L'ex presidente del Consiglio Nazionale della DC, sen. Renzo Gubert, in merito alla sentenza allegata osserva: "La sentenza rigetta la richiesta di un provvedimento di urgenza relativo a nome e simbolo DC da parte dell'entità pressoché fittizia messa in campo da Luciani. Il motivo da sé solo decisivo mi pare sia da rinvenire nella trascorrenza dei termini per l'adozione di un provvedimento di urgenza. Nella parte finale c'è una disquisizione che potrebbbe concludere con l'affermazione che la DC si era spaccata in tre tronconi, uno a sinistra con i Cristiano Sociali, uno a destra con il CCD e uno al centro col PPI, per cui nessuno dei tre avrebbe l'esclusiva di rappresentare la DC storica.

Il ragionamento mi pare non tenga. Il Consiglio Nazionale che ha deciso il passaggio al PPI rappresentava pienamente la DC. Scissioni nei partiti ci sono sempre state, ma l'identità del partito che ha subito la scissione non ne è risultata compromessa. Le parti che sono uscite non mantengono parte dell'identità giuridica, associativa e politica del partito dal quale sono uscite.

I Cristiano Sociali non sono rimasti democristiani, nè lo sono rimasti i membri del CCD, che hanno costituito un altro partito, anche se la denominazione è Centro Cristiano Democratico. In ogni caso la ricostituzione della compagine sociale della DC compiuta dopo la sentenza della Cassazione del 2010 era rivolta a tutti coloro che erano stati tesserati DC all'ultimo tesseramento DC e tale ricostruzione è stata ritenuta valida dall'autorità giudiziaria (Tribunale di Roma) che ha autorizzato l'Assemblea dei soci della DC (Si veda: La Democrazia Cristiana tra cronaca e storia  su questo stesso giornale).

Quella compagine rappresentava la DC, non uno spezzone di DC, ed è da ciò che deriva l'obiettiva continuità storica della DC fondata da Degasperi e altri nel 1943 e quella attuale con Segretario Totò Cuffaro. 

Il giudice nelle riflessioni finali, non pertinenti all'oggetto della sentenza, offre un quadro improprio della vicende DC. 

 

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TRIBUNALE ORDINARIO

di ROMA

SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE CIVILE

 

Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Corrado Bile, ha emesso la seguente 

O R D I N A N Z A ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

Nel procedimento cautelare promosso dal Rag. Carlo Leonetti, nato il 13 dicembre 1950, in qualità di Segretario amministrativo e Legale rappresentante del partito della DEMOCRAZIA CRISTIANA e dal Prof. Nino Luciani, nato a Comacchio il 30.04.1937, in qualità di Segretario Politico Nazionale del partito della DEMOCRAZIA CRISTIANA, con il patrocinio dell’Avv.to Giuseppe Santucci, nei confronti di:

Partito Politico denominato U.D.C., con sede a Roma, in via S. Lorenzo in Lucina,10, nelle persone dell’On. Lorenzo Cesa, Segretario Nazionale della UDC e Regino Brachetti, rappresentante legale; On. Maurizio LUPI, nato a Milano il 03.10.1959, Leader del partito NOI MODERATI, presso la Camera dei Deputati, Piazza Montecitorio n. 1, Roma;

On. Gianfranco Rotondi, nato ad Avellino il 25 luglio 1960 ed ivi residente, in Via Sant’Alberico Crescitelli n. 15; Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi), con sede legale in Avellino, in Via Sant’Alberico Crescitelli n. 15, in persona del suo legale rappresentante pro tempore;

Sen. Salvatore Cuffaro, nato a Raffadali (AG) il 1° febbraio 1958, ivi residente in Contrada Babalucia, n. 1 (Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Segretario Nazionale e legale rappresentante Sen. Salvatore Cuffaro);

Avv. Antonio Cirillo, nato a Torre del Greco il 10 luglio 1960 ed ivi residente in Via Giovanni XXIII n. 47;

Sig. Angelo Sandri, nato a Palmanova il 31 gennaio 1954, residente a Cervignano del Friuli – fraz. Capoluogo, Via Giusto Gervasutti n. 19;

Sig. Raffaele Cerenza, quale presidente Ass. Iscritti alla Democrazia Cristiana 1993, nato a San Giorgio a Cremano (NA) il 1° febbraio 1961 e residente a Cave, Via Speciano n. 111;

Sig. Franco De Simoni, nato a Roma il 16-dicembre 1941, ivi residente in Via Emanuele Filiberto n. 257;

Dott. De Benedittis Mario, nato Mesagne (BR), il 1° agosto 1944, rappresentante legale, residente in Roma Via Serrata 5;

Sig. Emilio Cugliari, nato il 15 settembre 1943 a Maierato e residente a Milano, Via Sassari n. 10; Sig. Avv. Lupo Rosario Salvatore Migliaccio di San Felice, nato a Napoli il 17 aprile 1965, residente in Roma, Via di Rocca Cencia, 315.

