della nostra Carta costituzionale. Una ragione in più perché popolari e cristiano democratici, uniti, si schierino con forza in difesa della nostra Carta fondamentale per contrastare il progetto di legge costituzionale che intende introdurre nel nostro sistema istituzionale una disinvolta idea di premierato.
Ma non meno importante appare la questione di come costruire una lista unitaria per le prossime elezioni europee e preparare un terreno comune guardando alle future elezioni politiche, capace di aggregare le diverse componenti che presero forma e direzioni diverse con l’apparente scioglimento della Democrazia cristiana.
Ma se guardiamo alle dinamiche e agli intendimenti che traiamo dalle recenti affermazioni dei diversi dirigenti di queste forze, l’impresa sembra quasi impossibile. Intanto la Dc vorrà essere presente ed accreditarsi con il proprio simbolo. Ma va ben valutato il consistente sbarramento del 4 per cento che c’è da superare. Così come non sarà di minore importanza la valutazione del rischio cui ci si espone nell’ipotesi di lista unitaria, con più di un simbolo, che di solito non ha trovato mai grande fortuna.
Di poi, e non per questa sola ragione, non potrà essere nella partita un’ipotesi di alleanza di lista con Forza Italia. Sia perché congiungere il simbolo con il partito fondato da Berlusconi significa esporre la propria identità al doppio giudizio degli elettori, condizionandolo al peso che eserciterà l’idea positiva o negativa che ciascun elettore avrà di FI.
Sia perché appaiono pregiudizialmente prevaricanti, oltre che supponenti, le affermazioni di Tajani secondo cui sarebbe Forza Italia il partito di centro di questo sistema politico. Affermazione tanto improvvisata quanto risibile. Basta guardare alla palese funzione ancillare e gregaria che Forza Italia sta svolgendo nella coalizione guidata da una destra reazionaria e lontana dai principi dell’umanesimo solidale, per convincersi dell’infondatezza di questa velleitaria tesi.
Sull’altro versante dei popolari, principalmente rappresentati da Tempi Nuovi, poco convince l’appello, autolesionista, che si coglie nel Manifesto di questa recente aggregazione e in alcuni articoli su questo giornale di Fioroni, rivolto a Renzi e Calenda, per guidare una inedita formazione di centro. Se è utopico pensare ad un revival della pregressa liaison tra Renzi e Calenda, troppo funambolici, imprevedibili ed individualisti appaiono l’uno e l’altro, in aperta antitesi allo stile collegiale e misurato che ha sempre caratterizzato la politica democristiana e popolare.
Non possono ignorarsi infine i coup de théâtre cui ci ha abituati Gianfranco Rotondi, il quale continua a muoversi dentro un terreno irto di contraddizioni e irragionevolezze quando, in seno alla recente convention di Saint Vincent, nelle vesti di deputato di FdI, afferma di essere, pur in quella diversa rappresentanza di partito, l’erede della DC e in sostanza rivendicando di essere l’unico titolato a poterle ridare potestà politica.
Quello che invece non può lasciarci indifferenti è il forte sentimento di attesa di tanti elettori sconcertati da una classe politica sempre più ingabbiata negli schemi di una retorica populista e fidelizzata al leader di turno. Ciò fa apparire incomprensibile il voler mantenere distinte identità, mentre talora impercettibili appaiono le sfumature tra le diverse entità rappresentative dei cattolici democratici e dell’area popolare.
Ora mentre il contesto geopolitico ed interno va verso prospettive inquietanti, non si può continuare nella proliferazione di personalismi e di enclave politiche mentre il paese attende un nuovo protagonismo politico da parte dell’area cattolico popolare per infondere linfa vitale nel processo di ridefinizione di un credibile progetto di paese e per un rinnovato modello di identità europea.
La sfida è di quelle epocali. E l’ampiezza delle questioni con cui misurarsi è quasi incommensurabile. Non c’è un campo, a ben guardare, ove non si stiano portando grandi novità tecnologiche e organizzative: dal lavoro umano alla produzione, dal consumo alla diagnostica e alle cure in medicina, e ai tanti altri settori, segno di quanto i confini del progresso siano labili.
