di Ettore Bonalberti

 

Con la sentenza pronunciata dal tribunale di Roma N.R.G. di cui si allega copia, emessa il 24 febbraio 2025 dal giudice Dr. Corrado Bile, si pone fine alla lunga stagione della diaspora giudiziario politica durata per oltre vent’anni tra i presunti eredi DC, ciascuno, a diverso titolo e legittimità, consideratosi tale. Sentenza pronunciata su azione intrapresa dal Prof. Luciani e dal Rag. Carlo Leonetti, contro diversi amici ex DC, con la quale si chiude la dolorosa querelle giuridica, di fatto lasciando alla politica e agli elettori il compito di decidere se e come procedere.

Finisce la rendita di posizione dell’UDC, quanto al simbolo e della DC di Rotondi, quanto al nome, per cui finalmente si dovrà ripensare al ruolo che i cattolici democratici, liberali e cristiano sociali intendono svolgere in questa fase delicata della politica a livello nazionale, europeo e internazionale.

L’on. Rotondi ha commentato favorevolmente l’esito della controversia, facendo appello a tutte le diverse parti a superare definitivamente ogni contenzioso giuridico, per aprirsi alla possibilità di una collaborazione fattiva sul piano politico.

Essendo uno dei pochi sopravvissuti al tentativo avviato nel 2012, con i compianti on. Fiori, Faraguti, Lega, Grippo, Darida, di ricostruire politicamente la DC “partito mai giuridicamente sciolto”, accolgo anch’io con estrema soddisfazione questa sentenza che permette di riaprire un nuovo capitolo dell’impegno politico dei DC e Popolari italiani.

La lunga stagione della diaspora (1993-2020), da me descritta con dovizia di riferimenti a fatti, avvenimenti e documenti nel libro: DEMODISSEA-Edizione ALEF- Il Libro, deve essere messa definitivamente alle spalle.

Ora nessuno potrà più servirsi di rendite di posizione su nome e simbolo, mentre compete a quanti credono nei valori della DC e del popolarismo,  agli elettori esclusivi depositari del potere, concorrere a creare le condizioni per dar vita a una fase costituente dell’impegno politico dei cattolici, da attivarsi con una Camaldoli 2.0, sede di un  dialogo e un confronto approfondito tra gli esponenti più autorevoli della vasta e articolata realtà sociale e politico culturale dei cattolici e dei laici italiani, ispirati dai valori della dottrina sociale cristiana.

Camaldoli 2.0 andrebbe fatta precedere da incontri preparatori nelle diverse realtà provinciali e regionali, dove gi amici interessati/bili dell’area cattolica e laica potrebbero affrontare i problemi emergenti a livello locale e globale, da cui ricavare sintesi politiche da presentare all’incontro della Camaldoli 2.0, premessa indispensabile per un assemblea costituente che, con metodo democratico, potrà finalmente decidere liberamente sul nuovo partito di ispirazione democratica e popolare ispirato ai valori della dottrina sociale cristiana e del popolarismo, in continuità ideale con quelli dei nostri Padri Fondatori.

 

All. il testo della sentenza del tribunale di Roma N.R.G.11704/2024

   

N. R.G. 11704/2024

  

 

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE CIVILE

 

 

Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Corrado Bile, ha emesso la seguente

SENTENZA

 nella causa civile di primo grado introdotta da:

- Rag. Carlo Leonetti, nato il 13 dicembre 1950, in qualità di Segretario amministrativo e legale rappresentante del partito della DEMOCRAZIA CRISTIANA

e

- Prof. Nino Luciani, nato a Comacchio il 30.04.1937, in qualità di Segretario Politico Nazionale del partito della DEMOCRAZIA CRISTIANA,

rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Santucci,

- attori –

  

nei confronti di:

  • il Partito Politico denominato U.D.C., con sede a 00186 Roma, in via S. Lorenzo in Lucina,10, indirizzo, nelle persone dell'On. Lorenzo Cesa, Segretario Nazionale della UDC e di Brachetti Regino, rappresentante legale, con il patrocinio dell’avv. Giovanni Galoppi;
  • Maurizio Lupi, nato a Milano il 03.10.1959, Leader di NOI MODERATI, presso Camera dei Deputati, Piazza Montecitorio n. 1 00186 Roma (RM), con il patrocinio dell’avv. Salvatore Cerra; 
  • l’on. Gianfranco Rotondi, nato ad Avellino il 25.07.1960 ed ivi residente, in Via Sant’Alberico Crescitelli n. 15, con il patrocinio degli avv.ti Tommaso Marvasi e Maurizio dell’Unto; 
  • l’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”, con sede legale in Avellino, in Via Sant’Alberico Crescitelli n. 15, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, contumace;  
  • il Sig. Salvatore Cuffaro, nato a Raffadali (AG) il 1.02.1958, ivi residente in Contrada Babalucia con il patrocinio degli avv.ti Elisa Righi e Giulio Gonnella
  • l’Avv. Antonio Cirillo, nato a Torre del Greco il 07.1960 ed ivi residente in Via Giovanni XXIII n. 47 con il patrocinio degli avv.ti Orazio Abbamonte e Guido Ciccarelli;
  • il Sig. Angelo Sandri, nato a Palmanova il 31.01.1954, residente a Cervignano del Friuli – fraz. Capoluogo, Via Giusto Gervasutti n. 19, contumace;
  • il Sig. Raffaele Cerenza, quale presidente Ass. Iscritti alla Democrazia Cristiana 1993 nato a San Giorgio a Cremano (NA) il 1.02.1961, contumace;
  • il Sig. Franco De Simoni, nato a Roma il 16.12.1941, ivi residente in Via Emanuele Filiberto n 257, con il patrocinio degli avv.ti Lars Markus Hansen e Paolo Amerigo Marulli di San Cesario Carniglia;
  • il Sig.  Mario De Benedittis, nato Mesagne (BR) il 1.08.1944 il rappresentante legale residente in Roma Via Serrata 5-00118, contumace;
  • il Sig. Emilio Cugliari Lauremi, nato il 15.9.1943 a Maierato e residente a Milano, Via Sassari n. 10, Cap. 20128, con il patrocinio degli avv.ti Maria Maddalena D’avanzo e Katia D’Avanzo;
  • il Sig. Avv. Lupo Rosario Salvatore Migliaccio di San Felice, nato a Napoli il 17.04.1965, residente in Roma, Via di Rocca Cencia, 315, contumace.