Fatto

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato unitamente all’atto di citazione, il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani hanno domandato al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni: “Preliminarmente in via cautelare ex art. 669 sexies I e II comma, inaudita altera o in alternativa dopo aver fissato un’udienza di comparizione delle parti ed accertata e dichiarata l’esistenza dei presupposti di legge, per i motivi dedotti in atto: accertare e dichiarare che l’Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Segretario Amministrativo e legale rappresentante Rag. Leonetti e del Segretario Politico Nazionale Prof. Luciani, si pone in continuità giuridica soggettiva con il Partito della Democrazia Cristiana fondato nell’anno 1943 e che, in quanto tale, ha il diritto di proprietà e il diritto esclusivo all’uso della denominazione “Democrazia Cristiana” e del simbolo che rappresenta il medesimo partito costituito graficamente da uno scudo crociato rosso su sfondo Bianco con la scritta LIBERTAS, dentro cerchio fondo blu, quale parte del proprio patrimonio morale, identitario ed immateriale ex art. 7 c.c.; per l’effetto,  ordinare alle parti convenute in giudizio la cessazione dell’utilizzo della denominazione

“Democrazia Cristiana” e del simbolo che la rappresenta (scudo crociato) e di ogni altra denominazione similare e/o confondibile, con qualsiasi strumento attuato compreso i media ed i social media, cessando gli atti di usurpazione e molestia in danno dell’attrice e stabilendo una penale per ogni atto futuro di usurpazione della denominazione e per ogni giorno in cui la violazione si protrarrà; condannare, inoltre, i convenuti, in solido tra loro o nella quota che verrà a ciascuno ascritta in considerazione della capacità lesive delle rispettive iniziative, a risarcire il danno, patrimoniale e non patrimoniale, cagionato alla Democrazia Cristiana nella somma che sarà accertata di giustizia in corso di causa, anche in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., ordinare, la pubblicazione della sentenza, a spese delle parti convenute, sui quotidiani cartacei “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Libero” e “Il Giornale” per almeno 3 giorni consecutivi;  con vittoria di spese ed onorari oltre accessori di legge.”

Con la citazione, essi hanno affermato che “il partito politico della Democrazia Cristiana rappresentato legalmente, dal sig. Leonetti segretario amministrativo e politicamente dal Prof. Nino Luciani, Segretario Politico Nazionale intende promuovere il presente giudizio al fine di accertare definitivamente l'identità e la continuità politico-storica con la Democrazia Cristiana che d'ora in poi chiameremo “storica” con la conseguente azione di rivendicazione e tutela ai sensi degli art. 6 e 7 cc nei confronti di tutti coloro che, a decorrere dall'anno 1994 e sino ad oggi hanno utilizzato illegittimamente la denominazione ed il simbolo del partito fondato da Alcide De Gasperi nel 19 marzo 1943”. 

Premesse le vicende che dal 1994 in poi hanno segnato il partito Democrazia Cristiana, hanno sostenuto la continuità storica e politica tra tale partito e l’attuale Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, odierna esponente.

In particolare, quanto al requisito del fumus boni iuris, hanno sostenuto che la costituzione di altre formazioni politiche avvenuta nel tempo sarebbe derivata dal recesso di alcuni soci dalla Democrazia Cristiana, circostanza che non avrebbe dato luogo ad una scomparsa dell’ente dante causa. 

Per altro verso, hanno rimarcato la nullità di tutti gli accordi intervenuti successivamente al 1994 con cui i partiti di nuova formazione hanno disposto della denominazione e del simbolo della Democrazia Cristiana in quanto conclusi in violazione di legge e dello statuto del partito, soggetto che mai si sarebbe estinto. 

Da ciò deriverebbe che l’utilizzo del nome e del simbolo da parte di altre e diverse formazioni politiche costituirebbe una violazione della regola sancita dall’art. 14, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957 ai sensi del quale “[n]on è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti.

