Con la vittoria della destra alle politiche d’autunno emerge il deserto delle culture politiche che sono state le colonne portanti della prima repubblica: quella della DC e dell’area cattolico democratica e cristiano sociale e quella del riformismo social comunista, che il PD non ha saputo rappresentare nella lunga stagione del passaggio traumatico del 1993, nel quale il PCI seppe trarre vantaggio dal ruolo svolto dalla magistratura a senso unico, per volute inadempienze o per impossibilità, come il neo deputato Carlo Nordio, ebbe modo di evidenziare quando svolgeva le sue funzione di magistrato inquirente, oggi eletto nella lista di Fratelli d’Italia.
Da un lato la DC paga il conto della lunga stagione della diaspora (1993-2022) non ancora giunta al suo termine, con diversi naviganti che hanno saputo sopravvivere, a destra e a sinistra; in alcuni casi (Cesa e &.), abusando per mera rendita personale dello scudo crociato consegnato loro in eredità illegittima da Casini, finendo col diventare valvassini di Forza Italia prima e, poi, della Lega.
In altri (Rotondi, come già Raffaele Fitto) passando dalla scuderia del Cavaliere a quella di Fratelli d’Italia, dimentico Rotondi del suo antico percorso nella sinistra sociale della DC, con Gerardo Bianco e Carlo Donat Cattin.
Anche noi che dal 2012 abbiamo tentato di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 (“La DC non è mai stata giuridicamente sciolta”) battendoci per la ricomposizione dell’area DC, dobbiamo amaramente constatare il fallimento del nostro progetto, non essendo stati in grado di presentare né il simbolo, né nostre candidature alle ultime elezioni politiche.
Qualche amico si consola, per il risultato ottenuto dalla cosiddetta “DC Nuova” di Totò Cuffaro in Sicilia, dove, nonostante la disponibilità offerta dal terzo Polo a sostegno della candidatura del Prof. Armao, ha deciso di cambiare alleanza, legandosi alla destra e alla candidatura alla presidenza regionale dell’on. Schifani. Un risultato che non può che dirsi riuscito sul piano tattico, con l’elezione avvenuta di sei consiglieri regionali “cuffariani”, ma senza una reale prospettiva strategica, almeno sul piano nazionale.
Restiamo convinti dell’idea che il leader della DC cilena, Gabriel Valdes, pronunciò al tempo della lotta contro Pinochet: “ se vinci con la destra è la destra che vince”. Il tempo, e credo anche a breve termine, ci dirà come andranno le cose, ma, da parte mia, continuo a pensare che per la DC, o per ciò che ancora rimane di essa, se non ci si vuol ridurre al ruolo di ascari del trio Cesa e & e della trimurti di destra (Meloni-Salvini-Berlusconi) il suo ruolo politico debba rimanere quello di un partito di centro democratico, popolare, liberale, riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante da una sinistra senza identità.
Come seppe fare la DC nella prima Repubblica, compito di un partito di centro siffatto dovrebbe essere quello di saper favorire l’equilibro degli interessi e dei valori tra ceto medio produttivo e classi popolari, venendo meno il quale, con la fine della DC, hanno potuto emergere i populismi del Cavaliere prima e poi, in rapida successione: della Lega , del M5S sino all’attuale egemonia della destra di Fratelli d’Italia e della sua leader Giorgia Meloni.
Nessuna possibilità che questo ruolo possa essere svolto senza una seria riflessione all’interno della complessa e articolata area culturale e sociale cattolica.
E’ suonato forte e chiaro il monito del presidente della CEI, card. Zuppi che, alla viglia del voto, richiamando l’appello alle donne e agli uomini del nostro Paese del Consiglio episcopale permanente riunitosi a Matera, ha affermato: “l’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale”.
Temi e indicazioni da approfondire sono anche quelli evidenziati nell’appello delle cinquanta personalità di area cattolico democratica, che hanno indicato obiettivi e priorità strategiche dell’Italia alla vigilia del voto.
Di diverso orientamento quello indicato da una decina di movimenti e gruppi di area cattolica moderata che hanno scelto di votare per Forza Italia e lo schieramento di destra, considerando il partito del Cavaliere “il simbolo più vicino al nostro patrimonio culturale e politico”.
