Prendo spunto dalla pregiata risposta datami dal sen. Renzo Gubert ove afferma:”Sempre utili le valutazioni dell' avv. Rapisarda. Non condivido il giudizio su CDU e Buttiglione, più impegnati di ogni altro a riprendere in Italia la presenza di un partito democratico cristiano non certo ispirato a retrogrado tradizionalismo, ma al pensiero sociale cristiano nella sua integralità.”, per inoltrarmi in una riflessione più argomentata.

Premetto che il pensiero sociale Cristiano, in politica, deve essere declinato nel rispetto del principio di laicità che lo stesso Sturzo amava ripetere.

Ma è d’uopo prima chiarire qualche aspetto critico su R. Buttiglione, che lei vede come paladino del pensiero sociale cristiano

Ebbene tanti sono gli azzardi che a Buttiglione dovremmo perdonare.

In primo luogo l’idea velleitaria di rilegittimare il Ppi aggregandosi a Berlusconi con cui aveva fatto un patto d’acciaio nel proposito di portare quell’area di nuovi consensi all’interno del nuovo partito, nato per volontà di Martinazzoli dall’inappropriato scioglimento della DC.

Su questa linea si impegnò a garantire per FI, che aspirava ad entrare nel Ppe, cercando di convincere il Cancelliere H. Koll e il presidente dell’allora Ppe Martens della qualità democratica del partito di Berlusconi, che invece Koll definiva un gefolgschaft, termine che in tedesco corrisponde al Capitano di Ventura (e per la verità non sbagliava!).

Oggi assistiamo al paradosso di un partito FI, dentro il Ppe, per grazia ricevuta della DC, che si è rifiutato di accoglierci come alleati nella competizione per il rinnovo del Parlamento europeo.

Quella scelta del ‘94 di allearsi con Berlusconi fu esiziale perché portò alla scissione del Ppi, da quel momento rappresentato da Gerardo Bianco, che si indirizzo verso alleanze, nel quadro di un idea popolare, con l’area democratica che era nata dal vecchio Pci, mentre Buttiglione si prese il simbolo e denominò la sua nuova formazione Cdu, fino poi a successive evoluzioni, prima con il Ccd e poi con l’Udc, sempre all’interno di coalizioni del centrodestra capeggiato da Berlusconi, protagonista quegli anni di un liberismo sfacciato, di legislazioni ad personam, e di bizzarrie nei concerti internazionali.

Vien da chiedersi quale è stato in quegli anni il valore aggiunto della pattuglia democristiana, dove tra l’altro Buttiglione ne fu Ministro tra il 2005 e il 2006, tanto ligia al pensiero sociale Cristiano?

Si aggiunga inoltre che Egli creò le condizioni, anche a seguito dei cosiddetti accordi di Cannes, per una lacerante diaspora che ancora paghiamo.

Non solo, queste “mosse strategiche” finirono per acuire il solco delle due culture che nella DC si erano da sempre fronteggiate, tra posizioni più assimilabili all’idea Scelbiana e Geddiana di un ordine sociale più aduso al manganello ed alla chiusura su certe istanze sociali, piuttosto che privilegiare le mediazioni sui conflitti, e l’ala più dialogante di alcune correnti interpretate, già, ab origine, dal gruppo dei sindacalisti, rappresentati da Giulio Pastore, ma anche da esponenti come Dossetti, Fanfani, ecc., poi Forze nuove con Donat Cattin, cui dobbiamo lo Statuto dei lavoratori, e i basisti, la corrente che Giovanni Marcora, dentro una DC in crisi di linea politica, dopo il trauma politico della legge truffa e il tentativo di introdurre nella legge elettorale proporzionale un premio di maggioranza, per ovviare al rischio della partitocrazia, fondo’ nei primi anni ‘50, di cui ne è stato poi esponente più illustre, C. De Mita) più sensibili all’ampliamento degli spazi di equità sociale e dei diritti civili, di nuova generazione, oltre a nuovi modelli infrastrutturali che i territori reclamavano, pur con la duttilità che richiedevano quelle declinazioni entro i limiti di una nuova lettura( data dal Concilio Vaticano Secondo) della dottrina sociale cristiana.