Sulla base di tale considerazione i ricorrenti hanno concluso che: “1) Risulta incontestato e pacifico che la DC storica non si sia estinta il 18.01.1994 pertanto la costituzione del PPI e di tutti i partiti politici derivati dal suo frazionamento, in ultimo l'UDC, non possono e non devono essere considerati successori a titolo universale e/o particolare della DC storica, ed anzi nella sentenza della Corte di Appello, n. 13051/2009, alla pag. 31 si statuiva che: "non può neppure affermarsi che l'adozione del simbolo dello scudo crociato da parte dell'appellante U.D.C. sia legittimamente ad esso derivato";

  • Devono considerarsi nulli i cd. Accordi di Cannes ed ogni altro accordo avente ad oggetto la denominazione e/o il simbolo (scudo crociato con la scritta LIBERTAS) della DC Storica intervenuto dopo il 18.01.1994 tra i partiti politici derivanti dalle varie scissioni del PPI.
  • La formazione politica esponente risulta l'unica associazione in continuazione politica giuridica con la DC storica, sussistendo un’identità tra i propri iscritti e quelli costituenti l'originario partito nell'anno 1993.

Quanto al requisito del periculum in mora hanno evidenziato che “l’associazione attrice potrebbe subire un doppio pregiudizio; da una parte non potrebbe, visto le arbitrarie esclusioni dalle elezioni precedenti, partecipare, con il simbolo ed il nome che gli appartengono, alle prossime elezioni Regionali ed Europee con un notevole danno politico ed economico facilmente immaginabile, mentre dall'altra, dovrebbe tollerare ulteriormente l'illegittimo utilizzo del contrassegno e del nome in contesa ad opera dell'UDC e /o di un qualsiasi altro partito autoproclamatosi continuatore politico della DC storica”.

Si sono costituiti:

il Partito Politico denominato U.D.C., eccependo il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, l’avvenuta formazione del giudicato, l’insussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora e domandando l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “disattendere le istanze cautelari ex adverso avanzate e rigettare integralmente le domande anche di merito ex adverso formulate, poiché infondate in fatto e in diritto per tutti i motivi illustrati, ordinando per l’effetto, la pubblicazione della ordinanza cautelare e della successiva sentenza, a spese della parte attrice-ricorrente, sui quotidiani cartacei “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Libero” e “Il Giornale” per almeno 3 giorni consecutivi; - con vittoria di compensi e spese, oltre 15% rimborso spese generali, IVA, CPA, come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore che si dichiara antistatario”;

l’On. Maurizio LUPI, eccependo la carenza di legittimazione passiva e sul rilievo che “[l]a presunta responsabilità di parte convenuta, viene ascritta dagli attori sulla base dell’alleanza formatasi in occasione delle politiche 2022 ove, nell’ampio spettro della lista Noi Moderati, per condivisione di programma, si inserivano 4 singoli partiti di cui, uno, presentava il simbolo ad oggi rivendicato” e che “tanto a seguito della formazione di una lista elettorale, quanto in presenza di una coalizione, i singoli partiti, non abbandonano la loro identità”. Alla luce di tali considerazioni ha domandato al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni: “IN VIA PREGIUDIZIALE accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva del convenuto per i motivi esposti nel presente atto e per l’effetto estromettere lo stesso dal presente giudizio; 2) IN VIA PRINCIPALE e nel merito, rigettare dunque ogni domanda formulata nei confronti di parte convenuta per le ragioni di cui sopra; 3) condannare gli attori ai sensi dell’art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni da lite temeraria da liquidarsi d’ufficio in via equitativa. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio di cui si chiede distrazione ex art. 93 c.p.c.”;

l’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi), eccependo in primo luogo il difetto del contraddittorio sul rilievo che “l’atto di citazione ed il decreto di fissazione della trattazione del procedimento cautelare non sono stati notificati all’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”, soggetto giuridico che compare nella vocatio in ius. Poi il difetto di giurisdizione sul rilievo che a norma degli artt. 126 e 129 del d.lgs. n. 104 del 2010 “i provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia sono impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale competente nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati”. Poi il difetto di legale rappresentanza dei ricorrenti, sul rilievo che essi “non sono, però, i Legali Rappresentanti dell’associazione partitica che agisce in giudizio, in quanto la legale rappresentanza spetta al Presidente Nazionale ai sensi dell’art. 81 bis dello Statuto (cfr. doc. 9 attrice). Infatti, la stessa ricorrente riferisce di aver modificato il proprio Statuto (che nemmeno deposita integralmente) in occasione del XIX Congresso tenutosi il 24 ottobre 2020 (cfr. atto di citazione, pagg. 6 e 7) e, nel verbale di tale congresso, si legge che nello Statuto è stato inserito l’art. 81 bis il quale prevede che la rappresentanza legale del partito spetta al Presidente Nazionale”. Nel merito ha domandato rigetto dell’istanza cautelare per le eccezioni processuali e per le argomentazioni giuridiche sollevate, con vittoria di spese e competenze legali;