Così non sono irrilevanti i tanti interrogativi, talora inquietanti, (come a proposito del ricorso sempre più massiccio all’Intelligenza artificiale) che stanno attraversando trasversalmente, comunità e popoli, e soprattutto su che tipo di progetto di convivenza tra i popoli ogni forza politica strutturerà il consorzio umano per assicurare a ogni continente le condizioni di pieno sviluppo e di benessere di ogni persona. In questo scenario non appaiono appropriate ai tanti elettori delusi le politiche strillate, e dal fiato corto, che il governo sta mettendo in campo, illudendo gli elettori con il rimandare l’attuazione delle promesse non mantenute (già è la seconda volta) alla prossima legge di bilancio, mentre il paese arretra e sprofonda in una spirale recessiva che sta impoverendo anche il ceto medio.
Occorre allora favorire subito la ricomposizione della diaspora democristiana e di quanti si richiamano ai principi e ai valori del popolarismo e della dottrina sociale della Chiesa. Un compito che precipuamente dovrà, a questo punto, assumere la rinata Democrazia cristiana, il cui crescente consenso nei territori le sta consentendo di uscire dall’iniziale autoreferenzialità di cui sono affetti i partiti di nuovo conio.
Proprio alla Dc – cui non può negarsi di avere formalmente (a partire dal primo provvedimento del Tribunale di Roma del 2016 con cui si è autorizzato, nel rispetto delle norme di legge e dello Statuto, la legittimità della convocazione per procedere al XIX Congresso) tutte le carte in regola per affermarne legittimamente la continuità con il partito storico dello scudo crociato – va in primo luogo l’onere di questo lavoro per ricomporre quel virtuoso e plurale contesto culturale, come è stato nei cinquant’anni di vita politica.
Si tratta perciò di creare le condizioni politiche per una convivenza dei diversi filoni dell’area cattolica: liberale, democratica e sociale, nei quali diversamente sono declinati i punti cardine che ispirano l’azione politica dei cattolici.
Più problematica appare essere, invece, la costruzione di un rassemblement tra l’area democristiana e popolare e l’area dei riformisti che sconterebbe una competizione interna sulle diverse visioni di paese e di Europa, con il rischio di esporsi a contrapposizioni profonde su temi cruciali e il prevedibile effetto di fare inaridire l’ambizioso progetto.
C’è chi ancora su questo giornale continua infatti a vagheggiare l’esperienza della Margherita, virtuosa nel portare Prodi a spuntarla su Berlusconi, nel 2006, ma foriera delle future tensioni, una volta chiusa quell’esperienza politica con la confluenza nel Pd, forse alla base della progressiva perdita di identità sofferta dal partito e di tutte le conseguenti disavventure elettorali.
In questo groviglio, che al momento appare senza un facile sbocco, mentre la Federazione dei democratici cristiani, che per questo scopo era stata costituita, giusto quattro anni fa, nel centenario dell’Appello ai liberi e forti di Don Luigi Sturzo, segna il passo, e non fa intravedere iniziative credibili; e i popolari di Tempi Nuovi continuano a riproporre leadership politiche logorate, caratterizzate da disinvolti funambolismi, confidiamo nel fatto che la Nuova Dv, di cui oggi è segretario politico Totò Cuffaro, sappia promuovere e guidare, senza indugio, il processo di riunificazione della galassia Dc.
Un processo di ricomposizione che dovrà ricondursi alla sua naturale identità, distinta e distante da ogni velleitarismo populista, sovranista, giustizialista, radicale e anti sistema. E al contempo metta in moto, in piena continuità storica, un rinnovato percorso politico, nell’intento di recuperare tutte le potenzialità di quest’area culturale che, con la Democrazia cristiana, fu mirabile interprete nei tanti profili di governo che seppe assicurare per dare le risposte più appropriate.
Nello stesso tempo occorre guardare sempre in una prospettiva di lungo termine, costruendo risposte mai improvvisate o disorganiche, come sembrano connotarsi le misure prevalentemente repressive con cui questo governo risponde ad istanze che invece avrebbero bisogno di interventi ad ampio raggio, soprattutto sul piano preventivo, strutturale e formativo.
Luigi Rapisarda
da Il Domani d'Italia