 

-           convenuti -

  • Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito, con il patrocinio degli avv.ti Orazio Abbamonte e Guido Ciccarelli.

-           terzo intervenuto -

 FATTO

 Con atto di citazione presentato unitamente al ricorso ex art. 700 c.p.c., il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani hanno domandato al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni: “NEL MERITO accertare e dichiarare che l’Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Segretario Amministrativo e legale rappresentante Rag. Leonetti e del Segretario Politico Nazionale Prof. Luciani, si pone in continuità giuridica soggettiva con il Partito della Democrazia Cristiana fondato nell’anno 1943 e che, in quanto tale, ha il diritto di proprietà e il diritto esclusivo all’uso della denominazione “Democrazia Cristiana” e del simbolo che rappresenta il medesimo partito costituito graficamente da uno scudo crociato rosso su sfondo Bianco con la scritta LIBERTAS, quale parte del proprio patrimonio morale, identitario ed immateriale ex art. 7 c.c.; per l’effetto, ordinare alle parti convenute in giudizio la cessazione dell’utilizzo della denominazione “Democrazia Cristiana” e del simbolo che la rappresenta (scudo crociato) e di ogni altra denominazione similare e/o confondibile, con qualsiasi strumento attuato compreso i media ed i social media, cessando gli atti di usurpazione e molestia in danno dell’attrice e stabilendo una penale per ogni atto futuro di usurpazione della denominazione e per ogni giorno in cui la violazione si protrarrà; condannare, inoltre, i convenuti, in solido tra loro o nella quota che verrà a ciascuno ascritta in considerazione della capacità lesive delle rispettive iniziative, a risarcire il danno, patrimoniale e non patrimoniale, cagionato alla Democrazia Cristiana nella somma che sarà accertata di giustizia in corso di causa, anche in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., ordinare, la pubblicazione della sentenza, a spese delle parti convenute, sui quotidiani cartacei “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Libero” e “Il Giornale” per almeno 3 giorni consecutivi; con vittoria di spese ed onorari oltre accessori di legge.”

Gli attori hanno affermato che “il partito politico della Democrazia Cristiana rappresentato legalmente, dal sig. Leonetti segretario amministrativo e politicamente dal Prof. Nino Luciani, Segretario Politico Nazionale intende promuovere il presente giudizio al fine di accertare definitivamente l'identità e la continuità politico-storica con la Democrazia Cristiana che d'ora in poi chiameremo “storica” con la conseguente azione di rivendicazione e tutela ai sensi degli art. 6 e 7 cc nei confronti di tutti coloro che, a decorrere dall'anno 1994 e sino ad oggi hanno utilizzato illegittimamente la denominazione ed il simbolo del partito fondato da Alcide De Gasperi nel 19 marzo 1943”.

Premesse le vicende che dal 1994 in poi hanno segnato il partito Democrazia Cristiana, hanno sostenuto la continuità storica e politica tra tale partito e l’attuale Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, odierna esponente.

In particolare, quanto al requisito del fumus boni iuris, hanno sostenuto che la costituzione di altre formazioni politiche avvenuta nel tempo sarebbe derivata dal recesso di alcuni soci dalla Democrazia Cristiana, circostanza che non avrebbe dato luogo ad una scomparsa dell’ente dante causa.

Per altro verso, hanno rimarcato la nullità di tutti gli accordi intervenuti successivamente al 1994 con cui i partiti di nuova formazione hanno disposto della denominazione e del simbolo della Democrazia Cristiana in quanto conclusi in violazione di legge e dello statuto del partito, soggetto che mai si sarebbe estinto.

Da ciò deriverebbe che l’utilizzo del nome e del simbolo da parte di altre e diverse formazioni politiche costituirebbe una violazione della regola sancita dall’art. 14, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957 ai sensi del quale “[n]on è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti.

Sulla base di tale considerazione i ricorrenti hanno concluso che: “1) Risulta incontestato e pacifico che la DC storica non si sia estinta il 18.01.1994 pertanto la costituzione del PPI e di tutti i partiti politici derivati dal suo frazionamento, in ultimo l'UDC, non possono e non devono essere considerati successori a titolo universale e/o particolare della DC storica, ed anzi nella sentenza della Corte di Appello, n. 13051/2009, alla pag. 31 si statuiva che: "non può neppure affermarsi che l'adozione del simbolo dello scudo crociato da parte dell'appellante U.D.C. sia legittimamente ad esso derivato";

2) Devono considerarsi nulli i cd. Accordi di Cannes ed ogni altro accordo avente ad oggetto la denominazione e/o il simbolo (scudo crociato con la scritta LIBERTAS) della DC Storica intervenuto dopo il 18.01.1994 tra i partiti politici derivanti dalle varie scissioni del PPI.