Non so se basti questo per cogliere tutte le criticità che si ascrivono alla scelte politiche di Buttiglione, che oggi ancora scontiamo, a cominciare dal problema del simbolo, in uso ad un partito,l’Udc che la stessa magistratura ha sancito non averne titolo, ma solo uso “temporaneo” finché è presente nelle competizioni elettorali.

Per non parlare poi degli effetti nefasti che quegli accordi hanno avuto sulla dispersione delle ingenti dotazioni patrimoniali che il partito possedeva fino a quel momento.

Riprendendo le questioni che pone l’applicazione in politica della dottrina sociale cristiana, basti por mente al fatto che la stessa complessità dei problemi da affrontare riguardo ad una società in grande sviluppo, aveva indotto la saggia classe dirigente di quegli anni, a cominciare da Aldo Moro, a non rinchiudersi in un recinto ideologico-dottrinale, scegliendo forme di apertura verso i socialisti, con la prima esperienza governativa, Presidente del Consiglio, proprio, Aldo Moro: era il 4 dic. 1963.

Dopo il suo tragico assassinio, negli anni ‘80 la DC si aprì al confronto, ancora più impegnativo, con la rampante strategia craxiana, fondata su l’ampliamento di diritti civili e un dichiarato contenimento delle politiche sindacali, sollecitati da una classe imprenditoriale, capeggiata dalla onnipotente Fiat di Gianni Agnelli che cominciava a pretendere aiuti di stato con la scusa di salvaguardare l’occupazione, secondo un modello del tutto sbilanciato di liberismo industriale, ossia salvaguardia totale dei profitti e manleva delle perdite a carico dell’Erario.

Clamoroso fu inoltre il decreto sulla scala mobile, a tutto vantaggio di un maggiore laissez faire delle imprese.

Fu l’avvio di un liberismo disinvolto e spregiudicato (in mezzo a tanti provvedimenti si distinse il decreto con cui Craxi salvo’ l'oscuramento delle reti televisive di Berlusconi)  così aprendo la strada(alla cosiddetta Milano da bere)fino a trovare nell’epopea berlusconiana il suo apice.

Ma, a dargli man forte ci pensò alla fine del secolo scorso, il governo D’Alema che spregiudicatamente dismise, come fossero cascami di fine epoca, con valutazioni a tutto vantaggio delle cordate Colaninno e company, che facevano capo all’allora Pds (fu allora che la Ditta si dimenticò di operai e lavoratori e si spostò su posizioni di collateralismo imprenditoriale, fino a diventare il partito delle Ztl )i migliori asset strategici del nostro sistema imprenditoriale pubblico, mentre il debito pubblico cresceva a dismisura.

La DC che veniva già da cocenti sconfitte sui diritti, dal referendum sul divorzio alla riscrittura del diritto di famiglia, non si tirò indietro, ma commise l’errore madornale di farsi craxizzare da quel certo stile spregiudicato dell’establishment socialista.

Così fu travolta dagli esiti dell’ improvvida sfida che Bettino Craxi, coraggiosamente, ma imprudentemente, lanciò in parlamento circa un riconoscimento comune del finanziamento collaterale che alimentava le casse dei partiti.

Le pieghe di quella scelta leale, ma in quel clima, sfrontata, finirono per dare al PCI - che contava su intermediazioni finanziarie dalla fidelizzazione inscalfibile, oltre ad un idea compiacente di una certa magistratura politicizzata - il contesto più favorevole alla sua sopravvivenza, come alternativa ad una classe politica “corrotta”.

In questo scenario non possiamo ignorare il grande ruolo mediatico, talvolta ambiguo, fino a posizioni forcaiole, assunte da certa stampa tesa ad accreditare questa tesi.

Spero che questa breve rilettura su cruciali passaggi della storia della DC e delle politiche di quegli anni contribuisca a rendere meno attendibili certe visioni del pensiero sociale cristiano, che, a mio avviso, non è una summa di dogmi da applicare ma un patrimonio valoriale che mette al centro la visione umanistica della persona

Del resto non avremmo motivo di dubitarne, se è il Papa il primo ad invitare i politici a calarsi nelle realtà concrete nel tentativo di dare risposte e soluzioni, mai dogmatiche, ma sempre umanizzate.

 

Luigi Rapisarda