Mi confida l’amico Giacinto Reale: “Ho un ricordo molto buono delle tre biografie di inizio carriera di Guerri, quelle dedicate a Malaparte, Balbo e Bottai (meno quella di Ciano, personaggio che non digerivo), nelle quali c’erano anche affermazioni importanti e abbastanza controcorrente. Poi gli è venuta la fissa per d'Annunzio (non priva di gratificanti risvolti per lui) e lì l’ho seguito meno”.
Dopo tante biografie dedicate a eminenti personaggi fascisti (appunto Balbo, Ciano, Bottai...), il saggista e storico Giordano Bruno Guerri ci riprova ora nientemeno che con “Benito. Storia di un italiano”, in uscita per Rizzoli. Piero Jones non nutre molte speranze in proposito: “Che cosa avrà mai da dire di nuovo?”. “Il solito riassunto di De Felice in salsa politicamente corretta – questo si aspetta Jones - con venature di ossequio all’antifascismo accademico”. “Non credo aggiunga nulla – concorda Fabiano Gaita - a quanto già detto e scritto su Sua Eccellenza”. Paolo Pacetti lo leggerà sicuramente, “ma più come un romanzo che come Storia”. Anche Rita Lasagni si fida di Giordano Bruno Guerri, mentre Maurizio Panella un poco esagera: “Di Guerri bisognerebbe leggere tutto”.
L’autore, dal canto suo, promuovendolo lo definisce “un libro difficile da scrivere, ma facile da leggere”. In attesa di leggerlo, Reale lo pesa e osserva: “Trovo insopportabile l’abitudine presa da Guerri (iniziata con gli ultimi volumi su d’Annunzio) di sfornare dei megavolumi, con manie di grandezza che vanno a scapito della trasportabilità (per esempio per leggerlo sul bus o in treno) e della stessa compattezza del testo, inframmezzato da moltissime foto”. “Questo, per dire – aggiunge -, è di 350 pagine formato A4, per un peso di 1 kg e mezzo”. “Formato e peso – rincara la dose Gaita - sono da strenna natalizia per i migliori clienti delle banche”. Non si registrano finora note sull’odore del libro, che pure è importante. Alcune didascalie delle foto ivi riportate, però, sarebbero sbagliate e non farebbe male pure dare un’occhiata all’indice dei nomi, già fonte di confusione nel suo “Disobbedisco” sull’Impresa di Fiume.
Dunque “Benito. Storia di un italiano”. “Vero”, aggiunge Mariano Grottolo facendo eco al compianto Toto Cutugno e Gianni Marziali ci vede proprio quella colonna sonora. “Il prof. Guerri – osserva dal canto suo Marco Savarese - avrà meditato che il Benito per antonomasia, almeno in Italia, è stato, è e sarà sempre uno ed uno solo”. Non siamo ancora al “Ben” che avrebbe potuto scrivere una Claretta rediviva, ma è chiaro che - da Antonio Scurati (M. Il figlio del secolo) in poi - il cognome del Duce non lo si mette più in un titolo. E così per l'appunto ha fatto il presidente (e pure direttore), ormai ab immemorabili, del Vittoriale degli Italiani, la Fondazione che ha sede a Gardone Riviera, sulla sponda bresciana del lago di Garda e che raccoglie e – si spera – conserva l’eredità di Gabriele d’Annunzio. Leo Lauricella però avrebbe preferito, come titolo, “Il figlio del fabbro”.
Quanto al sottotitolo del nuovo saggio di Guerri - “Storia di un italiano” - occorre dire che suona bene ma non è originalissimo, visto che è già stato usato (almeno) per le biografie di Alberto Sordi, Vittorio Pozzo e Carlo Azeglio Ciampi. Dice: “Storia di un italiano, sì, ma quale?”. L’amico Leonardo Bianchi la risposta l’ha bell’e pronta: “Vittorio Pozzo, senza alcun dubbio”. Per Stefano Bonelli, invece, meglio Sordi. “Almeno si ride” dice.
Ruggero Morghen