3) La formazione politica esponente risulta l'unica associazione in continuazione politica giuridica con la DC storica, sussistendo un’identità tra i propri iscritti e quelli costituenti l'originario partito nell'anno 1993.

Si sono costituiti:

  • il Partito Politico denominato U.D.C., eccependo il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, l’avvenuta formazione del giudicato nonché l’infondatezza delle pretese degli attori alla luce della sentenza 1305, emessa dalla Corte di Appello di Roma in data 23.3.2009 secondo cui tutti gli attuali soggetti che pretendono di accreditarsi nell’opinione pubblica come Partito della Democrazia Cristiana, non hanno, in verità, alcuna continuità storico giuridica con tale soggetto; sono pertanto tutti soggetti diversi rispetto allo “storico” Partito. Il Partito Politico U.D.C., ha quindi sostenuto che “Ad oggi, quindi, nonostante gli innumerevoli tentativi, nessuno può pretendere di agire in nome e per conto della storica Democrazia Cristiana.” Ha aggiunto di essersi presentato “in tutte le competizioni elettorali, da quelle amministrative di aprile 2002 sino ad oggi in modo continuativo ed ininterrotto su tutto il territorio nazionale, cosicché lo scudo crociato ha finito per essere, inequivocabilmente, ricondotto dalla coscienza collettiva a tale Partito, insediato da tempo, con una propria rilevante rappresentanza, in Parlamento nazionale ed europeo.” Pertanto, alla luce delle suesposte osservazioni ha domandato l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito: - rigettare integralmente le domande anche di merito ex adverso formulate, poiché infondate in fatto e in diritto per tutti i motivi illustrati, ordinando per l’effetto, la pubblicazione della sentenza, a spese della parte attrice-ricorrente, sui quotidiani cartacei “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Libero” e “Il Giornale” per almeno 3 giorni consecutivi; - con vittoria di compensi e spese, oltre 15% rimborso spese generali, IVA, CPA, come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore che si dichiara antistatario”.
  • L’Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Segretario Nazionale e legale rappresentante Salvatore Cuffaro, eccependo in via preliminare il vincolo di litispendenza o, in subordine, di continenza che sussisterebbe tra il presente giudizio e quello preventivamente promosso dalla Associazione dal medesimo rappresentata innanzi al Tribunale di Avellino (R.G. n. 39/2024), con conseguente necessità di assumere i provvedimenti previsti dall’art. 39 c.p.c.

Ciò posto, ha domandato in via preliminare di rito, in ragione della complessità delle questioni sollevate anche in via preliminare di rito e della molteplicità dei soggetti chiamati in causa, revocare il provvedimento con cui è stato disposto che l’udienza di discussione si tenga mediante scambio di note di trattazione scritta e fissare udienza di discussione in presenza o con mezzi di collegamento da remoto; sempre in via preliminare di rito: i. dichiarare che sussiste vincolo di litispendenza con il giudizio R.G. n. 39/2024 preventivamente radicato innanzi al Tribunale di Avellino con riferimento alla domanda di accertamento del soggetto legittimato ad agire come Democrazia Cristiana e alla domanda di condanna a cessare gli atti di usurpazione del nome del Partito, limitatamente alle parti del presente giudizio che sono parti anche dell’altro giudizio; ii. previa separazione di queste domande, attinte da vincolo di litispendenza, da quelle che rimangono ad esso estranee, disporre con riferimento alle prime la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 39, comma 1, c.p.c. e con riferimento alle seconde assegnare termine per la riassunzione innanzi al Tribunale di Avellino ai sensi dell’art. 40 c.p.c.; iii. se non dovesse esserne disposta la riassunzione ex art. 40 c.p.c., sempre previo provvedimento di separazione, almeno in relazione al rapporto processuale tra parte attrice e lo scrivente Partito, disporre la sospensione necessaria della domanda di condanna alla cessazione dell’uso del simbolo, in attesa della decisione del Tribunale di Avellino sulla titolarità del diritto; in subordine, per il caso in cui non si ritenesse configurabile una relazione di litispendenza, dichiarare che sussiste un vincolo di continenza con il giudizio R.G. n. 39/2024 preventivamente radicato innanzi al Tribunale di Avellino e fissare un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti al primo Giudice, con traslazione innanzi ad esso dell’intero giudizio, anche ai sensi dell’art. 40 c.p.c.; in via di estremo subordine ed in ogni caso, previa adozione di provvedimento di separazione, almeno in relazione al rapporto processuale tra parte attrice e lo scrivente Partito, disporre la sospensione necessaria della domanda di condanna alla cessazione dell’uso del simbolo, in attesa della decisione del Tribunale di Avellino sulla titolarità del diritto; nel merito, per la denegata ipotesi di ritenuta infondatezza della eccezione preliminare di rito, rigettare l’azione cautelare ex adverso promossa per insussistenza dei relativi presupposti fondanti.

