Sono grato a chi ha lanciato un sasso sull’affermazione delle liste Dc, andate persino oltre l’aspettativa, in Sicilia, ma più nel segno e nella ricerca di un personalismo, che si fa fatica a trovare se non si coglie lo spirito di servizio che ha animato questa scommessa.
Meno invece in una chiave di lettura versata ad indagare sulla grande voglia popolare di riproposizione di quel patrimonio di ideali e di valori di cui è stata espressione la Democrazia Cristiana. Ragion d’essere, oggi, di questo risveglio che ha trovato il suo primo motore nelle tante mancate risposte che sta caratterizzando l’attuale quadro politico, emblematicamente rappresentato da un astensionismo alle stelle.
E anche questo confronto che, ovviamente, si inserisce in un latente dibattito che da tempo trova interesse nelle enclave culturali di area cattolico democratica, consente di analizzare, senza veli, una realtà che se, in prima lettura, appare essere fuori dalle consequenzialità dinamiche ed, in questo ultimo decennio, soprattutto dall’accentuazione dei personalismi, che sono alla base di nuove forze in campo, ci fa cogliere quel nervo scoperto, costituito dall’inarrestabile lontananza dalle urne, che tanta accelerazione sta registrando nel corso di questi ultimi due decenni di confronti elettorali.
E ben poco ci può essere di aiuto la lettura di una realtà sociale complessa e messa duramente alla prova da una pandemia che ha messo a nudo tutta la vulnerabilità dell’uomo e delle sue sovrastrutture politiche ed economiche, rispetto ai meccanismi di risposta di una natura che non si può controllare in tutte le sue dinamiche, se la si volesse affrontare con gli strumenti non attualizzati di stagioni politiche passate.
E allora non ci sembra un perfetto stile etichettare una così innegabile realtà politica, con tale espressione, davvero inopportuna e fuor di ragione “…A volte il delirio politico unito all’orgoglio di Partito per un passato glorioso, giocano brutti scherzi e si preferisce sognare rispetto all’analisi concreta della realtà nella quale siamo immersi in questo nuovo millennio”.
Se un così prorompente fiume carsico, che riprende a scorrere in superficie, cominciando da tanti Comuni della Sicilia con percentuali che sono arrivati in taluni casi oltre il 10 percento – focalizzando la dimensione operosa di tante donne e di tanti uomini, che hanno animato quelle liste, pervasi da incomprimibile spirito di servizio – non è la prova tangibile dell’attualità della proposta politica della cosiddetta “nuova Dc”, con l’obiettivo di non lasciare senza risposta quel nuovo orizzonte di cui ha bisogno il paese, e non viene colta come la più eloquente smentita di quelle congetture, in questo caso, sì, campate in aria, mi chiedo se nel mappamondo che guida l’attenta ricerca dell’esimio contraddittore, l’affilato periscopio, non abbia sbagliato pianeta.
Ma vieppiù.
Perché non possiamo fare a meno di rilevare come sia sfuggita alla sua affilata analisi la circostanza che la nuova Dc vuole farsi promotrice di un nuovo modello economico, che coniughi impresa e mondo del lavoro in una nuova sinergia, capace di assicurare una compartecipazione alle scelte in conformità al dettato costituzionale che mette insieme, pur nel riconoscimento della libertà d’impresa, la precipua funzione sociale che essa assume nella dimensione civile ed economica, nell’obiettivo di assicurare una maggiore stabilità dell’occupazione e prospettive di relativa sicurezza del futuro di ciascuna persona.
Aspetti che nel contesto attuale, con un sistema economico prostrato da una pandemia che ha messo in ginocchio ogni angolo del pianeta, hanno poco di negoziabile, pena la compromissione delle condizioni minime per il raggiungimento di quegli essenziali obiettivi per una vita dignitosa cui ha diritto ogni essere umano e la reale salvaguardia delle condizioni naturali del nostro pianeta.
