Con una suggestiva e appassionante prolusione, il Card. M. Zuppi ha aperto ieri l’80’ anniversario del Codice di Camaldoli, che, come è noto, fu redatto in quel memorabile incontro da quanti ebbero il coraggio di pensare la rinascita del paese in un quadro di valori condivisi che assicurassero democrazia, sviluppo e progresso.
In quel documento c’è tutta la forza di quella che fu una mirabile sintesi tra cultura democratica e umanista e politica: intesa come strumento imprescindibile per creare le migliori condizioni di sviluppo e benessere per tutti.
Certamente tutto il contrario di quanto siano oggi i modelli propositivi che orientano la politica
A tal proposito significativo il passaggio che il cardinale ha dedicato a questo tema:
“Uno dei problemi di oggi è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati.”
Una amara considerazione con cui in quel definire “politica epidermica” l’operare delle classi dirigenti, che oggi ci ritroviamo, c’è tutta la constatazione dell’assenza di una visione organica e di insieme e la mancanza di quella lungimiranza che mette al riparo da insidiose “prigionie del presente”,le scelte di lungo periodo, come oggi siamo imprescindibilmente chiamati a fare nel vivo di una fase di transizione volta a costruire un nuovo e più coerente modello di sviluppo nell’ urgente salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema, in tutta la sua ampiezza planetaria.
E di certo in questo ultimo trentennio non sono stati pochi a chiedersi quali possano essere state le cause di una così incisiva carenza progettuale in seno alle classi dirigenti del nostro paese e non solo di esso.
Sul punto assai condivisibili appaiono le considerazioni di G. Davicino, secondo il quale:”.. l’indebolimento della dimensione progettuale nella classe politica è stato favorito in questi anni anche da un preponderante atteggiamento dei mezzi di informazione, di chiusura al pluralismo delle opinioni e di appiattimento dei giudizi sull’immediato.
Sui temi dirimenti – come la pace, l’ambiente, la questione demografica e altri – si assiste quasi a un’inversione delle parti, per cui spesso non è più il giornalista che pone delle domande al politico per ottenere un suo giudizio ma al contrario è la stampa che valuta il grado di uniformità del politico alla linea editoriale, e in ultima analisi, al giudizio politico stabilito dall’editore, e da chi controlla la proprietà dei media. Una stampa che, forse non rendendosene pienamente conto, finisce per ostracizzare ogni giudizio non ritenuto conforme.”.
Assai pregnante risulta essere stato poi l’invito del Presidente della CEI a non trascurare due aspetti essenziali che stanno condizionando tutto il divenire della comune convivenza civile, il futuro dell’Europa e il ristabilimento delle condizioni per una pace duratura.
Di certo un forte richiamo per i cattolici a ripensare una virtuosa occasione di incontro che, attraverso una riflessione che non manchi di essere “audace e innovativa” come i tempi richiedono, aiuti a costruire con serietà e credibilità il futuro cammino dell’Europa, rimuovendo tutti quei cavilli burocratici poco compatibili con un autentico ruolo di promozione di progresso sostenibile e di pace, come pure di recente ci ha ricordato, in un suo mirabile intervento, M. Draghi.
Non minore impegno richiede la costruzione di un mondo che consenta coesistenza pacifica e sicurezza nel quadro di una dimensione sempre più multipolare.
Noi cristiani in politica siamo da tempo impegnati su questo fronte anche sulla scia del magistero papale e delle diverse Encicliche.
E, in questi anni, non sono stati pochi i sofferti richiami di Papa Francesco che hanno fortemente orientato la nostra permanente azione per la pace, senza cadere negli steccati dell’ideologia preconcetta e nelle, spesso, artificiose divisioni manichee.
Volere la Pace significa convincere che essa è Bene supremo che riguarda tutti i popoli.
Volere la Pace significa ascoltare seriamente senza pregiudizi e faziosità per mediare, in una visione multipolare, sulle posizioni delle parti, nella comune consapevolezza che non possono essere le armi - che generano sempre e solo distruzioni e morti, coinvolgendo spesso civili inermi - a risolvere i conflitti.
E se da una parte appare quasi naturale la nostra propensione come DC ad adoperarsi nel massimo possibile per una seria azione di pace, non posso per un attimo non fare accenno alla parallela performance dell’on. Francesca Donato al parlamento europeo, di qualche giorno fa.