  • L’On. Maurizio LUPI, eccependo la carenza di legittimazione passiva e sul rilievo che “[l]a presunta responsabilità di parte convenuta, viene ascritta dagli attori sulla base dell’alleanza formatasi in occasione delle politiche 2022 ove, nell’ampio spettro della lista Noi Moderati, per condivisione di programma, si inserivano 4 singoli partiti di cui, uno, presentava il simbolo ad oggi rivendicato” e che “tanto a seguito della formazione di una lista elettorale, quanto in presenza di una coalizione, i singoli partiti, non abbandonano la loro identità”. Alla luce di tali considerazioni ha domandato al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni: “IN VIA PREGIUDIZIALE accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva del convenuto per i motivi esposti nel presente atto e per l’effetto estromettere lo stesso dal presente giudizio; 2) IN VIA PRINCIPALE e nel merito, rigettare dunque ogni domanda formulata nei confronti di parte convenuta per le ragioni di cui sopra; 3) condannare gli attori ai sensi dell’art. 96 p.c. al risarcimento dei danni da lite temeraria da liquidarsi d’ufficio in via equitativa. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio di cui si chiede distrazione ex art. 93 c.p.c.”.  
  • L’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi), eccependo in primo luogo il difetto del contraddittorio sul rilievo che “l’atto di citazione ed il decreto di fissazione della trattazione del procedimento cautelare non sono stati notificati all’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”, soggetto giuridico che compare nella vocatio in ius. In secondo luogo, il difetto di legale rappresentanza dei ricorrenti, sul rilievo che essi “non sono, però, i Legali Rappresentanti dell’associazione partitica che agisce in giudizio, in quanto la legale rappresentanza spetta al Presidente Nazionale ai sensi dell’art. 81 bis dello Statuto (cfr. 9, parte attrice). Infatti, la stessa ricorrente riferisce di aver modificato il proprio Statuto (che nemmeno deposita integralmente) in occasione del XIX Congresso tenutosi il 24 ottobre 2020 (cfr. atto di citazione, pagg. 6 e 7) e, nel verbale di tale congresso, si legge che nello Statuto è stato inserito l’art. 81 bis il quale prevede che la rappresentanza legale del partito spetta al Presidente Nazionale”. Ha poi domandato chiamarsi in causa ai sensi dell’art. 106 c.p.c. del partito denominato PPP ex DC, in quanto avrebbe concesso all’On. Rotondi l’utilizzo della denominazione oggetto dell’odierna controversia. Nel merito, ha chiesto: “1. che venga inibito all’Associazione non riconosciuta denominata “Democrazia Cristiana”, in persona del Sig. Leonetti Carlo, in qualità di Segretario amministrativo e Legale rappresentante, e del Prof. Nino Luciani, in qualità di Segretario Politico Nazionale, l’utilizzo della denominazione Democrazia Cristiana, in ogni occasione od evento privato e pubblico, nelle competizioni elettorali, nelle comunicazioni con i mass media, nelle trasmissioni radiofoniche o televisive, in internet e nei social o, comunque, utilizzando qualsiasi mezzo di diffusione o di propaganda politica; 2. che l’attrice, convenuta in via riconvenzionale, venga condannata al risarcimento del danno patrimoniale, non patrimoniale e di immagine che l’On. Rotondi sta subendo dalla usurpazione del nome, nella misura che verrà provata in corso di causa o da liquidarsi anche in via equitativa ex art. 1226 c.c.; 3. che l’attrice, convenuta in via riconvenzionale, venga condannata alla pubblicazione della sentenza, a propria cura e spese, sui quotidiani cartacei “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Libero” e “Il Giornale” per almeno 3 giorni consecutivi o per il periodo ritenuto di giustizia.
  • Il dott. Franco De Simoni, eccependo la carenza di legittimazione attiva sul rilievo che “[il] Sig. Luciani uno dei due odierni attori non è legittimato ad agire in giudizio in quanto è stato espulso dalla DC e non può quindi rappresentare la DC. Identica situazione è quella dell'altro attore Sig. Leonetti, che è stato insediato nella sua fantomatica carica a opera dell'espulso Luciani e quindi non è stato investito legittimamente e formalmente del potere di rappresentare la DC”; nel merito ha chiesto il rigetto della domanda in quanto i sig.ri Leonetti e Luciani vanno considerati decaduti in forza dell’articolo 21 dello Statuto in base al quale gli organi del partito durano in carica due anni e gli stessi non sono stati rinnovati. 
  • Il dott. Emilio Cugliari, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione attiva dei Sig.ri Luciani e Leonetti, in quanto il primo è stato espulso dalla DC, mentre il secondo risulta privo di legittimazione formale del potere di rappresentanza legale. Lo stesso, nel merito, ha domandato il rigetto della domanda in quanto: “Cugliari venne nominato Presidente f.f. della DC all’Assemblea del 1-2 luglio 2020. Da allora è rimasto in carica e rappresenta regolarmente la DC in attesa di un regolare Congresso che nessuno è riuscito a svolgere. Da allora ad oggi nessuno ha legittimamente sostituito il Presidente Cugliari, il quale (al di là di critiche e nulle “espulsioni”) dura in carica a norma di Statuto fino a quando non viene sostituito dal Congresso, non potendosi neppure immaginare il Partito privo del legale rappresentante”.
  • L’Avv. Antonio Cirillo, eccependo in via preliminare il suo difetto di legittimazione passiva poiché l’art. 127 dello Statuto della Democrazia Cristiana prevede che la rappresentanza legale dell’associazione è del segretario amministrativo; di conseguenza, ha chiesto di essere estromesso dal presente giudizio. Nel merito ha sostenuto l’infondatezza della domanda principale in quanto l’asserita continuità giuridica con la Democrazia Cristina è basata su una ricostruzione storica.