l’Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Segretario Nazionale e legale rappresentante Sen. Salvatore Cuffaro, eccependo in via preliminare il vincolo di litispendenza o, in subordine, di continenza che sussisterebbe tra il presente giudizio e quello preventivamente promosso dalla Associazione dal medesimo rappresentata innanzi al Tribunale di Avellino (R.G. n. 39/2024), con conseguente necessità di assumere i provvedimenti previsti dall’art. 39 c.p.c.

Ciò posto, ha domandato in via preliminare di rito, in ragione della complessità delle questioni sollevate anche in via preliminare di rito e della molteplicità dei soggetti chiamati in causa, revocare il provvedimento con cui è stato disposto che l’udienza di discussione si tenga mediante scambio di note di trattazione scritta e fissare udienza di discussione in presenza o con mezzi di collegamento da remoto; sempre in via preliminare di rito: i. dichiarare che sussiste vincolo di litispendenza con il giudizio R.G. n. 39/2024 preventivamente radicato innanzi al Tribunale di Avellino con riferimento alla domanda di accertamento del soggetto legittimato ad agire come Democrazia Cristiana e alla domanda di condanna a cessare gli atti di usurpazione del nome del Partito, limitatamente alle parti del presente giudizio che sono parti anche dell’altro giudizio; ii. previa separazione di queste domande, attinte da vincolo di litispendenza, da quelle che rimangono ad esso estranee, disporre con riferimento alle prime la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 39 comma 1 c.p.c. e con riferimento alle seconde assegnare termine per la riassunzione innanzi al Tribunale di Avellino ai sensi dell’art. 40 c.p.c.; iii. se non dovesse esserne disposta la riassunzione ex art. 40 c.p.c., sempre previo provvedimento di separazione, almeno in relazione al rapporto processuale tra parte attrice e lo scrivente Partito, disporre la sospensione necessaria della domanda di condanna alla cessazione dell’uso del simbolo, in attesa della decisione del Tribunale di Avellino sulla titolarità del diritto; in subordine, per il caso in cui non si ritenesse configurabile una relazione di litispendenza, dichiarare che sussiste un vincolo di continenza con il giudizio R.G. n. 39/2024 preventivamente radicato innanzi al Tribunale di Avellino e fissare un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti al primo Giudice, con traslazione innanzi ad esso dell’intero giudizio, anche ai sensi dell’art. 40 c.p.c.; v. in via di estremo subordine ed in ogni caso, previa adozione di provvedimento di separazione, almeno in relazione al rapporto processuale tra parte attrice e lo scrivente Partito, disporre la sospensione necessaria della domanda di condanna alla cessazione dell’uso del simbolo, in attesa della decisione del Tribunale di Avellino sulla titolarità del diritto; nel merito, per la denegata ipotesi di ritenuta infondatezza della eccezione preliminare di rito, rigettare l’azione cautelare ex adverso promossa per insussistenza dei relativi presupposti fondanti;

Avv. Antonio Cirillo, eccependo il difetto di legittimazione passiva sul rilievo di essere “solo il segretario politico dell’associazione convenuta in giudio. E in quanto tale, alla stregua delle norme che ne regolano l’organizzazione, non ne ha la rappresentanza legale. Che spetta invece al segretario amministrativo, il quale prende parte alla fase cautelare con memoria separata” e domandando pertanto il rigetto della domanda;

dott. Franco De Simoni, eccependo che, essendo scaduti i termini per il deposito dei simboli, allo stato non sussisterebbe più il requisito del periculum in mora. Sotto altro profilo ha eccepito la carenza di legittimazione attiva osservando che “[il] Sig. Luciani uno dei due odierni attori non è legittimato a d agire in giudizio in quanto è stato espulso dalla DC e non può quindi rappresentare la stessa. Identica situazione è quella dell'altro attore Sig. Leonetti, che è stato insidiato nella sua fantomatica carica ad opera dell'espulso Luciani e quindi non è stato investito legittimamente e formalmente del potere di rappresentare la DC”;

