Sono lieto di salutare i distinti partecipanti in occasione di questa Prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.
Nel mio messaggio alla conferenza diplomatica riunitasi cinque anni fa per negoziare questo Trattato, ho chiesto: «Perché porsi questo impegnativo e lungimirante obiettivo nell’attuale scenario internazionale caratterizzato da un clima instabile di conflittualità, che è sia causa che indicazione delle difficoltà che si riscontrano nel promuovere e rafforzare il processo di disarmo e di non proliferazione nucleari?» (Messaggio alla Conferenza dell’ONU finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, che conduca alla loro totale eliminazione, 23 marzo 2017).
In questo particolare momento della storia in cui il mondo sembra essere a un crocevia, la coraggiosa visione di questo strumento giuridico, fortemente ispirato da argomentazioni etiche e morali, appare ancora più opportuno. Di fatto, questa riunione ha luogo in un momento che richiede inevitabilmente una maggiore riflessione sulla sicurezza e sulla pace. Nel contesto attuale, parlare di disarmo o sostenerlo può apparire paradossale a molti. Ciononostante, dobbiamo restare consapevoli dei pericoli di approcci miopi alla sicurezza nazionale e internazionale e ai rischi di proliferazione.
Come tutti sappiamo bene, se non lo facciamo, il prezzo è inevitabilmente pagato da un numero di vite innocenti prese e misurato in termini di carneficina e di distruzione. Di conseguenza, rinnovo con enfasi il mio appello a far tacere tutte le armi e a eliminare le cause dei conflitti attraverso l’instancabile ricorso ai negoziati: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità» (Dopo Angelus, 27 febbraio 2022).
La pace è indivisibile, e per essere veramente equa e duratura, deve essere universale. È un modo di ragionare ingannevole e controproducente pensare che la sicurezza e la pace di alcuni siano disgiunte dalla sicurezza collettiva e la pace di altri. È anche una delle lezioni che la pandemia di Covid-19 ha tragicamente dimostrato. «La sicurezza del nostro stesso futuro dipende dal garantire la pacifica sicurezza degli altri, poiché se la pace, la sicurezza e la stabilità non vengono fondate sul piano globale, non saranno per nulla godute. Siamo responsabili individualmente e collettivamente del benessere sia presente che futuro dei nostri fratelli e sorelle» (Messaggio in occasione della conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, 7 dicembre 2014).
La Santa Sede è certa che un mondo libero dalle armi nucleari è sia necessario sia possibile. In un sistema di sicurezza collettiva, non c’è posto per le armi nucleari e per altre armi di distruzione di massa. Di fatto, «Se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni in questo mondo multipolare del xxi secolo, come, ad esempio, il terrorismo, i conflitti asimmetrici, la sicurezza informatica, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide.
Siffatte preoccupazioni assumono ancor più consistenza quando consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari con devastanti effetti indiscriminati e incontrollabili nel tempo e nello spazio» (Messaggio alla Conferenza dell’ONU finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, che conduca alla loro totale eliminazione, 23 marzo 2017). E non possiamo neppure ignorare la precarietà derivante dalla semplice manutenzione di queste armi: il rischio di incidenti, involontari o meno, che potrebbero portare a scenari davvero preoccupanti.
Le armi nucleari sono una responsabilità pesante e pericolosa. Rappresentano un “moltiplicatore di rischio” che fornisce solo un’illusione di una “sorta di pace”. Desidero riaffermare qui che l’uso di armi nucleari, come pure il loro mero possesso, è immorale. Cercare di difendere e di assicurare la stabilità e la pace attraverso un falso senso di sicurezza e un “equilibrio del terrore”, sostenuti da una mentalità di paura e di sfiducia, conduce inevitabilmente a rapporti avvelenati tra popoli e ostacola ogni possibile forma di vero dialogo. Il loro possesso conduce facilmente a minacce del loro uso, diventando una sorta di “ricatto” che dovrebbe essere aberrante per le coscienze dell’umanità.
A tale proposito, «a meno che il processo di disarmo sia accurato e completo, e raggiunga l’animo stesso degli uomini, è impossibile fermare la corsa agli armamenti o ridurre gli armamenti o — ed è questa la cosa principale —, in definitiva, abolirli completamente. Ognuno deve cooperare sinceramente nello sforzo di bandire la paura e la trepida attesa della guerra dalle menti degli uomini» (Papa Giovanni XXIII, Pacem in terris).
Per queste ragioni, è importante riconoscere il bisogno globale e pressante di responsabilità a diversi livelli. Tale responsabilità è condivisa da ognuno e comprende due livelli: in primo luogo, un livello pubblico, come Stati membri della stessa famiglia di nazioni. In secondo luogo, un livello personale, come individui e membri della stessa famiglia umana, e come persone di buona volontà. Qualunque sia il nostro ruolo o il nostro status, a ognuno di noi corrispondono vari livelli di responsabilità: come possiamo eventualmente immaginare di spingere il bottone per lanciare una bomba nucleare?
Come possiamo, in buona coscienza, essere impegnati a modernizzare gli arsenali nucleari? È opportuno che questo Trattato riconosca anche che l’educazione alla pace può svolgere un ruolo importante, aiutando i giovani a prendere coscienze dei rischi e delle conseguenze delle armi nucleari per le generazioni presenti e future.
I trattati di disarmo esistenti sono molto più di meri obblighi giuridici. Sono anche impegni morali basati sulla fiducia tra Stati e tra i loro rappresentanti, radicati nella fiducia che i cittadini ripongono nei loro governi, con conseguenze etiche per le attuali e future generazioni dell’umanità. Adesione a, e rispetto per, gli accordi di disarmo internazionali e il diritto internazionale non è una forma di debolezza. Al contrario, è una fonte di forza e di responsabilità in quanto accresce la fiducia e la stabilità.
Inoltre, come nel caso di questo Trattato, fornisce cooperazione e assistenza internazionale alle vittime e anche all’ambiente: qui il mio pensiero va agli Hibakusha, i sopravvissuti al bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki, e a tutte le vittime dei test delle armi nucleari.
Concludendo, mentre ponete le basi per l’attuazione di questo Trattato, desidero incoraggiarvi, rappresentanti degli Stati, organizzazioni internazionali e società civile, a continuare lungo il cammino da voi scelto di promuovere una cultura di vita e pace basata sulla dignità della persona umana e sulla consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle.
Da parte sua, la Chiesa cattolica rimane irrevocabilmente impegnata a promuovere la pace tra i popoli e le nazioni e a incentivare l’educazione alla pace attraverso le sue istituzioni. Questo è un dovere al quale la Chiesa si sente vincolata dinanzi a Dio e a ogni uomo e donna nel nostro mondo. Possa il Signore benedire ognuno di voi e i vostri sforzi nel servizio della giustizia e della pace.
Dal Vaticano, 21 giugno 2022.
Francesco P.P.