Con comparsa depositata il 16.09.2024 è intervenuta ad opponendum l’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito. In particolare, ha rappresentato che nome e simbolo della Democrazia Cristiana sono contesi anche in altro giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino (rg. 39/2024) promosso dal senatore Cuffaro, il quale in questa sede figura come convenuto. Poiché tale giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino coinvolge tutte le parti del presente giudizio, ha domandato al Tribunale di voler cancellare la causa dal ruolo ai sensi dell’art. 39 c.p.c. Nel merito ha contestato la fondatezza della domanda in quanto “il partito di cui è rappresentante il signor Sabatino Esposito ha ri-attivato, gli organi del partito attenendosi in modo puntuale alle prescrizioni dello statuto, è l’unico legittimato ad utilizzare la denominazione Democrazia Cristiana ed il simbolo dello scudo crociato”. Dunque, ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “a) rigettare la domanda attorea; b) dichiarare, nei confronti di tutte le parti processuali, che essa è invece l’unica legittimata ad utilizzare simbolo e denominazione della Democrazia Cristiana; c) vittoria di spese”.

Non si sono costituiti il sig. Angelo Sandri, il sig. Raffaele Cerenza, il dott. Mario De Benedettis e l’Avv. Lupo Rosario Salvatore Migliaccio di San Felice.

Con memorie depositate in data 13.1.2025 gli attori hanno domandato la revoca dell’ordinanza cautelare di rigetto emessa in data 14.5.2024.

Con decisione del 14.1.2025 il giudice ha dichiarato quest’ultima richiesta inammissibile ed ha fissato l’udienza ai sensi dell’art. 189 c.p.c.

 

DIRITTTO

Questioni preliminari

Come si è detto il Sen. Salvatore Cuffaro ha eccepito in via preliminare il vincolo di litispendenza o, in subordine, di continenza che sussisterebbe tra il presente giudizio e quello preventivamente promosso dalla Associazione da lui rappresentata innanzi al Tribunale di Avellino (R.G. n. 39/2024), con conseguente necessità di assumere i provvedimenti previsti dall’art. 39 c.p.c.

Al riguardo, il Tribunale osserva che nella specie non può ravvisarsi una litispendenza, la quale presuppone una completa identità delle persone, oltre che del petitum e della causa petendi. (Peraltro, in termini generali e sul piano meramente fattuale, può osservarsi che, nella controversia in esame, la presenza di più parti finisce per riflettersi sull’oggetto del giudizio implicando una valutazione complessiva sulla oramai annosa questione inerente alla possibilità di utilizzare denominazioni, contrassegni e simboli che si ricollegano al partito della Democrazia Cristiana da parte di soggetti già da tempo presenti sulla scena politica italiana).

Parimenti non può ravvisarsi una continenza che presuppone identità della causa petendi, ma diversità del petitum. Né infine, può dichiararsi la connessione, non essendo stata eccepita e rilevata dal giudice nei termini di cui all’art. 40 c.p.c.

L’eccezione, dunque, non può essere accolta.

Vanno poi rigettate le eccezioni di carenza di legittimazione passiva sollevate dall’On. Maurizio Lupi e dall’Avv. Antonio Cirillo.

Le parti, infatti, non possono considerarsi in astratto estranee al giudizio. L’esame relativo alla fondatezza delle ragioni che, nella prospettiva del ricorrente, sosterrebbero la domanda, attiene al merito della controversia.

Non può poi essere accolta l’eccezione preliminare sollevata dal convenuto l’On. Rotondi secondo cui “si rileva che l’atto di citazione non è stato notificato all’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”, soggetto giuridico che compare nella vocatio in ius, ma solo all’On Rotondi in proprio. Donde, il difetto di contraddittorio”.

Invero, ai sensi dell’art. 145, comma 2, c.p.c., « la notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell'articolo 19, secondo comma, ovvero alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale ».

Ebbene, con l’atto introduttivo l’On. Rotondi è stato convenuto in qualità di rappresentante legale dell’associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi”. Pertanto si ritiene correttamente instaurato il contraddittorio nei confronti dell’Associazione.

L’On. Rotondi ha poi sollevato una eccezione preliminare avente ad oggetto il difetto di rappresentanza legale degli attori. Anche tale eccezione non può trovare accoglimento. Il sig. Leonetti, infatti, ha agito in qualità di segretario amministrativo e legale rappresentante del partito e il Prof. Nino Luciani in qualità di Segretario Politico Nazionale. Ebbene, secondo lo statuto del partito è il Segretario ad avere la rappresentanza politica e, dunque, quella legale, del partito che rappresentano in giudizio.

In merito alla eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata da più di una parte, il Tribunale osserva che la legittimazione ad agire e a contraddire, quale condizione dell'azione, si fonda sulla prospettazione ovvero sull'allegazione fatta in domanda (Cass. Civ. Sez. II 10 maggio 2010 n. 11284; Cass. Civ. Sez. III 09 aprile 2009 n. 8699; Cass. Civ. Sez. III 30 maggio 2008 n. 14468; Cass. Civ. 06 marzo 2008 n. 6132; Cass. Civ. Sez. I 10 gennaio 2008 n. 355; Cass. Civ. Sez. I 28 febbraio 2007 n. 4776; Cass. Civ. Sez. I 29 settembre 2006 n. 21192; Cass. Civ. Sez. III 26 settembre 2006 n. 20819; Cass. Civ. Sez. III 14 giugno 2006 n. 13756).

