In questi giorni sui mezzi di comunicazione di massa si è sviluppato un aspro dibattito sul richiamo fatto da un ministro al concetto di sostituzione etnica, ritenuto da molti, specie dalla sinistra, espressione di razzismo. Chiunque conosca un po’ di sociologia o di politologia sa che il concetto di etnia è comunemente impiegato a designare una condizione delle aggregazioni umane.
Queste possono essere basate sul concetto di consanguineità, a partire dalla famiglia e dalla parentela fino alla tribù, ma l’intensificarsi delle relazioni nello spazio e il loro estendersi hanno portato ad aggregazioni che mescolano più tribù, e il loro legame non si basa più solo sulla consanguineità (comunità di sangue le definisce Ferdinand Toennies, sociologo tedesco), ma sulla condivisione della medesima cultura e della medesima storia. Per esprimere un’aggregazione di popolo che parla la stessa lingua, ha la stessa religione, ha vissuto le medesime vicende storiche si usa il termine di “etnia”.
Lo studio del fenomeno etnia e delle relazioni tra etnie è oggetto di una specifica disciplina, coltivata anche all’Università di Trento. Col procedere della facilità di trasporti e di comunicazioni più etnie vicine entrano in rapporti stretti e formano sistema. Gli idiomi, ritenuti dialetti, si unificano, cresce una letteratura, si forma una coscienza collettiva, ci sono tensioni per costruire un’unità sociale organizzata, economicamente, culturalmente e politicamente e tale unità è chiamata “nazione”.
Quando la nazione diventa la base per svolgere funzioni statuali, essa diventa “stato nazionale” o “stato-nazione”. Attualmente i popoli sono o nella fase di costruzione dello stato-nazione, specie se hanno subito le conseguenze nei secoli scorsi della colonizzazione, o nella fase di costruzione di unità sovranazionali, come è per es. l’Unione Europea. Non c’è nulla di razzismo nell’impiego del concetto di etnia o di nazione.
Non c’è neppure, a rigor di logica, nell’uso del concetto di razza, tant’è vero che nella cultura anglosassone è oggetto di insegnamenti universitari, ma la tragedia dell’uso di tale concetto, base per stermini e persecuzioni, specie nel mondo tedesco, ne sconsiglia l’uso. Esso comunque ha una base diversa da quella di etnia e rimanda a caratteri morfologici del corpo umano, tra l’altro che male si prestano a categorizzazioni nette.
Che il concetto di etnia abbia una sua connotazione specifica lo testimonia anche la sua accettazione nella legislazione italiana, dove accanto al concetto di “minoranza linguistica” è impiegato anche quello di “minoranza etnica” come quello di “minoranza nazionale”.
Anche il concetto di “sostituzione” non sembra connotare un linguaggio razzista. Se gli andamenti della natalità e dei processi migratori portano alla diminuzione di numerosità relativa di membri di un’etnia e all’aumento di quella di altre etnie, si sta verificando un processo di graduale sostituzione etnica.
Può darsi che ci sia chi coltiva come un proprio obiettivo qualche tipo di sostituzione etnica. Nella storia è già avvenuto molte volte. Ricordo solo la sostituzione della popolazione tedesca della Prussia orientale con popolazione polacca come uno degli esiti della seconda guerra mondiale. Ma di per sé il concetto di sostituzione etnica può essere solo un concetto descrittivo di andamenti nella composizione etnica della popolazione di un territorio.
Le polemiche di questi giorni hanno quindi natura strumentale. Può essere utile sfuggirvi.
di Renzo Gubert, sociologo