Una preliminare constatazione: la DC, che fu di De Gasperi e Sturzo, sta ritrovando un nuovo risveglio, dopo oltre venticinque anni di assenza dalla vita politica attiva.

Essa non è, e non vuole essere, l’espressione di un nuovismo, ma vuole ricondursi, pur calata nelle realtà odierne, in piena continuità, alle radici ed al florilegio di ideali, di valori e di metodi che ne caratterizzarono la cinquantennale esperienza.

Ciò non toglie che nella missione che è insita nella nuova avventura politica che ci sta impegnando grande attenzione non possiamo non riservare alle tante frange e ai tanti filoni che in questi due decenni sono diventati organici, anche con importanti dirigenti, dentro forze politiche sia del centrodestra che del centrosinistra.

In un orizzonte sempre più ampio guardiamo con rinnovata attenzione al mondo cattolico, oggi più che mai in fermento.

Un recente sondaggio da conto di una rilevante percentuale di cattolici protesi verso obiettivi di autonoma rappresentanza politica, da tempo dismessa in direzione di scelte meno identitarie che hanno finito però per rendere quasi del tutto evanescenti valori primari coniugati con sapiente mediazione come fu capace la DC nei suoi cinquant’anni, evitando inopportune estremizzazioni.

Ma è soprattutto l’area dei cattolici, democratici e popolari, che oggi soffre un certo disorientamento con lo spostamento degli equilibri interni nel Pd, che la segretaria Elly Schlein non fa velo di affermare, tanti che ci fa immaginare possibile quel riavvicinamento, anzi quella ricomposizione, sotto un'unica forza politica.

Del resto fu proprio quel virtuoso equilibrio delle diverse culture che ha caratterizzato l’area democristiana a dare linfa e vitalità ad un progetto politico di centro con cui si fece argine ad un sistema politico ideologicamente condizionato dalla divisione di Yalta.

Con il passaggio al modello elettorale maggioritario, sia pure con quota proporzionale, il sistema si avviò verso un bipolarismo sempre più estremizzato e, da trent’anni dominante, che ha portato divisione e odio sociale invece di coesione e solidarietà.

In questo momento va guardato perciò con interesse il tentativo di una ricomposizione dell’area dei popolari lanciato da Publio Fiori e da altri emeriti amici.

Un passo importante che va incoraggiato e che potrebbe porsi come mezzo a fine per un’auspicabile riaggregazione unitaria della galassia democristiana per affrontare con nuova linfa le complesse dinamiche socio politiche e geopolitiche di questa tormentata epoca.

L’iniziativa si inquadra nel più generale fermento che con l’inedita identità assunta dal Pd sta attraversando l’area dei popolari e non solo.

In questa direzione assai significativ ci pare l’invito rivolto in questi giorni da Guido Bodrato a ripartire dalla cultura per affrontare questo nuovo ciclo storico nel quale la politica troverà linfa per la sua rinascita.

L’obiettivo è talmente ambizioso che quell’invito, nella prospettiva di una più ampia ricomposizione, non può non riguardare tutta l’area democristiana.

Del resto è lo stesso tumultuoso processo di cambiamento degli assi (le oligarchie finanziarie) su cui da decenni si è modellato il governo dei rapporti tra gli Stati e i tanti compromessi della politica incapaci di divincolarsi dalle egemonie delle élite dell’economia globale, che ce la impongono.

Non può negarsi infatti che un nuovo corso sembra si stia avviando, come ci ricorda Giuseppe Davicino su Il Domani d’Italia di oggi, secondo il quale se guardiamo all’Italia la maggioranza dei cittadini diserta le urne; in Francia si respira già un clima prerivoluzionario; la Germania è in forte declino economico e persino gli Stati Uniti e Israele sono scossi da profondissime divisioni interne.

E, continua Davicino: ”tutto l’Occidente anela alla rinascita della politica e del pluralismo al posto dell’attuale oligarchia degli ambienti di Davos, dei tecnocrati, di alcuni fra i giganti tecnologici, del pensiero unico imposto da una ristrettissima minoranza di potenti”.

Va da sé allora che in tale cornice è la cultura e quel patrimonio di valori democristiani, che trovano linfa nel grande insegnamento di don Luigi Sturzo e della dottrina sociale della Chiesa, che dovranno fare da leva per una rigenerazione della politica e contribuire ad un nuovo ordine mondiale all’insegna del rispetto della persona, della giustizia sociale e del riequilibrio dei divari socio-economici.

In questa prospettiva riteniamo poco percorribili al momento inedite identità o inappropriate ibridazioni.

Mentre è innegabile, a partire dai territori della Sicilia, ma non solo li, un positivo ottimismo sul percorso in crescita del partito, già presente in tante istituzioni municipali, soprattutto dell’isola, con consistenti rappresentanze in particolare al Comune di Palermo che nell’Assemblea regionale siciliana.