La differenza tra difetto di legittimazione attiva e titolarità d'azione si basa sulla circostanza che solo la seconda e non la prima attiene al merito. Nel caso di specie, le eccezioni sono infondate in quanto il Luciani è stato nominato segretario del partito di cui può considerarsi diretta espressione (come da verbale del Congresso del 24.10.20). Pertanto, fermo restando quanto nel merito si dirà circa la fondatezza della pretesa azionata, gli attori sono muniti di legittimazione ad esprimere l'interesse rappresentato dall'aggregazione politica di cui sono rappresentanti. L'eccezione, dunque, va rigettata.

Ciò premesso, il Tribunale ritiene che la domanda non possa trovare accoglimento.

Appare opportuno, in premessa, indicare le disposizioni di maggior rilievo che compongono il quadro normativo di riferimento.

In primo luogo, viene in rilievo il d.l. n. 7 del 2024 (Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell'anno 2024 e in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale).

L’art. 2 bis (Registrazione di simboli politici come marchio d’impresa), introdotto al Senato, dispone l’irrilevanza ai fini della disciplina elettorale, della registrazione come marchio d’impresa di simboli utilizzati in campo politico.

L’articolo, in particolare, stabilisce che “[l]a registrazione come marchio d’impresa di simboli o emblemi usati in campo politico, o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica, non rileva ai fini della disciplina elettorale, ed in particolare ai fini della disciplina del deposito dei contrassegni e delle liste nonché della propaganda elettorale”.

Può osservarsi che la disposizione recepisce l’orientamento affermatosi sia in dottrina che in giurisprudenza secondo cui le due discipline presentano distinti ambiti di applicazione.

La normativa elettorale relativa al deposito dei contrassegni è invece contenuta nel d.P.R 30 marzo 1957, n. 361, recante “Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati”.

L’art. 14 del citato d.P.R. stabilisce che “[i] partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali e nei collegi uninominali, debbono depositare presso il Ministero dell'interno il contrassegno col quale dichiarano di volere distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali e nei singoli collegi uninominali. All'atto del deposito del contrassegno deve essere indicata la denominazione del partito o del gruppo politico organizzato nonché, ove iscritto nel registro di cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, deve essere depositato il relativo statuto ovvero, in mancanza, una dichiarazione, con la sottoscrizione del legale rappresentante autenticata dal notaio, che indichi i seguenti elementi minimi di trasparenza:

  • il legale rappresentante del partito o del gruppo politico organizzato, il soggetto che ha la titolarità del contrassegno depositato e la sede legale nel territorio dello Stato;
  • gli organi del partito o del gruppo politico organizzato, la loro composizione nonché le relative

I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno che riproduca tale simbolo.

Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti.

Ai fini di cui al terzo comma costituiscono elementi di confondibilità, congiuntamente od isolatamente considerati, oltre alla rappresentanza grafica e cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica.

Non è ammessa, altresì, la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precludere surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso.

Non è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore.

Non è neppure ammessa la presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi.” L’art. 15, comma 1, prevede che “[i]l deposito del contrassegno di cui all'articolo 14 deve essere effettuato non prima delle ore 8 del 44° e non oltre le ore 16 del 42° giorno antecedente quello della votazione, da persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario del partito o del gruppo politico organizzato.

L’art. 16, commi 2, 3 e 4, che “[q]ualora i partiti o gruppi politici presentino un contrassegno che non sia conforme alle norme di cui all'art. 14, il Ministero dell'interno invita il depositante a sostituirlo nel termine di 48 ore dalla notifica dell'avviso. Sono sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero a sostituire il proprio contrassegno o dai depositanti di altro contrassegno avverso l'accettazione di contrassegno che ritengano facilmente confondibile: a quest'ultimo effetto, tutti i contrassegni depositati possono essere in qualsiasi momento presi in visione da chi abbia presentato un contrassegno a norma degli articoli precedenti. Sono altresì sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero ad integrare la dichiarazione che individua gli elementi minimi di trasparenza di cui all'articolo 14, primo comma.

Le opposizioni devono essere presentate al Ministero dell'interno entro 48 ore dalla sua decisione e, nello stesso termine, devono essere notificate ai depositanti delle liste che vi abbiano interesse. Il Ministero trasmette agli atti all'Ufficio centrale nazionale, che decide entro le successive 48 ore, dopo aver sentito i depositanti delle liste che vi abbiano interesse.

Alla luce di tali disposizioni va esaminata la questione sottoposta all’attenzione del Tribunale.

I segni distintivi costituiscono l’insieme di elementi grafici essenziali in cui si riassume la configurazione identitaria del partito, nonché la sua capacità di rendersi riconoscibile agli elettori. La giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione al profilo della tutela dei segni distintivi ha chiarito che “occorre aver riguardo al contrassegno nella sua globale raffigurazione grafica, nella sua interezza, e non ai singoli elementi che ben possono essere comuni a più partiti politici”. (Parere del Consiglio di Stato n. 281 del 19 febbraio 1992, in tema di confondibilità dei contrassegni elettorali).

La Corte di cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche e quindi soggetto di diritto distinto dagli associati, il partito, equiparabile all'associazione non riconosciuta, beneficia della tutela derivante dall’art. 7 c.c. con riguardo al diritto al nome. La tutela dell’identità delle formazioni politiche espressa nelle denominazioni e nei relativi segni distintivi trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2, 21 e 49 Cost. e si traduce nella facoltà di richiedere la cessazione di eventuali condotte di usurpazione e indebita assunzione di tali segni, al fine di evitare, proprio in relazione al dibattito politico, che si crei confusione sugli elementi che individuano i partiti quali centri autonomi di espressione di idee e di azioni (Cass. n. 11635 del 2020; n. 23401/2015).