dott. Emilio Cugliari, eccependo, a sua volta, che essendo scaduti i termini per il deposito dei simboli, allo stato non sussisterebbe più il requisito del periculum in mora e che “[il] Sig. Luciani uno dei due odierni attori non è legittimato a d agire in giudizio in quanto è stato espulso dalla DC e non può quindi rappresentare la stessa. Identica situazione è quella dell'altro attore Sig. Leonetti, che è stato insidiato nella sua fantomatica carica ad opera dell'espulso Luciani e quindi non è stato investito legittimamente e formalmente del potere di rappresentare la DC”. 

Nel merito ha domandato “in via preliminare, dichiarare il difetto di legittimazione attiva degli attori Carlo Leonetti e Nino Luciani; in via preliminare, respingere l'istanza cautelare in quanto priva del periculum in mora in via principale, nel merito, rigettare la domanda proposta dalle parti attrici Leonetti e Luciani in quanto infondata, per i motivi tutti, di fatto e di diritto, illustrati nel presente atto; In subordine riconoscere, per i motivi esposti, il diritto di tutte le parti in causa ad utilizzare la denominazione Democrazia Cristiana. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio”;

Con comparsa depositata il 9.5.2024 è intervenuta ad opponendum l’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito, premettendo di essere “l’unico legittimato ad utilizzare la denominazione Democrazia Cristiana ed il simbolo dello scudo crociato” e, pertanto, domandando l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “a) rigettare la domanda di misure cautelari”.

Non si sono costituiti il sig. Angelo Sandri, il sig. Raffaele Cerenza; il dott. De Benedittis Mario e l’Avv. Lupo Rosario Salvatore Migliaccio di San Felice.

Diritto

Il Tribunale ritiene che il ricorso non possa trovare accoglimento.

Questioni preliminari

Come si è detto il Sen. Salvatore Cuffaro ha eccepito in via preliminare il vincolo di litispendenza o, in subordine, di continenza che sussisterebbe tra il presente giudizio e quello preventivamente promosso dalla Associazione da lui rappresentata innanzi al Tribunale di Avellino (R.G. n. 39/2024), con conseguente necessità di assumere i provvedimenti previsti dall’art. 39 c.p.c. Al riguardo, il Tribunale puntualizza che la decisione sul ricorso cautelare, dato il carattere dell’urgenza, può essere assunta dal giudice adito senza che ciò costituisca un vincolo per la successiva decisione, in sede di merito, sulla litispendenza o sulla continenza.

Vanno poi rigettate le eccezioni di carenza di legittimazione passiva sollevate dall’On. Maurizio Lupi e dall’Avv. Antonio Cirillo.

Le parti, infatti, non possono considerarsi in astratto estranee al giudizio. L’esame relativo alla fondatezza delle ragioni che, nella prospettiva del ricorrente, sosterrebbero la domanda, attiene al merito della controversia.

Va anche rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti sollevata dal Partito Politico denominato U.D.C., dal dott. Franco De Simoni e dal dott. Emilio Cugliari, nonché l’eccezione al difetto di legale rappresentanza dei ricorrenti sollevata dall’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”.

Infatti, in considerazione della peculiarità del rito cautelare e di esigenze di economia processuale, il Tribunale ritiene che la domanda - inerente ad una annosa questione che da tempo viene ciclicamente riproposta in termini sostanzialmente analoghi - meriti di essere esaminata sotto il più generale profilo della sua assoluta infondatezza.

Va poi rigettata l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dall’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”.

Nel caso in esame, infatti, non si è in presenza di un provvedimento immediatamente lesivo del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale, dal momento che la controversia attiene all’accertamento del diritto all’uso della denominazione “Democrazia Cristiana” e del simbolo che rappresenta il medesimo partito e tale possibile inibizione si colloca solo sul piano delle prospettate conseguenze.

Va respinta anche l’eccezione, sollevata dalla medesima parte, secondo cui vi sarebbe stata una violazione del contraddittorio perché “l’atto di citazione ed il decreto di fissazione della trattazione del procedimento cautelare non sono stati notificati all’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”, soggetto giuridico che compare nella vocatio in ius”.

A prescindere da ogni altra considerazione, trova applicazione la regola generale di cui all’art. 156, comma 3, cp.c.

