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Per il centro è una débâcle che obbliga a rivedere la condotta di un esercito in sé diviso e scollegato, ma soprattutto prigioniero di una visione della politica come ars combinatoria.

Il sospetto può esserci, la scarsa affluenza ai seggi un effetto distorsivo sui risultati l’ha prodotto. Il Paese dei sonnambuli – copyright del Censis – ha scelto di non scegliere, forse per marcare il dissenso o forse per esprimere indifferenza.

Nulla è fisiologico in questo disarmo morale che la nazione ha messo allo scoperto. Al di là delle cause, su cui occorrerà applicare qualche seria riflessione, resta l’evidenza del triste record di sabato e domenica, con la percentuale dei votanti che scivola, seppur di poco, sotto la soglia del 50 per cento. In genere l’Italia superava (abbondantemente) la media europea, stavolta invece fa peggio del 51 per cento registrato nell’insieme dei 27 membri dell’Unione.

Chi ha vinto e chi ha perso ce lo dicono i numeri, inequivocabilmente. Fratelli d’Italia allunga il passo e si consolida sulla destra dello schieramento politico.

A sinistra il Pd consegue un successo che va oltre qualsiasi aspettativa della vigilia, ponendo fine alla competizione con un M5S in caduta libera.

Meloni e Schlein, presidiando i rispettivi campi, ridanno forza al bipolarismo. La differenza è che l’area di governo è abbastanza coesa mentre, sul lato opposto, le opposizioni restano divise.

Ecco dunque una doppia stabilità, intanto per la maggioranza parlamentare, grazie anche alla tenuta di Forza Italia e Lega; e poi per la ristabilita dialettica destra-sinistra che spezza le ambizioni del cosiddetto centro riformista.

Al riguardo, mancando l’obiettivo del quorum, Renzi e Calenda si ritrovano abbracciati nella più cocente delle sconfitte. Si sapeva che il 4 per cento non era facile da scalare per Azione. Si pensava, al contrario, che la formula escogitata assieme alla Bonino – un misto di profezia e opportunismo – consentisse all’ex Premier di scavalcare agevolmente la fatidica soglia dello sbarramento.

È una débâcle generale, senza attenuanti, che obbliga a rivedere la linea di condotta di un esercito in sé diviso e scollegato, ma soprattutto prigioniero di una visione della politica come ars combinatoria (salvo la capacità, che va riconosciuta soprattutto a Calenda, di enucleare coerenti indicazioni programmatiche).

Il bilancio elettorale, in definitiva, lascia sul campo i segni della mortificazione per un mondo che vorrebbe rispecchiarsi in una nuova modalità di collaborazione tra forze di orientamento progressista, ma non per questo radicale, possibilmente con un di più di elaborazione culturale. Sul deficit di idealità devono riflettere in particolare i cattolici democratici. Non si va lontano se l’appello alla rimobilitazione della “Italia di mezzo”, quella che oggi resta muta tra Meloni e Schlein, cade sul terreno arido del pragmatismo, seppur brillante e immaginifico. Bisogna ricominciare tutto daccapo.

Lucio D'Ubaldo

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