Non a caso, si può osservare, per rafforzare ulteriormente la tutela del simbolo del partito politico, nel tempo si è affermata la pratica di richiederne la registrazione come marchio all’Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM), costituito presso il Ministero delle imprese e del Made in Italy, ai sensi della disciplina dettata dal Codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 2005; cfr., in particolare, artt. 8 e 10).

Peraltro, la titolarità civile di un emblema non si sovrappone alla sua titolarità elettorale, e non offre tutela nell’ambito dell’uso politico dei simboli. Con la sentenza n. 19113 del 2009, il Tribunale di Roma, sez. III civ., ha ritenuto, infatti, che la registrazione del simbolo di partito come marchio – tentata dalla “nuova” Democrazia cristiana, ma respinta dall’Ufficio italiano brevetti e marchi – non potesse avere effetti nel caso in discussione, sia perché il simbolo non è un marchio di impresa, sia perché la (richiesta di) registrazione non comporta il diritto all’uso di denominazione ed emblema, che nel caso di specie mancava.

Orbene, l’intero impianto normativo e gli indirizzi giurisprudenziali citati rivelano la volontà di scongiurare il rischio di confusione sugli elementi caratterizzanti le diverse formazioni politiche, quali soggetti cui possono imputarsi concezioni, valori, idee e azioni. Viene, dunque, in rilievo la tutela dell’elettorato, quale espressione della sovranità popolare, costituzionalmente riconosciuta.

In tale prospettiva il Tribunale ritiene che debba essere compiuta ogni valutazione.

La parte ricorrente, per meglio argomentare la sussistenza del requisito della propria maggior presenza in Parlamento, ha ricordato che la Democrazia Cristiana storica, secondo quanto risulta dall’Archivio storico elettorale del Ministero dell’interno, “ha usato invero lo scudo crociato in tutte le elezioni dal 1948 al 1992, ottenendo sempre deputati in parlamento”, mentre “la UDC, costituita nel 2002, ha usato lo scudo crociato dal 2006 a tuttora, ma ottenendo deputati in parlamento nelle elezioni del 2008 e del 2013 ma non nel 2018 e nel 2022”.

Dalla stessa prospettazione di parte, dunque, emerge, da un lato, che il simbolo è stato utilizzato dalla Democrazia Cristiana storica fino al 1992 e, dall’altro, che, successivamente, con lo stesso simbolo, un’altra formazione politica si è presentata alle elezioni nel corso di un arco temporale di circa trent'anni, ottenendo un consenso che le ha consentito la presenza in Parlamento.

Il fatto che tale situazione si sia protratta così a lungo non può considerarsi irrilevante ai fini di stabilire la consistenza del carattere identitario del simbolo e la relativa spettanza. Il trascorrere del tempo, infatti, è un fattore non neutrale, ma giuridicamente rilevante. Vale, cioè, il principio, più volte affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui il trascorrere del tempo costituisce già di per sé un elemento idoneo a giustificare un diverso trattamento (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2023, n. 240 del 2019, n. 104 del 2018 e n. 18 del 1994).

Il Tribunale ritiene, per un verso, che l'utilizzo protratto del simbolo che ha caratterizzato un partito politico rimasto sostanzialmente inattivo per moltissimi anni abbia determinato in capo all’utilizzatore il formarsi di una identità riconoscibile da parte dell’elettorato che, nel tempo, ha avuto modo di esprimersi con il voto facendo riferimento all’UDC e ai relativi segni distintivi. Per altro verso, specularmente, il Tribunale esclude che tale simbolo, all’esito del menzionato utilizzo protratto da parte di soggetto diverso dalla Democrazia Cristiana storica, abbia mantenuto intatte le proprietà originarie che ne determinavano la riferibilità esclusiva ad una forza politica attiva eminentemente nel secolo scorso.

Gli stessi ricorrenti hanno evidenziato che solo nel 2010, all’esito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 25999, si è potuto affermare con certezza che il mutamento di denominazione della Democrazia Cristiana in Partito popolare italiano, deciso il 18 gennaio 1994 e accompagnato dal trasferimento dell'uso del segno distintivo, non fosse avvenuto poiché deliberato in contrasto con le previsioni statutarie.

In particolare, i ricorrenti hanno ricordato che “[n]el pomeriggio del 18 gennaio 1994, dopo oltre cinquant'anni di vita della D.C storica, nasceva un nuovo partito: il Partito Popolare Italiano, in analogia con l'omonima formazione fondata 75 anni prima da Luigi Sturzo. Mentre l'On. Martinazzoli, l'allora Segretario Politico Nazionale, si preparava a proclamare la nascita del PPI, la mattina dello stesso 18 gennaio alcuni esponenti provenienti soprattutto dalla destra forlaniana- dorotea, favorevoli all'entrata nella coalizione di centro-destra con Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, diedero vita al Centro Cristiano Democratico, guidato da Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Dopo la scissione già avvenuta nel settembre 1993 da parte della frangia cattolico-sociale (che contribuirà successivamente a fondare i Democratici di Sinistra), la D.C storica si vide così divisa in tre tronconi: il PPI che mantenne la collocazione centrista, il C.C.D. collocato nel centrodestra e i C.S. collocati a sinistra”.

Questo processo storico non è neutro rispetto alla conservazione del carattere identitario del simbolo e della denominazione. Durante i numerosi anni trascorsi fino alla citata pronuncia delle sezioni unite, anche l’elettorato è stato esposto al diffuso convincimento di un avvenuto mutamento di denominazione e, dunque, ne ha preso atto, maturando una nuova e diversa consapevolezza circa l’identità delle formazioni politiche in campo e circa la riconducibilità dei segni distintivi a questo o a quel partito.