Merito

Ciò chiarito, occorre muovere dall’eccepita sopravvenienza di circostanze incidenti sul requisito del periculum in mora, evidenziata dal dott. Franco De Simoni e dal dott. Emilio Cugliari, consistenti nell’avvenuto superamento del termine utile per evvetuare il deposito dei simboli.

L’argomento è fondato. (Al riguardo può aggiungersi che l’assegnazione del fascicolo a questo giudice è avvenuta in data 9.4.2024 (successivamente alla trasmissione del 26.4.2024 alla 18^ sezione civile del Tribunale da parte del Presidente della 16^ sezione civile) ed è stata resa visibile sulla “consolle” solo il 10.4.2024, giorno in cui è stata fissata l’udienza, sostituita con deposito di note scritte).

La mancanza del requisito del periculum in mora rende superflua la verifica in ordine al requisito del fumus boni iuris in quanto, come è noto, la tutela cautelare può essere accordata solo quando ricorrano entrambi i presupposti.

Tuttavia, per completezza espositiva possono essere indicate le ragioni che, in ogni caso, portano ad escludere anche la ricorrenza del fumus boni iuris

Appare opportuno, in premessa, indicare le disposizioni di maggior rilievo che compongono il quadro normativo di riferimento.

In primo luogo, viene in rilievo il d.l. n. 7 del 2024 (Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell'anno 2024 e in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale).

L’art. 2 bis (Registrazione di simboli politici come marchio d’impresa), introdotto al Senato, dispone l’irrilevanza ai fini della disciplina elettorale, della registrazione come marchio d’impresa di simboli utilizzati in campo politico. 

L’articolo, in particolare, stabilisce che “[l]a registrazione come marchio d’impresa di simboli o emblemi usati in campo politico, o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica, non rileva ai fini della disciplina elettorale, ed in particolare ai fini della disciplina del deposito dei contrassegni e delle liste nonché della propaganda elettorale”.

Può osservarsi che la disposizione recepisce l’orientamento affermatosi sia in dottrina che in giurisprudenza secondo cui le due discipline presentano distinti ambiti di applicazione. 

La normativa elettorale relativa al deposito dei contrassegni è invece contenuta nel d.P.R 30 marzo 1957, n. 361, recante “Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati”.

L’art. 14 del citato d.P.R. stabilisce che “[i] partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali e nei collegi uninominali, debbono depositare presso il Ministero dell'interno il contrassegno col quale dichiarano di volere distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali e nei singoli collegi uninominali. All'atto del deposito del contrassegno deve essere indicata la denominazione del partito o del gruppo politico organizzato nonché, ove iscritto nel registro di cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, deve essere depositato il relativo statuto ovvero, in mancanza, una dichiarazione, con la sottoscrizione del legale rappresentante autenticata dal notaio, che indichi i seguenti elementi minimi di trasparenza: 1) il legale rappresentante del partito o del gruppo politico organizzato, il soggetto che ha la titolarità del contrassegno depositato e la sede legale nel territorio dello Stato;

2) gli organi del partito o del gruppo politico organizzato, la loro composizione nonché le relative attribuzioni.

I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno che riproduca tale simbolo.

Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti.  

Ai fini di cui al terzo comma costituiscono elementi di confondibilità, congiuntamente od isolatamente considerati, oltre alla rappresentanza grafica e cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica. 

Non è ammessa, altresì, la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precludere surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso. 

Non è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore. 

Non è neppure ammessa la presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi.

L’art. 15, comma 1, prevede che “[i]l deposito del contrassegno di cui all'articolo 14 deve essere effettuato non prima delle ore 8 del 44° e non oltre le ore 16 del 42° giorno antecedente quello della votazione, da persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario del partito o del gruppo politico organizzato.

L’art. 16, commi 2, 3 e 4, che “[q]ualora i partiti o gruppi politici presentino un contrassegno che non sia conforme alle norme di cui all'art. 14, il Ministero dell'interno invita il depositante a sostituirlo nel termine di 48 ore dalla notifica dell'avviso. Sono sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero a sostituire il proprio contrassegno o dai depositanti di altro contrassegno avverso l'accettazione di contrassegno che ritengano facilmente confondibile: a quest'ultimo effetto, tutti i contrassegni depositati possono essere in qualsiasi momento presi in visione da chi abbia presentato un contrassegno a norma degli articoli precedenti. Sono altresì sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero ad integrare la dichiarazione che individua gli elementi minimi di trasparenza di cui all'articolo 14, primo comma.