È insomma il segno di un percorso politico, nella ribadita appartenenza a quei valori che sono stati l’asse portante della fisionomia della nostra Repubblica che i padri costituenti seppero scolpire nella Carta costituzionale, ancora attualissima, nella pregiata sintesi dei tre grandi filoni di pensiero.
E non lo affermiamo per semplice “orgoglio di partito”, come fossimo nella consapevolezza di permetterci dei sogni a buon mercato, in spregio ad una realtà che andrebbe da tutt’altra parte. Ma consapevoli di un dovere ineludibile in questo clima politico in cui le evoluzioni, anzi le involuzioni di tanta parte delle attuali formazioni, avulse, da tempo, dagli stili e dai virtuosi metodi del confronto pacato e costruttivo, preferiscono una propaganda sempre più demagogica e populista, con permanente ed aperta, ostilità verso i partiti non alleati.
Per converso non sortirebbe grande credibilità appropriarsi, come un corpo estraneo o senza comuni radici, di un patrimonio di idee e di esperienza politica che solo il filo di una continuità può storicizzare. Anche perché quel patrimonio di ideali e di valori, già virtuosamente impiegati, nella ricostruzione postbellica del paese, non poteva dissolversi e non si è dissolto per effetto di una decisione impropria, come fosse un editto, ma fuor di statuto.
Non è pertanto l’effetto di un semplice atto di mero orgoglio riprendere a far sventolare quella bandiera e parlare nel nome di quei valori e di quel modello di sviluppo, ma la naturale conseguenza di un processo di ricomposizione che parte da lontano e che, la mirabile affermazione delle liste Dc in Sicilia dimostra, non essersi mai realmente spento.
In questo contesto mi pare giusto il caso di sottolineare come in quelle dichiarazioni di Mario Draghi, a conclusione del G20, con le quali ha dato molto risalto ad una nuova e positiva capacità di ascolto delle ragioni di tutti, in funzione di una sintesi che non fosse di pregiudizio a nessuno, si ritrovi il senso e la riproposizione di un metodo che fu la direttrice assoluta dell’esperienza politico-istituzionale democristiana. Ma non può, al contempo, trascurarsi il fatto che, nel firmamento dell’attuale realtà parlamentare, non c’è partito capace di ridare voce e dignità a quel florilegio di ideali, popolari, cattolici e di solidarietà ed autentica equità sociale che la Dc ha rappresentato.
Uno scenario che ora più che mai si presenta come strettamente attuale e imprescindibile. E non solo nel quadrante politico interno che la imminente elezione del nuovo Capo dello Stato può esigere, qualora Mario Draghi, cui dobbiamo l’impronta di una coerenza di metodo e di contenuti, mentre i partiti della sua maggioranza, in rissa permanente, vanno in ordine sparso, dovesse essere scelto come prossimo Presidente della Repubblica.
Ma nel contesto internazionale, per l’esigenza di tener fede al nuovo e più efficace metodo del negoziato multilaterale, dove si richiede autorevolezza, saggezza, lungimiranza, capacità di mediazione, come stile naturale e non come tattica artificiosa, e una visione di comune convivenza e cooperazione, nella consapevolezza che solo una governance condivisa può portarci a risolvere la grave minaccia al genere umano ed a tutto il creato che gli sconvolgimenti climatici ci stanno anticipando, se non interveniamo tempestivamente. Diversamente il rischio è di rendere, in tempi brevi, sempre meno vivibili alcuni angoli della Terra.
Certo non va ignorato l’effetto distorcente che le misure di mitigazione e di adattamento imporranno alle comunità più esposte al rischio di costi umani più alti se non si predispongono, in compensazione, adeguati aiuti tecnologici e finanziari. Questo però richiama in primo luogo le scelte e i modelli economici che andremo ad approntare per superare le disfunzioni e le disarmonie sociali, spesso assai marcate, che il sistema liberista ha sprigionato non solo nelle sue applicazioni più aderenti alla dottrina di Adam Smith.
