Il bresciano Mimmo Franzinelli, storico “militante” del fascismo e pure un po’ dell’Italia repubblicana, ha consacrato il suo penultimo volume a Giacomo Matteotti e Benito Mussolini, accomunati nel significativo titolo “Vite parallele dal socialismo al delitto politico”. Tra i due si riscontrano infatti prossimità cronologica e un comune apprendistato socialista in ambito familiare. È inoltre contestuale, nel 1901, la loro collaborazione ai giornali di sinistra. “Nella temperie bellica – rileva poi Franzinelli -, gli itinerari sentimentali di Mussolini e di Matteotti registrano significativi parallelismi”, ma – è ben intuibile – anche differenze notevoli, come dimostra l’epistolario (cui troppo spazio è accordato per l’economia dell’opera) di Giacomo con la moglie Velia. Del resto, come segnalava in una scheda la Direzione generale della PS, Matteotti “nei suoi doveri verso la famiglia si comporta bene”. 

Il suo primo scontro con Mussolini è nell’aprile del 1914, al congresso di Ancona del PSI, e riguarda l’espulsione dei massoni dal partito chiesta dal futuro Duce, mentre Matteotti, anche qui perdente, voleva evitare “processi inquisitoriali ed eventualmente delle espulsioni su semplici sospetti di Massoneria”.  Antimilitaristi, i due si oppongono entrambi alla campagna di Libia (1911-1912), ma nel maggio del 1915 i loro sentieri divergono. Mussolini è passato dalla neutralità assoluta ad una neutralità attiva ed operante (la locuzione piace a Gramsci, che la fa sua). Anzi, si fa portavoce di “una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!”. Parte per il fronte e confessa: “È con animo veramente lieto che depongo la penna per abbracciare il fucile”. 

Matteotti invece su “La Lotta” scrive: “Orsù, lavoratori, che fate? Levatevi il cappello, passa la patria, e ormai più non ci sono socialisti; passa la rovina, passa la guerra, e voi date ancora la vostra carne martoriata”. Il settimanale cattolico di Adria lo chiama “socialista impellicciato”, il giornale degli agrari titola “Il Dottor Matteotti deve scomparire”. Intanto d’Annunzio, esaltato, chiama all’azione: “Il sangue comincia a sgorgare dal corpo della Patria. Non lo sentite? L’uccisione comincia, la distruzione comincia”. E “quel sangue comincia a scorrere, quel sangue fuma ai piedi d’una grandezza invisibile, d’una grandezza più grande che tutto quel popolo”. Come contrasta con queste parole quanto scrive Matteotti il 5 novembre 1918! “La nostra Italia – afferma nell’occasione – esce da questa guerra come da una grave e mortale malattia, con piaghe aperte”.

Il libro di Franzinelli è dedicato alla memoria della madre, che per prima gli parlò dei due. Anche Matteotti – vien da osservare - dedicò il suo libro sulle recidive a un’importante memoria: quella di Matteo, “fratello mio e amico - così recita la sua bella dedica -, che con occhio affettuoso protesse il crescere di queste pagine, e non poté vederne il compimento”.

Roggero Morghen