Le opposizioni devono essere presentate al Ministero dell'interno entro 48 ore dalla sua decisione e, nello stesso termine, devono essere notificate ai depositanti delle liste che vi abbiano interesse. Il Ministero trasmette agli atti all'Ufficio centrale nazionale, che decide entro le successive 48 ore, dopo aver sentito i depositanti delle liste che vi abbiano interesse.

Alla luce di tali disposizioni va esaminata la questione sottoposta all’attenzione del Tribunale.

I segni distintivi costituiscono l’insieme di elementi grafici essenziali in cui si riassume la configurazione identitaria del partito, nonché la sua capacità di rendersi riconoscibile agli elettori.  La giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione al profilo della tutela dei segni distintivi ha chiarito che “occorre aver riguardo al contrassegno nella sua globale raffigurazione grafica, nella sua interezza, e non ai singoli elementi che ben possono essere comuni a più partiti politici”. (Parere del Consiglio di Stato n. 281 del 19 febbraio 1992, in tema di confondibilità dei contrassegni elettorali). 

La Corte di cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche e quindi soggetto di diritto distinto dagli associati, il partito, equiparabile all'associazione non riconosciuta, beneficia della tutela derivante dall’art. 7 c.c. con riguardo al diritto al nome. La tutela dell'identità delle formazioni politiche espressa nelle denominazioni e nei relativi segni distintivi, trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2, 21 e 49 Cost. e si traduce nella facoltà di richiedere la cessazione di eventuali condotte di usurpazione e indebita assunzione di tali segni, al fine di evitare, proprio in relazione al dibattito politico, che si crei confusione sugli elementi che individuano i partiti quali centri autonomi di espressione di idee e di azioni (Cass. n. 11635 del 2020; n. 23401/2015).

Non a caso, si può osservare, per rafforzare ulteriormente la tutela del simbolo del partito politico, nel tempo si è affermata la pratica di richiederne la registrazione come marchio all’Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM), costituito presso il Ministero delle imprese e del Made in Italy, ai sensi della disciplina dettata dal Codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 2005; cfr., in particolare, artt. 8 e 10).

Peraltro, la titolarità civile di un emblema non si sovrappone alla sua titolarità elettorale, e non offre tutela nell’ambito dell’uso politico dei simboli. Con la sentenza n. 19113 del 2009, il Tribunale di Roma, sez. III civ., ha ritenuto, infatti, che la registrazione del simbolo di partito come marchio – tentata dalla “nuova” Democrazia cristiana, ma respinta dall’Ufficio italiano brevetti e marchi – non potesse avere effetti nel caso in discussione, sia perché il simbolo non è un marchio di impresa, sia perché la (richiesta di) registrazione non comporta il diritto all’uso di denominazione ed emblema, che nel caso di specie mancava. 

Orbene, l’intero impianto normativo e gli indirizzi giurisprudenziali citati rivelano la volontà di scongiurare il rischio di confusione sugli elementi caratterizzanti le diverse formazioni politiche, quali soggetti cui possono imputarsi concezioni, valori, idee e azioni. 

Dunque, la distinguibilità del nome e del segno distintivo nel caso di soggetti collettivi che non svolgono attività di mercato, è funzionale alla salvaguardia della identità collettiva del gruppo, e con riferimento specifico alle organizzazioni politiche – rende riconoscibili e nel contempo protegge sul piano identitario il complesso dei valori, delle idealità e degli scopi perseguiti; inoltre –  in ambito collettivo – soccorre ad evitare equivoci e fraintendimenti nella dialettica democratica a tutela dell’elettorato, quale espressione della sovranità popolare, costituzionalmente riconosciuta. In tale prospettiva il Tribunale ritiene che debba essere compiuta ogni valutazione. 

La parte ricorrente, per meglio argomentare la sussistenza del requisito della propria maggior presenza in Parlamento, ha ricordato che la Democrazia Cristiana storica, secondo quanto risulta dall’Archivio storico elettorale del Ministero dell’interno, “ha usato invero lo scudo crociato in tutte le elezioni dal 1948 al 1992, ottenendo sempre deputati in parlamento”, mentre “la UDC, costituita nel 2002, ha usato lo scudo crociato dal 2006 a tuttora, ma ottenendo deputati in parlamento nelle elezioni del 2008 e del 2013 ma non nel 2018 e nel 2022”.