Sono proprio questi due ultimi appelli l’estrema semplificazione della distinzione espressa poi nel voto tra i cattolici della morale e cattolici del sociale; una distinzione che non era mai intervenuta, seppur presente, né nell’esperienza sturziana del PPI che nella DC da De Gasperi sino alla fine politica di quel partito.
Tra quelle due esperienze storiche e il tempo che viviamo si è vissuto la dolorosa “demodissea post DC”, nella lunga stagione della diaspora che, col voto di domenica scorsa, ha raggiunto il suo apogeo.
Ricomporre questa complessa realtà cattolica, sociale, culturale e politica comporterà un’azione di notevole impegno a partire dalle realtà ecclesiali che, dai vertici della CEI dovrà veder scendere per li rami, tra i vescovi delle diverse diocesi e tra i parroci di tutte le chiese territoriali, quanto indicato dal Papa e dalla CEI sull’impegno politico dei cattolici.
In quelle sedi si dovrà riconsiderare criticamente il tempo del disimpegno politico dei cattolici e quello della testimonianza plurima nei diversi partiti, che fu la scelta della stagione ruiniana, che, alla fine, ci ha condotto alla nostra attuale definitiva irrilevanza. Anche dopo il voto il cardinale emiliano è intervenuto, anche stavolta con una netta propensione e apertura nei confronti della destra, sempre in linea con la sua antica alternatività a Dossetti e al dossettismo politico.
Analoga riflessione dovrà essere compiuta nel PD, erede della seconda colonna portante della prima Repubblica, nato dalla fusione a freddo tra gli eredi del PCI e una parte della sinistra politica della DC. Qui si tratta di superare il limite d’origine denunciato dal prof Del Noce, quando il partito, da strumento rappresentativo dei lavoratori, ha assunto progressivamente i caratteri di un partito vicino alle posizioni neo liberiste e dei gruppi finanziari dominanti, dando anche ampio spazio all’interno alle posizioni laiciste e radicali degli Zan e delle Cirinnà, alternative a quella dei cattolici della morale, difensori dei valori non negoziabili, che, anche per questo, hanno finito col sostenere i partiti della destra italiani.
Gravissima responsabilità è quella assunta dal PD nell’avallare il sostegno alla legge elettorale del rosatellum che, in assenza dell’alleanza vasta col M5S a sinistra, ha finito col favorire nei collegi uninominali le candidature unitarie della destra.
Anche noi DC e popolari se vogliamo concorrere alla costruzione del nuovo centro, abbiamo bisogno di tornare alla legge elettorale proporzionale con le preferenze, sul modello tedesco, unico strumento in grado di rappresentare la reale consistenza del consenso popolare, drammaticamente sceso al punto morto inferiore, con meno del 64 % dei partecipanti al voto il 25 settembre scorso.
Il tema prevalente e prioritario cui ci si dovrà impegnare nelle proposte di programma è quello della lotta alle diseguaglianze sociali e territoriali che caratterizzano la società italiana, squassata da una povertà di oltre sei milioni di cittadini, con punte di povertà assoluta attorno al milione e cinquecentomila unità.
Su questo tema si misurerà il confronto con le politiche della destra ora chiamata a governare l’Italia, insieme a quelle che attengono alle nostre scelte in politica estera europea e atlantica.
Il prossimo seminario annunciato dai cattolici democratici mi auguro possa fornire alcune indicazioni positive nel merito, così come il dibattito precongressuale aperto da Letta nel PD, darà modo di esprimersi alle diverse realtà presenti in quel partito, dove non mancano componenti ispirate da interessi e valori compatibili con quelli che anche noi DC e Popolari ritroviamo espressi nella Carta fondamentale della Repubblica. La Carta che intendiamo difendere e attuare in tutte le sue parti, a cominciare dall’applicazione dell’art.49 all’interno di tutti i partiti, insieme alla forma di repubblica parlamentare consegnataci dai nostri padri costituenti.
Se da quelle che furono le colonne portanti della prima Repubblica e, soprattutto, dai mondi culturali e sociali che a esse hanno fatto e fanno ancora riferimento, verranno alcune proposte di programma all’altezza dei bisogni della società italiana, anche dall’opposizione democratica al governo della destra, potrà venire un contributo positivo per l’Italia.
Ettore Bonalberti