E qui deve soccorrere la consapevolezza che il cammino intrapreso verso un’immediata transizione ecologica, oltre a non pregiudicare l’obiettivo di salvare il nostro pianeta, non impedisca a ciascun paese, autonomia di progettazione di un proprio futuro sostenibile, tenendo conto dei diversi tempi di partenza della industrializzazione in ciascuno di essi, purché si agisca dentro i parametri di pianificazione energetica concordati. In questo contesto sembra quasi surreale parlare di neocentrismo riguardo alle forze politiche oggi presenti in parlamento.
Mentre sotto i nostri occhi si dipanano disinvolte iniziative di leader che cercano spazio al centro, che non disdegnano di fare da consulenti o mentori a regimi dove i diritti umani appaiono ignorati. E quelle forze politiche, che di questa collocazione ne hanno fatto una bandiera, non hanno pensato di meglio che consegnarsi, per qualche personale sopravvivenza o inseguendo illusori miraggi, alle forze populiste e sovraniste.
Così vien da chiedersi se davvero esista una forza politica che possa credibilmente esprimere, oggi, quel condensato di valori capaci di dare linfa e supporto ad una “rivoluzione tecnologica e finanziaria”, che metta al primo posto la necessità di un nuovo modello di sviluppo per la salvezza della Terra, del creato e il riconoscimento, in ogni angolo dei continenti, dei diritti essenziali e della piena dignità di ogni persona, come, Papa Francesco con i frequenti ammonimenti, non fa che ricordarci.
Mentre non possiamo più ignorare il fatto di mettere in agenda, al più presto, per la salvezza della Terra, nuove e più frequenti occasioni di governance sovranazionali condivise, se non vogliamo che le intensità degli sconvolgimenti climatici mettano in pericolo il futuro del nostro pianeta, unica casa della comunità umana. Ne abbiamo avuto un mirabile esempio con il recente G20, magistralmente presieduto dal premier Draghi. Egli si è mosso secondo delle direttrici che non hanno mai perso di vista l’ascolto e la comune concertazione, evitando, quanto più possibile, di far pagare eccessivi costi sociali ed umani ai paesi più poveri.
Guarda caso le linee di ordine generale che, di ogni dibattito e confronto tra le nazioni, furono, e ancor oggi si pongono, come la precondizione ineludibile perché un negoziato tra Stati (un esempio eloquente ne è stato, l’istituzione dell’Onu e il trattato istitutivo della Cee e poi della Ue) giunga a serie e concrete conclusioni, capaci di generare risposte.
Ma non basta.
Oggi è necessario invertire ed innovare fortemente i sistemi di produzione agricolo-industriale nella comune consapevolezza che la Terra ed il Creato non sono cose che appartengono alle oligarchie finanziarie e ai singoli Stati. Essi appartengono a tutti i popoli, come a tutti è dovuta una vita dignitosa. In questo quadro appare un fuor d’opera la ricostruzione storica sulla genesi ed i diversi profili identitari della Dc del nostro interlocutore, ed il suo inerpicarsi nello storicizzare l’identità democristiana solo come espressione di un’epoca politica ben definita e non più ripetibile.
Un ragionamento che calza poco con la duttilità che deve caratterizzare l’azione politica di ogni partito perché, in quanto tale, deve essere sempre in grado di dare risposte attuali alle dinamiche sociali ed economiche del paese, senza mettere a repentaglio gli ideali ed i valori identitari che però richiedono un costante adattamento ai nuovi interessi collettivi e individuali. Come del resto lo si fa con le letture, sempre più rinnovate e aderenti, a cominciare delle interpretazioni di volta in volta innovative al divenire sociale della comunità, della Carta costituzionale (il cosiddetto diritto vivente) senza che per questo si snaturi il patrimonio di valori primari su cui essa si fonda.
Luigi Rapisarda