Il 1923 è per Giorgio Amendola l’anno del teatro. L’anno delle rappresentazioni, al teatro Argentina e al Valle, dei lavori di Pirandello, l’Angelo di fuoco secondo l’etimo greco: “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Enrico IV”, “Vestire gli ignudi”. Interpreti di quei lavori erano Ruggero Ruggeri, Lidia Borelli, Maria Melato ed Emma Gramatica: la più ammirata, quest’ultima, da Amendola.
In Una scelta di vita, libro che Davide Lajolo definì ossessivo perché “in ogni pagina è rivelazione, riflessione, scoperta”, Amendola ricorda che fece conoscenza con Mario Paone alla prima della Leggenda di Liliom, opera dell’ungherese Molnar. “Entusiasti (mi domando ora, perché?) applaudivamo dal loggione dell’Eliseo”. Amendola avrebbe potuto avere dei biglietti di favore dal giornale, ma preferì frequentare il loggione, che “era il ritrovo degli sciacalli, un gruppo di fanatici contestatori del vecchio teatro di prosa”.
A Milano Wanda Osiris – la celebre signorina, come veniva interpellava nelle interviste e quando doveva andare in scena - debutta al cinemateatro Eden nella compagnia di Carlo Rota. Capelli neri lunghi e lisci, grandi occhi chiari già molto truccati, una ferma volontà di recitare. Anche lei, come Chiara Lubich, non ama le doppie e dice “matina” invece di “mattina”, come lo storico Angelo d’Orsi parla della “guèra”. Il suo aspetto ricorda una dea egizia, l’impresario ne intuisce il talento, o almeno la personalità, e la fa debuttare nella rivista Il vile pedone.
Edito dalla tipografia degli Artigianelli, esce frattanto a Napoli “I Priapea” di Angelo Maggi. L’opera appare nella Biblioteca di filologia classica diretta da Laterza. Il primo di marzo ecco il giornale “Il Toro”, diretto da Corrado Testa e Nino Fiorentini insieme a Leo Longanesi, che collabora anche al periodico satirico Index Rerum Virorumque Prohibitorum. “Nel concetto di vita – scrive quell’anno Georg Simmel - io mi pongo come nel centro: di qui parte la via che va verso l’anima e l’io da una parte, e dall’altra parte verso l’idea, verso il cosmo, verso l’assoluto”. “La vita – afferma ancora - sembra essere l’estrema oggettività a cui noi come soggetti spirituali possiamo giungere direttamente, la più vasta e più salda oggettivazione del soggetto. Con la vita ci troviamo nella posizione intermedia fra l’io e l’idea, fra soggetto e oggetto, fra persona e cosmo”.
A ottobre Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, entra, ad appena 11 anni, nel Seminario interdiocesano minore di Feltre. Proseguirà poi gli studi in quello, maggiore, di Belluno. L’esperienza conciliare lo indurrà poi – nota Cecilia Nonnato - a “valorizzare la Bibbia come strumento pastorale nell’esposizione della tradizionale teologia, a dimostrazione del fatto che la contrapposizione fra Scrittura e tradizione, allora in voga fra i teologi progressisti, era destituita di fondamento”.
Ruggero Morghen