Le due uniche persone verso cui Luchino Visconti provò una vera e illimitata ammirazione – ha osservato Massimo Fini – sono la madre, idolo di gioventù, e Proust, amore di tutta una vita.
“Un giorno vidi mio padre – ricordava lo stesso Luchino – assorto nella lettura d’un romanzo appena arrivato da Parigi. S’era attorno al 1920. Il libro s’intitolava Du côté de chez Swann, edizione Gallimard, il solito, sobrio volume color bianco crema, filettato di nero e di rosso”. Iniziava così la sua “febbre proustiana”. Quanto a Giacomo Puccini – rivela Giovanni Agosti -, Visconti era passato da un’avversione per il musicista lucchese, che aveva conosciuto personalmente quand’era bambino perché in rapporto con sua madre, a un’autentica passione, culminata nella messinscena della Manon Lescaut a Spoleto, nel 1973.
Ma non ci sono solo la madre, Puccini e Proust tra i casti amori del regista. Ecco, infatti, un’intera regione: la Lombardia. “La mia aria lombarda – dichiarava infatti Visconti nel 1973, dopo la trombosi che l’aveva colpito l’anno prima – ha agevolato la ripresa del fisico in modo molto più rapido di un ritmo normale. E la permanenza a Cernobbio ha confermato quel che rappresenta, per me, la Lombardia per la vita fisica, al di là del grande apporto che Milano e la mia terra hanno offerto alla mia formazione spirituale, alla mia esistenza, al mio lavoro”.
Anche il prof. Gino Silvano era un convinto assertore della bontà e dell’importanza del clima locale nel processo di guarigione. In conseguenza di ciò si formò sul Garda, intorno a Villa delle Rose, un alone di clienti invernali costituito in gran parte da ex pazienti e dalla loro parentela, che si spargeva negli alberghi e nelle pensioni circostanti. Circa i tempi della guarigione, viene in mente quel che scriveva Gabriele d'Annunzio a Manfredi Gravina nel febbraio del 1916: “Si tratta d'una lesione prodotta dall'urto violento di un atterraggio disordinato. È cosa gravissima in sé il distacco della retina, ma pare che la resistenza della mia natura faccia sperare un miracolo”. Qui, più che l’ambiente, varrebbero le risorse dell’organismo e della persona. Peraltro anche l’ambiente della Mirabella, al Vittoriale, appare fortemente legato al tema della salute e della guarigione: quasi si entrasse per essa nel dominio del guaritore mistico. “Se il calore dell’amicizia pura basti a guarire ogni male - scriverà d’Annunzio a Guido Treves -, tu sei già guarito nell’entrare alla Mirabella”.
Il 24 agosto 1928, invece, il legionario fiumano Alessandro Pozzi comunicava al poeta: “L’aria salubre del Trentino m’ha fisicamente rimesso ma un ordine del chirurgo mi rivuole a Milano per rientrare ospedale et subire nuova tortura”. Il 19 ottobre è effettivamente a Milano e confessa a d’Annunzio dal civico 2 di via Colonnetta: “Nel primo giorno di assicurata guarigione mio pensiero rivolgesi Comandante il cui ausilio morale fu sicuro farmaco”.
Dove a “guarire” sono d’Annunzio e il Trentino, e la Lombardia rimane sullo sfondo.
Ruggero Morghen