Dopo lo stallo delle ultime settimane, con scambi di accuse reciproche, il quadro geopolitico sta cambiando.

In Ucraina la pressione russa sta mettendo a dura prova la resistenza del Paese. Non bastano le armi finora inviate in Ucraina a contrastare la preponderanza russa. I Russi avanzano, lentamente, a sud, nel tentativo d’imbottigliare parte dell’esercito ucraino.  Il fronte si muove, a nord, invece, a favore degli Ucraini. Ma è molto oscillante. Se non interverranno fatti nuovi, alla fine la resistenza ucraina si sbriciolerà, nonostante il massiccio invio di armi dall’Occidente.

Si parla di nuove terribili armi a lunga gittata che arriverebbero dagli Stati Uniti, di una mobilitazione parziale in Russia, di contatti segreti fra le parti. In Russia tutto tace e gli slogan sull’”operazione speciale” sono sempre gli stessi. In Ucraina c’è la stessa nebbia con le stesse dichiarazioni di fermezza sui principi. Intanto Zelenski ha sostituito il Capo di Stato Maggiore dell’esercito e il Governatore di Kharchiv. Qualcosa comincia a non funzionare nel Paese.

Se le cose continueranno come ora, diventa inevitabile che le truppe russe si attestino attorno a Odessa e al confine con la Moldavia, un Paese in fortissima ebollizione, con la Trasnistria piena di armi e di armati filorussi. Chiusa o quasi la partita ucraina, se ne aprirebbe un’altra molto più complessa.

Il punto è: se Putin si collega con la Trasnistria e sfiora la Moldavia, che succede? Ancora chiacchiere inutili in Europa? Visto come vanno le cose a Bruxelles, è probabile.

L’Unione europea è un gatto morto in mezzo alla strada: non se la fila nessuno. Neppure Biden, che fa la voce grossa, se la sente di fermare Putin. Solo i Paesi di confine con la Russia si sentono minacciati (Slovacchia, Paesi Baltici, Polonia, financo l’Ungheria) e potrebbero reagire con incidenti tali da provocare un intervento NATO.

Potrebbe non accadere, ma cosa farà l’Occidente se la Russia arriva al confine moldavo? Persevera ancora con le sanzioni, che servono a poco o nulla, ma sono soltanto un’arma di ricatto per Putin: togliete le sanzioni e libero il commercio del grano? Il blocco delle forniture di cereali significa la fame nel mondo, soprattutto in Africa. Questo non fa piacere a nessuno, neppure ai Cinesi che tanto vi hanno investito. Dell’Ucraina non importa nulla a nessuno e, tanto meno, della violazione dei diritti umani, della pace e della democrazia, ma del grano sì. Sarà facile addossare la colpa all’Occidente che ha messo le sanzioni.

L’Occidente, poi, è l’Europa, perché agli Stati Uniti le sanzioni non portano danno, come agli Europei. L’Unione continua a balbettare i tempi di un balletto stantio: sanzioni sì, sanzioni no, unanimità sì, unanimità no, ma è solo un giochetto di birilli impazziti. I Von der Layen, i Michelet, lo stesso Macron, non sono molto credibili: chiacchiere e vuoto pneumatico.

In questo vuoto, in Italia, s’inseriscono Di Maio e Salvini, già compagni di governo. Di Maio propone un piano di pace che nessuno conosce e, comunque, riconosce come base valida per una trattativa. La dimensione del personaggio, di per sé, ridimensiona il tutto. Era al corrente Draghi di questa bella pensata?

Salvini, poi, si è messo intesta di andare in Russia a parlare con Putin. Sembra una battuta da vaudeville, ma purtroppo non è così. È convinto di avere degli assi nella manica per ottenere da Putin ciò che il mondo finora non è riuscito ad avere. Ma chi è Salvini, nel contesto internazionale? Nessuno, al massimo, un disturbatore. È una boutade che fa piangere invece di ridere. Povero Paese, il nostro, con simili campioni!

Dall’altra parte del mondo, invece, emergono novità importanti.

La prima è che la Cina, che è abbastanza tranquilla in questo momento, sta lanciando una proposta di collaborazione con dieci piccoli Stati nel Pacifico Meridionale, una cosa che dà maledettamente fastidio all’Australia (e agli Stati Uniti).

La Cina vuole rompere il blocco nippo-sudcoreano-americano nel Pacifico, sostenuto dal recente Trattato AUSKUS tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti. Si sente accerchiata.

La seconda novità importante, poi, è il riavvicinamento dell’India agli Stati Uniti. La decisione degli Stati Uniti di creare una partnership strategica con New Delhi promette sviluppi interessanti per il contenimento dell’espansione cinese. Con la Cina l’India ha già avuto due guerre, nel 1962 e nel 2020-2021, per questioni di frontiera.

Entrato a suo tempo nell’orbita di Mosca, il governo indiano se ne sta distaccando così come ha progressivamente abbandonato la sua posizione di leader del terzo mondo (o dei cosiddetti Paesi non allineati). Il mondo è molto cambiato dai tempi della guerra fredda e certe posizioni non pagano più. Inoltre, l’India è oggi una grande democrazia militarista, protesa sul mare, con una flotta moderna di tutto rispetto. In tal modo, l’India sta diventando un importante competitor nei confronti della Cina per il controllo dell’Oceano Indiano e delle rotte verso l’Africa. Le recenti forniture americane di sommergibili Poseidon, a propulsione nucleare, rafforzano in modo significativo la flotta militare indiana che sbarra il passo a quella cinese.

Washington sta sviluppando un’analoga strategia nei confronti di altri Paesi dell’area, quali Vietnam e Indonesia, molto preoccupati per l’ascesa politica e militare cinese. Anche qui, nel Pacifico Meridionale e nell’oceano Indiano si sta stringendo un cerchio attorno a Pechino.

La Cina ha due alleati tradizionali, in questo momento: la Corea del Nord, di cui non ci si può fidare, e la Russia di Putin, impantanata nella guerra ucraina. Per questo Pechino non si muove, appoggia la Russia ma non tanto, non si parla di Taiwan e in Asia Orientale tutto sembra sospeso fino a nuovo ordine. La quiete prima della tempesta.

 

 Stelio W. Venceslai