L’art. 14, comma 6, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, là dove, come s’è detto, stabilisce che “[n]on è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore”, tutela un interesse che oggi non può più riconoscersi come radicato in modo prevalente in capo alla Democrazia Cristiana storica. L’uso tradizionale non è più un connotato esclusivo di tale partito, ma deve riconoscersi in capo ad altri che ne hanno fatto uso per anni.

Né può affermarsi che il riferimento alla presenza in Parlamento - dato l’espresso riferimento alla finalità di “non trarre in errore l’elettore” - possa essere valutato attraverso un’operazione aritmetica consistente nella mera comparazione della diversa durata, senza tenere conto del momento storico in cui tale presenza si è manifestata, di quanto accaduto nel tempo e delle conseguenze che l’articolarsi delle vicende ha determinato.

Il Tribunale, insomma, ritiene che nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, debba prevalere la tutela dell’elettorato, quale espressione della sovranità popolare, costituzionalmente riconosciuta.

I controlli sugli emblemi possono essere direttamente ricondotti al principio di libertà di voto tutelato dall’art. 48, comma 2, Cost. (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2000, n. 3922). L’interesse tutelato, come s’è detto, è quello facente capo al cosiddetto “elettore comune” in relazione al quale la giurispudenza amministrativa ha avuto da tempo modo di chiarire che l’idoneità delle scelte e degli accorgimenti messi a punto dai partiti a fuorviare i cittadini nella libera scelta dei loro rappresentanti deve essere verificata con riferimento alla normale diligenza dell’elettore medio di oggi, che per varie ragioni è in possesso di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento e di apprezzamento ben superiore a quelli dell’elettore medio di quaranta anni fa (Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 1999, n. 344).

Ciò, comporta che il giudizio sulla confondibilità deve oggi essere connotato da una minore severità. Per altro verso, si è anche affermato che la valutazione del contrassegno non dev’essere analitica (singole componenti non caratterizzanti possono anche essere uguali o simili), ma sintetica, quindi guardando se l’insieme degli elementi grafici essenziali – pur con le variazioni del caso – conservi gli elementi salienti dell’emblema tradizionale (Tar Veneto - Venezia, sez. I, 16 gennaio 2002, n. 75). Del resto i simboli e le denominazioni in esame fanno riferimento ad una vicenda storica che, sia pure in modo diverso per ognuna delle parti, ha segnato la nascita, lo sviluppo e l’attività dei movimenti politici. Si tratta, in altri termini, di elementi che si limitano a riassumere una radice originaria, circostanza di cui, attualmente, deve ritenersi ben consapevole l’elettore comune, dotato, lo si ripete, di maggior accortezza rispetto all’elettore del passato.

Ebbene, il fatto che ognuna delle parti in giudizio abbia svolto la sua attività politica nel tempo utilizzando, a seconda dei casi e con le relative differenziazioni, simboli, contrassegni e denominazioni riconducibili al partito della Democrazia Cristiana, ha comportato il formarsi ed il consolidarsi di una chiara rappresentazione del panorama politico da parte dell’elettorato.

Dalle osservazioni che precedono non può che discendere anche la reiezione delle domande riconvenzionali formulate al fine di ottenere il riconoscimento di un diritto esclusivo con conseguente e simmetrico ordine di inibizione per le altre parti del giudizio.

Resta assorbita ogni altra censura.

Concludendo:

la domanda formulata dagli attori deve essere rigettata;

le domande riconvenzionali formulate dall’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi) e dall’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito, devono essere rigettate.

Quanto alle spese: 

con riferimento al giudizio di merito:

il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani vanno condannati al pagamento delle spese di lite nella misura di € 3000,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali in favore delle seguenti parti: Partito Politico denominato U.D.C; On. Maurizio Lupi; Sen. Salvatore Cuffaro, Avv. Antonio Cirillo, Sig. Franco De Simoni; Sig. Emilio Cugliari Lauremi;

vanno invece compensate le spese nei confronti dell’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi) e dell’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito;

con riferimento al giudizio cautelare:

il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani vanno condannati al pagamento delle spese di lite in favore di ognuna delle parti resistenti costituite in quel giudizio nella misura di € 2.115,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

 

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, così provvede: rigetta la domanda formulata dal Rag. Carlo Leonetti e dal Prof. Nino Luciani;

rigetta le domande riconvenzionali formulate dall’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi) e dall’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito;

condanna il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani a corrispondere le spese di lite, liquidate nella misura di € 3000,00, per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali in favore di ciascuna delle seguenti parti: Partito Politico denominato U.D.C; On. Maurizio Lupi; Sen. Salvatore Cuffaro, Avv. Antonio Cirillo, Sig. Franco De Simoni; Sig. Emilio Cugliari Lauremi;

compensa le spese di giudizio nei confronti dell’Associazione “Democrazia Cristiana con Rotondi” (On. Gianfranco Rotondi) e dell’Associazione Democrazia Cristiana in persona del legale rappresentante Sabatino Esposito;

condanna il Rag. Carlo Leonetti e il Prof. Nino Luciani al pagamento delle spese relative alla fase cautelare in favore di ciascuna delle parti costituite in tale giudizio, liquidate nella misura di € 2.115,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali

 

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2025

 

Il giudice

Corrado Bile