Dalla stessa prospettazione di parte, dunque, emerge, da un lato, che il simbolo è stato utilizzato dalla Democrazia Cristiana storica fino al 1992 e, dall’altro, che, successivamente, con lo stesso simbolo, un’altra formazione politica si è presentata alle elezioni nel corso di un arco temporale di circa trent'anni, ottenendo un consenso che le ha consentito la presenza in Parlamento.

Il fatto che tale situazione si sia protratta così a lungo non può considerarsi irrilevante ai fini di stabilire la consistenza del carattere identitario del simbolo e la relativa spettanza. Il trascorrere del tempo, infatti, è un fattore non neutrale, ma giuridicamente rilevante. Vale, cioè, il principio, più volte affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui il trascorrere del tempo costituisce già di per sé un elemento idoneo a giustificare un diverso trattamento (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2023, n. 240 del 2019, n. 104 del 2018 e n. 18 del 1994).

In sede di valutazione sommaria, il Tribunale ritiene, per un verso, che l'utilizzo protratto del simbolo che ha caratterizzato un partito politico rimasto sostanzialmente inattivo per moltissimi anni abbia determinato in capo all’utilizzatore il formarsi di una identità riconoscibile da parte dell’elettorato che, nel tempo, ha avuto modo di esprimersi con il voto facendo riferimento all’UDC e ai relativi segni distintivi. Per altro verso, specularmente, il Tribunale esclude che tale simbolo, all’esito del menzionato utilizzo protratto da parte di soggetto diverso dalla Democrazia Cristiana storica, abbia mantenuto intatte le proprietà originarie che ne determinavano la riferibilità esclusiva ad una forza politica attiva eminentemente nel secolo scorso. 

Gli stessi ricorrenti hanno evidenziato che solo nel 2010, all’esito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 25999, si è potuto affermare con certezza che il mutamento di denominazione della Democrazia Cristiana in Partito popolare italiano, deciso il 18 gennaio 1994 e accompagnato dal trasferimento dell'uso del segno distintivo, non fosse avvenuto poiché deliberato in contrasto con le previsioni statutarie.

In particolare, i ricorrenti hanno ricordato che “[n]el pomeriggio del 18 gennaio 1994, dopo oltre cinquant'anni di vita della D.C storica, nasceva un nuovo partito: il Partito Popolare Italiano, in analogia con l'omonima formazione fondata 75 anni prima da Luigi Sturzo. Mentre l'On. Martinazzoli, l'allora Segretario Politico Nazionale, si preparava a proclamare la nascita del PPI, la mattina dello stesso 18 gennaio alcuni esponenti provenienti soprattutto dalla destra forlanianadorotea, favorevoli all'entrata nella coalizione di centro-destra con Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, diedero vita al Centro Cristiano Democratico, guidato da Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Dopo la scissione già avvenuta nel settembre 1993 da parte della frangia cattolico-sociale (che contribuirà successivamente a fondare i Democratici di Sinistra), la D.C storica si vide così divisa in tre tronconi: il PPI che mantenne la collocazione centrista, il C.C.D. collocato nel centrodestra e i C.S. collocati a sinistra”. 

Questo processo storico non è neutro rispetto alla conservazione del carattere identitario del simbolo e della denominazione.  Durante i numerosi anni trascorsi fino alla citata pronuncia delle sezioni unite, anche l’elettorato è stato esposto al diffuso convincimento di un avvenuto mutamento di denominazione e, dunque, ne ha preso atto, maturando una nuova e diversa consapevolezza circa l’identità delle formazioni politiche in campo e circa la riconducibilità dei segni distintivi a questo o a quel partito.  

L’art. 14, comma 6, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, là dove, come s’è detto, stabilisce che “[n]on è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore”, tutela un interesse che oggi non può più riconoscersi come radicato in modo prevalente in capo alla Democrazia Cristiana storica.

L’uso tradizionale non è più un connotato esclusivo di tale partito, ma deve riconoscersi in capo ad altri che ne hanno fatto uso per anni. 

Né può affermarsi che il riferimento alla presenza in Parlamento - dato l’espresso riferimento alla finalità di “non trarre in errore l’elettore” - possa essere valutato attraverso un’operazione aritmetica consistente nella mera comparazione della diversa durata, senza tenere conto del momento storico in cui tale presenza si è manifestata, di quanto accaduto nel tempo e delle conseguenze che l’articolarsi delle vicende ha determinato. Spese al definitivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Spese al definitivo.

Si comunichi. 

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2024   

                                                    Il giudice

                                                       Corrado Bile