Un intervento assai poco compatibile con il nostro spirito di dialogo costruttivo e collegiale con, e nelle Istituzioni.
Peraltro in concomitanza con una sorta di ambiguità identitaria, trovandosi al momento ad esercitare due profili assai antitetici: non iscritta a nessun gruppo politico, dal momento in cui è uscita dalla Lega, in seno al parlamento europeo, e alto dirigente, in quanto vice presidente del C.N. del partito.
Ebbene, in quella assise, Ella ha criticato severamente il Consiglio europeo per la decisione di continuare a mandare armi all’Ucraina,
L’intervento per come si può trarre da You tube, pur avendo posto importanti interrogativi, ha chiaramente lasciato inespresse talune pregevoli indicazioni su quale linea di pace concretamente persegua questo suo declinare critico. Connotandosi così di una certa genericità che lascia irrisolti molti dubbi sulla sua linea geopolitica.
Vero è che la censura espressa sull'opinabile risoluzione lascia intendere che alla decisione di continuare a mandare armi all'Ucraina non si è affiancata una energica e credibile azione di costruzione della pace da parte dell’Istituzione europea, al momento ripiegata supinamente sulle posizioni di guerra ad oltranza, che sembra esprimere la Nato, ma non si trae minimamente a quale modello di Pace geopolitico Ella si ispiri.
Del resto non sono pochi, dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ad essersi iscritti tra i promotori di pace:da Salvini a Conte.
Anche il presidente Berlusconi, fino agli ultimi giorni della sua esistenza, si è prodigato per la pace.
E guardando fuori dai nostri confini non possiamo non menzionare i tentativi di Macron e soprattutto di Erdogan: sicuramente il più coinvolto con la sua incessante opera di lavorio diplomatico, anche se non sempre appare chiara ogni sua mossa, che indubbiamente va calata, ogni volta, in quella tessitura politica, oramai decennale, tesa a non lasciare spazi vuoti nelle dinamiche che hanno a che fare soprattutto con i paesi della sponda sud del mediterraneo.
Persino la Nato ha, sicuramente, un suo piano di pace.
Il problema è vedere quanto queste iniziative siano espressione di terzietà o di partigianeria preconcetta, o quanto si discostino da insidiose visioni imperialiste che tendono a privilegiare l’uno o l’altro contendente nel quadro di una propria visione geopolitica degli assetti continentali prossimi e se addirittura non si pongono come cause di nuove occasioni di conflitto.
Ora per tornare all’intervento citato dell’On. Francesca Donato, non può ignorarsi il fatto che c’è un quadro di ambiguità politica che scaturisce dal fatto che Ella si ritrova ad agire contestualmente in due ruoli antitetici.
Da una parte dirigente del partito (vice presidente del C.N) ed in quanto tale soggetta agli obblighi di Statuto secondo il quale è tenuta ad attuarne la linea, come prevede per tutti gli iscritti, l’art.3, appunto, dello Statuto.
Dall’altra deputato in sede europea con ruoli da battitore libero, e un profilo di questi ultimi anni non certo teneramente pro Ue, in sé rispettabili, come tutte le posizioni politiche democraticamente formate, ma non di certo comparabili e rappresentative della linea politica precedente ed attuale che si riconduce alla Democrazia Cristiana.
Uno sdoppiamento che non può andare di pari passo con le regole statutarie del partito e con la chiarezza che si esige quando si hanno ruoli dirigenti dentro una forza politica, anche per le tante implicazioni che questo comporta.
Sono sicuro che il partito e la stessa on. Francesca Donato avvertano come indifferibile, ossia in tempi abbastanza brevi, l’esigenza di chiarire e risolvere al più presto questa palese antinomia dentro il partito.
Va da sé che appare nel contempo urgente procedere alla convocazione del C.N. che a sua volta può costituire una commissione per il programma, e poi della Direzione per definire, senza ambiguità, le linee programmatiche, sia per il prossimo appuntamento europeo, sia per una più diffusa interlocuzione nelle politiche del paese, convocando per quelle assise i relatori dei 5 dipartimenti che hanno sapientemente elaborato le piattaforme programmatiche per una ulteriore definizione in seno agli organi a ciò deputati, affinché si dia un messaggio chiaro su quali linee programmatiche il partito intende costruire l’azione politica le alleanze e le candidature, sia in sede europea, che nelle dinamiche territoriali delle istituzioni del nostro paese.
Luigi Rapisarda