Le trattative per il nuovo governo dell’Unione sono ancora in alto mare. Tutti giurano sull’europeismo, tutti sono convinti che bisogna cambiare, tutti riconoscono che le elezioni europee hanno portato una ventata di novità ma, poi, le cose stanno così: la von der Leyen resta al suo posto, la coalizione che la sosteneva (popolari, liberali, socialisti e verdi), continua a sostenerla, la maltese Metsola resta al Parlamento europeo, un Portoghese dovrebbe andare alla politica estera (tanto non può far danno perché politica estera non ce n’è) e, per il resto, si discute.
La questione sembra chiusa ma non è così. In Parlamento questa soluzione non avrebbe vita lunga. Ecco perché si continua a negoziare. Nulla di nuovo, quindi, a fronte di tante dichiarazioni.
La novità del successo delle varie destre resta sullo sfondo. Non si capisce se avranno o no un ruolo nel nuovo assetto della Commissione.
In realtà, quando si parla di destra, si parla di un insieme di tendenze politiche che hanno un solo comun denominatore: il nazionalismo, con tinte più o meno accese. Per il resto, sono divise su tutto. Si profilano almeno quattro destre: quella dei conservatori, capeggiata dalla Meloni, quella di Orban (piuttosto discutibile quanto al rispetto dei diritti umani e tendenzialmente filoputiniana), la destra emergente della Le Pen (almeno fino ad ora decisamente antieuropeista) e, infine, il gruppo delle destre estreme, guidato da AfD, (Alternative fur Deutschland), che ha vinto le elezioni in Germania.
Si va, quindi, dal conservatorismo liberale ai filo-russi, dai filo ucraini ai nostalgici delle SS, dai filopalestinesi ai filoisraeliani. Un mosaico interessante, ma di difficilissima composizione.
Con questo coacervo di destre, divise su alcuni temi fondamentali, la von der Leyen può fare un’alleanza? Decisamente no.
Non solo i socialisti che la sostengono dicono: mai con la destra, ma anche dalla destra c’è un mai con i socialisti. Delle due l’una: o s’imbarcano le destre (ma quali?) e si sbarcano i socialisti (e i Verdi, che hanno subito una batosta elettorale, tranne che in Italia, grazie alla Salis)), oppure non se ne fa nulla.
Volendo dar retta all’elettorato, le destre dovrebbero entrare nella compagine del governo dell’Unione. Se non lo si fa, l’esecutivo comunitario nasce azzoppato. Se entrano le destre ed esce la sinistra, l’Unione diventa automaticamente il simbolo del neofascismo, della restaurazione, della reazione, del militarismo guerrafondaio e così via. Conosciamo quello che direbbe l’opposizione e quale sarebbe la reazione della Federazione russa.
La questione non è tanto dei socialisti, ma della Germania, il pezzo forte dell’Unione, che è guidata dai socialisti. È immaginabile che la Germania esca dal gioco? Evidentemente no. Il rebus è tutto qui. Il gioco è confuso e difficile.
La Meloni è in mezzo a questo bailamme. È l’unica ad avere la titolarità di un governo nazionale, almeno fin quando la Le Pen, se vincerà alle elezioni francesi di fine giugno, non potrà farne uno suo.
Le si prospettano alcune alternative.
La prima, fortemente improbabile, è che abbia la capacità di fondere le varie destre (almeno quelle numericamente più consistenti e meno isolazioniste), convogliandole nel gruppo dei conservatori, di cui è presidente. Sarebbe un bel colpo, annacquando i vari nazionalismi e presentando un gruppo unico di cui non si potrebbe non tener conto.
La seconda è che la Meloni entri fra i popolari europei, abbondonando i conservatori e facendo una scelta di campo molto difficile. Non ce la vedo in un governo comunitario accanto a Verdi con la Salis, guidata da un Fratoianni all’opposizione rigida in Italia. Inoltre, lascerebbe il campo delle destre residue alla Le Pen, un’ipotesi pericolosa.
La terza alternativa, che giudico più probabile, invece, è che la Meloni intenda giocare un ruolo di sostegno esterno all’esecutivo comunitario, ottenendo in cambio compensi sostanziosi per il suo Paese. Si parla di una Vice presidenza e di un Commissario “pesante”.
La Vice presidenza, a parer mio, è un orpello inutile se non si fa attenzione alle deleghe. Circola il nome di Letta, buono per tutte le minestre e, quindi, ininfluente. È una brava persona, intellettualmente capace ma politicamente un disastro. Meglio non pensarci.
Per il Commissario, circola il nome di Fitto. Ha fatto bene con il PNNR in Italia e potrebbe degnamente occuparsene in Europa. Politicamente, vedo un maggiore interesse per il nuovo Commissario alla difesa, un settore nuovo dove l’Italia potrebbe dare un’impronta importante, se si trova l’uomo adatto. Non idea di quanto sia valida la nostra attuale dirigenza militare, ma forse il nostro Ministro della difesa ha qualche carta da giocare.
Riassumendo, le prossime giornate saranno decisive con possibili colpi di scena, comunque sempre in attesa delle elezioni francesi di fine mese e dei risultati del duello televisivo Biden-Trump, dove forse si capirà in quale direzione potrebbe andare la politica statunitense se vincesse Trump.
Stelio W. Venceslai