Un lusinghiero successo che raccoglie una peculiare fidelizzazione di quell’elettorato, tra cui tanti giovani, che ha continuato a coltivare una visione lungimirante nel solco dell’esperienza politico-amministrativa di Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione siciliana, e del popolarismo di don Sturzo.

Anche se la specificità della legge elettorale che spinge a scelte bipolari deprime la naturale peculiarità centrista del partito e rende innaturali e disarmoniche certe alleanze, per lo stridente conflitto con i valori, in primis, del solidarismo e dell’accoglienza in tema di immigrazione, che portano su tutt’altro versante e con le ripetute risoluzioni degli organi di vertice, che non hanno mancato di sottolineare la particolare specificità di forza distinta e distante dalle destre sovraniste e populiste e dalle sinistre demagogiche e progressiste.

Certo non rileva tanto il fatto del ripetersi di alleanze guardando solo in direzione del centrodestra, sebbene la nostra casistica fa riferimento ad ambiti regionali e comunali, anche perché obiettivamente quell’altro versante è stato, in questi mesi pregressi, assai disastrato.

Tuttavia la ricerca di alleanze in un sistema cosiddetto bipolare non può essere avulsa da valutazioni di generale compatibilità di valori e progetti di governo, siano essi per l’intero paese che per ambiti regionali.

Non potendo bastare la concordanza su parti marginali o comunque non in grado di condizionare l’intero impianto programmatico con cui si vuole governare.

Quale sovrapposizione ci può essere tra la nostra linea e la durezza ed il cinismo delle due destre FdI e Lega nel modo di affrontare il fenomeno migratorio? (ne è stato un tragico esempio il disastroso naufragio di Cutro dove sono stati recuperati finora i corpi di oltre 90 persone tra adulti, donne e bambini).

Sulle politiche per il lavoro quali proposte di miglioramento, benché ripetutamente reclamate dai sindacati, sono state presentate per arginare una sempre più diffusa precarizzazione del lavoro?

E nella rimodulazione di un nuovo sistema fiscale, dal nome suggestivo, flat tax, quanta compatibilità riusciamo ad intravedere con il principio di progressività che è alla base di un equo criterio di imposizione fiscale secondo i livelli di reddito ed è l’unico principio per assicurare un adeguato welfare per mitigare i forti divari sociali?

Infine la supina posizione bellicista che sta portando l’Italia all’invio di armi sempre più sofisticate per sostenere una dottrina basata acriticamente su un’offensiva a lungo raggio e senza limiti temporali, così da consolidare nel cuore dell’Europa una guerra permanente e dai risvolti assai allarmanti per il sempre più probabile uso di testate atomiche (stando alle recenti dichiarazioni dello staff del Cremlino), in aperto contrasto con il diffuso sentimento dell’opinione pubblica (molto più vicina agli Appelli di Papa Francesco, ha crescentenente fatto perdere all’Italia un ruolo di credibile artefice di una possibile mediazione sul conflitto anche nella prospettiva di un nuovo assetto geopolitico (meno carico di tensioni che attirano mire egemoniche da parte di paesi imperialisti) nel quadrante sud del mediterraneo.

L'ambiguità di questo stato di cose, pure se ci riferiamo ad alleanze regionali, non ci fanno fugare tutte le perplessità nel ritenere specioso il richiamarsi al popolarismo per poi andare a braccetto, anche se al momento solo nel governo dei territori, con forze politiche che nel loro profilo identitario hanno tutt'altro.

Così si rischia di essere percepiti come la fotocopia dell’Udc, non foss'altro per un aprioristico orientamento tra i due poli.

Tanto varrebbe allora immedesimarsi, anche formalmente, con l’originale, sarebbe anche più onesto per gli elettori.

Prorompe a ogni accenno poi in questa vicenda tutta la tormentata vicissitudine di una questione, tutta politica, al di là di altri opinabili sfondi, che ha visto protagonista il compianto on. Alberto Alessi, fautore di un’alleanza con il terzo polo di Renzi (non alieno da tatticismi e spregiudicatezze ma più assimilabile ad un progetto di centro) sabotato poi dallo spostamento di baricentro che produsse Calenda, mandando improvvisamente in frantumi l’accordo con Letta.

Ne seguì una scelta singolare che creò divisione e incomprensione nel partito e tra gli elettori, ma fu anche la chiara cartina di tornasole della visibile avversione di Calenda verso la DC.

Servì però a dare il segno che le alleanze non si creano su pochi punti di programma, ma sulla compatibilità di visioni e di metodi.

Così come la DC non può prestarsi a punto di approdo di trasformismi in cerca di nuove identità, neanche a costo di comodi opportunismi.

Quanto poi ai tentativi personali, che in questi quattro anni si sono annoverati, di ricostruzione della DC, come storicamente si è delineata, o a strategie parallele fuori dalla piramide decisionale del partito, essi non possono trovare nessuna legittimazione perché palesemente non appaiono conformi a statuto.

 

Luigi Rapisarda